Nessuno riuscirà mai a dipanare il brogliaccio di una delle vicende più indecenti in cui è incappata l’Italia nella storia contemporanea. Nella questione dei marò il governo Monti ha sbagliato almeno tre volte. Finendo nella trappola indiana, poi perdendo la dignità rimangiandosi l’impegno di farli tornare a New Delhi e infine giocandosi la fiducia degli apparati militari rimandandoli indietro. Una serie di mosse e contromosse che hanno sconcertato, con il premier che li accoglie come eroi all’aeroporto (casualmente….in piena campagna elettorale) e poi, una volta illuse le famiglie con quello che sembrava un atto di forza, li rispedisce all’inferno, senza alcuna garanzia giudiziaria in un Paese dove dopo più di un anno sono a malapena riusciti a mettere in piedi un tribunale speciale. Quel che non si sa è di chi sono le responsabilità di queste decisioni azzardate e contraddittorie (di sicuro il ministro Terzi non ha brillato per diplomazia) ma è abbastanza evidente cosa c’è dietro.
Gli affari, come al solito. Grossi affari. In realtà, la prima motivazione di questa particolare avversione per l’Italia è stata individuata nel forte nazionalismo indiano che ha usato l’incidente come rivalsa contro Sonia Gandhi. Ma poi sono emerse altre spiegazioni, ben più concrete. Innanzitutto lo scandalo delle tangenti con Finmeccanica e quella commessa annullata da 560 milioni di euro per dodici elicotteri Agusta. Ma c’è di più. Sono quattrocento le società italiane che fanno soldi in India, tanto da prevedere per il 2015 un interscambio commerciale di ben 15 miliardi di euro. Un “ottimo” motivo per non litigare, sacrificando due militari e la dignità nazionale.
Perchè va spiegato almeno, al di là delle opinioni, che quello indiano è un ricatto in piena regola. Cinque mesi dopo il nostro incidente, da una petroliera americana hanno ugualmente sparato contro un peschereccio uccidendo un pescatore e ferendone altri a raffiche di mitra. Sapete che è successo? L’ambasciatrice statunitense a New Delhi, Nancy Powell, ha telefonato al segretario indiano agli Esteri Ranjan Mathan per porgere le sue condoglianze ed esprimere il rammarico per l’accaduto ma fonti militari americane hanno ribadito di aver fatto fuoco sul peschereccio dopo aver lanciato diversi avvertimenti in base alla procedura prevista in questi casi. Misure di sicurezza che nelle acque del Golfo (dov’è successo) non sono da mettere in relazione solo alla minaccia dei pirati ma al rischio di attacchi suicidi condotti dai barchini dei pasdaran iraniani che adottano la strategia dello “sciame navale” mobilitando un gran numero di piccole imbarcazioni all’apparenza civili e inoffensive contro le navi da guerra statunitensi.
Allora anche la “Enrica Lexie” fu avvicinata troppo da un peschereccio in acque notoriamente infestate dai pirati che spesso usano le piccole imbarcazioni per abbordare: i fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone hanno dichiarato di aver sparato otto colpi di avvertimento con un’arma leggera. Ma chissà a quale processo vanno incontro visto che tutte le prove sono state cancellate dagli indiani. Il peschereccio è stato affondato, nonostante il risarcimento offerto dall’armatore, spariti i risultati delle autopsie e soprattutto le perizie balistiche (vi risparmio i particolari tecnici). Come si fa a stabilire dunque che sono stati loro a uccidere? Senza considerare l’aspetto più importante: che l’incidente è avvenuto in acque internazionali e che l’equipaggio è stato fatto scendere a terra con l’inganno. Inoltre, come è noto, gli indiani hanno forzato il ritorno dei marò con una presa di posizione vergognosa, togliendo l’immunità al nostro ambasciatore, contro tutte le regole diplomatiche. Una vicenda insomma molto sporca che il nostro atteggiamento ha fatto diventare addirittura una farsa.