Michele Ferrulli (2011), Dino Budroni (2011), Massimo Casalnuovo (2011), Gregorio Durante (2011), Daniele Franceschi (2010), Simone La Penna (2009), Stefano Cucchi (2009), Carmelo Castro (2009), Giuseppe Uva (2008), Niki Aprile Gatti (2008), Manuel Eliantonio (2008), Aldo Bianzino (2007), Gabriele Sandri (2007), Riccardo Rasman (2006), Giuseppe Casu (2006), Federico Aldrovandi (2005), Marcello Lonzi (2003), Carlo Giuliani (2001), Piero Bruno (1975), Rodolfo Boschi (1975), Giuseppe Pinelli (1969), Giovanni Ardizzone (1962). Questo è un elenco stilato da un lettore del mio blog sul sito del Fatto Quotidiano e dove ho riportato l’appello di Lucia Uva. Questa lista di nomi è certamente incompleta. Perché quando si tratta di persone morte in “custodia” dello Stato si apre un universo che nessuno veramente conosce. Le famiglie non sempre trovano il coraggio di iniziare la Via Crucis affrontata da Patrizia Aldrovandi, Ilaria Cucchi, Lucia Uva e Domenica Ferulli. Ogni volta che le incontri pronunciano il nome di un’altra donna, un altro capitolo di uno stesso libro ancora tutto da scrivere. E se accedesse a qualcuno di noi? Se noi o qualcuno della nostra famiglia di imbattesse in un uomo dello Stato che anziché garantire la nostra sicurezza si comportasse come quei 4 poliziotti che hanno massacrato di botte Federico che tornava a casa da solo, a piedi dopo una serata con gli amici?. Occuparsi di queste storie non significa accanirsi contro chi indossa una divisa, quanto piuttosto lavorare al fianco di chi la onora. Mi ha colpito la riflessione fatta dall’avvocato Fabio Anselmo a proposito del reato di tortura. “Nell’immaginario collettivo benpensante, nel nostro paese , tale termine è associato a situazioni irreali, cinematografiche, romanzate o comunque esclusivamente riferibili a contesti politico sociali lontani, molto lontani dal nostro”. Secondo il diritto internazionale con il termine tortura si intende ogni atto di sofferenza morale o fisica che il pubblico ufficiale infligga alla persona che sia affidata alla sua custodia senza alcuna legittima giustificazione ed in violazione dei diritti umani. In tutti i paesi civili la tortura è prevista dalla legge e punita con pene severe. L’avvocato Amato ricorda come sul corpo di Federico il Giudice abba riscontrato 54 lesioni diverse , ciascuna suscettibile di autonomo procedimento penale. Cinquantaquattro. “Nessuna di esse può esser considerata tecnicamente grave e nessuna di esse, nemmeno complessivamente considerate , può autorizzare il Giudice a comminare agli eventuali responsabili, pene superiori ai tre anni di reclusione . Sempre vengono sanzionate con pene di pochi mesi e comunque quasi mai superiori al limite di 2 anni per la concessione della sospensione condizionale della pena. Il più delle volte sono perseguibili solo a querela di parte. Sono lesioni assolutamente non mortali . Lievi”. Ma allora perché questi morti? “Perché la sofferenza loro inflitta è stata in concreto così grande da risultare umanamente insopportabile e da mandare letteralmente in tilt le loro vitalità .Tempesta emotiva , stress significano nient’altro che questo. “ I loro cuori si sono fermati . Quando la sofferenza supera l’umana tollerabilità. Questo limite sottile viene ignorato, mistificato, misconosciuto anche quando viene superato , proprio facendo leva sul l’ipocrisia della sproporzione tra gli eventi lesivi e le conseguenze mortali che ne derivano”. Se tutto ciò non bastasse, le famiglie talvolta devono combattere anche contro titolari delle inchieste che querelano (come era stato per Patrizia Aldrovandi) o come nel caso Uva e di cui Lucia scrive e denuncia: “Ho appena saputo che a Varese il pm Abate non me ha abbastanza e avrebbe fatto capire ai giornalisti che non è finita. Sono molto preoccupata per me, per la famiglia e per il mio avvocato. E per i miei più stretti amici che ci sostengono. Temo che da una persona che utilizza il proprio potere giudiziario in questo modo ci si debba aspettare di tutto. Io non capisco nulla di politica ne di associazioni di magistrati. Mi chiedo chi lo stia proteggendo perché non è possibile che ad un pm sia consentito comportarsi così come il pm Abate si è comportato e si comporta nei nostri confronti da quando è morto mio fratello”. Nessuno di noi e delle istituzioni potrà dire che non sapeva.