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Conflitti di serie A e di serie B, con buona pace dei poverissimi abitanti della repubblica Centrafricana

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Il conflitto nella Repubblica Centrafricana non appassiona i media, ad eccezione ovviamente di Al-Jazeera che sta dedicando vasto spazio all’offensiva militare del Seleka, la coalizione che riunisce tre diversi gruppi ribelli, che ha travolto il traballante presidente Francois Bozizé scappato con la sua famiglia. Eppure la sfortunata Repubblica Centrafricana è il paradigma di una decolonizzazione ufficialmente decollata più di 50 anni fa ma in realtà mai approdata a nulla. I 4 milioni e mezzo di abitanti siedono su un vero e proprio tesoro minerario: oro, diamanti e uranio. La terra è fertilissima: potenzialmente l’agricoltura  potrebbe non solo garantire l’autosufficienza alimentare ma anche esportazioni di prodotti di prima qualità. Invece la repubblica Centrafricana è uno dei paesi più poveri della terra con indici di sviluppo poco oltre lo zero. Ufficialmente ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960 ma in 53 anni non ha mai conosciuto stabilità politica. L’ex potenza coloniale ha infatti sempre lavorato nell’ombra (ma non tanto) per assicurarsi governi “amici”, in grado di non creare problemi a Parigi, mantenendo nei fatti il controllo politico. Parigi ha digerito con facilità anche gli anni tragici dell’imperatore Bokassa, accusato tra l’altro di cannibalismo. Lo stesso presidente Bozizé (arrivato al potere nel 2003 grazie ad un colpo di stato, l’ennesimo) ha goduto degli appoggi francesi sventolando la bandiera della lotta al pericolo islamico proveniente dal nord (proprio come  successo in Mali). In un paese per l’80% a maggioranza cristiana, il 15 per cento degli islamici insediati a nord (che non ha mai avuto un peso nelle decisioni) è servito a Bozizé per incassare aiuti e armi per più di 10 anni. Ma il modello corruttivo del’ex presidente è arrivato al capolinea nello scorso dicembre quando anche Parigi ha deciso di abbandonarlo al suo destino. Una scelta che ha provocato anche un attacco all’ambasciata francese nella capitale Bangui. Restano i forti interessi francesi nel paese africano e una piccola comunità di connazionali che oggi sono nel mirino. Tanto che a fianco dei 250 soldati francesi stanziati stabilmente nella Repubblica Centrafricana, ne sono stati schierati altri 350 proprio per scongiurare  assalti e agguati. La situazione sul campo resta grave. Il Seleka riunisce essenzialmente bande di signori della guerra che genericamente si richiamano all’islam. Del resto il leader di questo raggruppamento Michel Djotodia  ha un  passato alquanto complesso: 14 anni trascorsi nella ex Unione Sovietica a studiare economia (e non solo). La sua decisione di autoproclamarsi presidente della Repubblica Centrafricana ha già aperto una frattura nella coalizione dei ribelli poiché i capi degli altri gruppi non hanno digerito questa decisione non condivisa e non compresa negli accordi. Nella capitale manca l’energia elettrica e l’acqua. Negozi, uffici, abitazioni private e persino un ospedale pediatrico sono stati attaccati e razziati. Il caos si accompagna anche alla emergenza sanitaria. La Croce Rossa Internazionale ha chiesto ai ribelli di poter entrare nel paese per alleviare le sofferenze dei molti feriti negli scontri. Medici Senza Frontiere si appella a ribelli e governativi affinchè garantiscano l’accesso alle cure di quanti hanno bisogno perché negli ultimi due giorni la grave insicurezza ha ostacolato l’attività medica dell’organizzazione. Lo stesso appello arriva da Emergency, l’organizzazione di Gino Strada gestisce un ospedale pediatrico proprio di fronte all’edificio che ha ospitato fino a sabato il parlamento.

La scorciatoia dell’intervento militare occidentale (come già successo in Mali) è scongiurata. Parigi si è detta contraria e questo basta a rassicurare l’intera Europa. Ma questo dimostra che continuano ad esserci conflitti di serie A e conflitti di serie B, con buona pace dei poverissimi abitanti della repubblica Centrafricana.


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