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Democrazia a venire

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Forza Beppe, tieni la barra! Capo Horn non è ancora stato doppiato. Sirene interessate ti vogliono far spiaggiare.

Fuori da facili metafore, se il M5S dovesse venire già ora riassorbito nell’usuale logica della mediazione politica (qualche volto presentabile, qualche grande opera in meno, qualche risparmio nelle spese…) svanirebbe anche questa occasione per cambiare ciò che realmente conta: l’assetto dei poteri democratici. Ce lo ha fatto capire con cinico disprezzo il Mario che conta (quello della Banca centrale europea) per rassicurare i “mercati” e gli “investitori”: in Italia – come del resto altrove – è stato innescato il “pilota automatico”, ha affermato, che ci sia o non ci sia un governo è del tutto indifferente. I nostri politici si stanno battendo non per pilotare l’aereo, ma per fare gli steward e le hostess. Se a loro piace…

Lo avevano decretato Thatcher e Reagan fin dall’inizio dell’era neoliberale: TINA, “There Is No Alternative”. Stati e cittadini, istituzioni e popolazioni sono sotto scacco da parte di chi detiene i titoli del debito (che è sempre pubblico). Gente che ha il volto mascherato per davvero, con i soldi nei paradisi fiscali e i loro commercialisti nei consigli di amministrazione delle banche. O si instaura una sovranità democratica nelle politiche economiche o, molto semplicemente, è la fine della stessa democrazia. Lo diceva già Norberto Bobbio, che bolscevico non era: il processo di democratizzazione deve allargarsi alla sfera dell’economia.

A sinistra non l’abbiamo capito ancora (mi ci metto generosamente anch’io, così non partecipo al gioco dello scaricabarile). Se il M5S ha vinto è perché è stato l’unico soggetto politico ad avere colto la crisi di credibilità non solo del sistema della rappresentanza (i partiti: tappi che hanno ostruito i canali della partecipazione), ma del sistema dello stato liberal-democratico nel suo insieme. La loro proposta-sfida di un “Parlamento dei cittadini” coglie il centro del problema. Ma cosa significa per davvero? Vogliamo parlarne seriamente?

Ciò che mi auguro io è evidente. Spero che il terremoto del M5S si assesti solo dopo aver cambiato qualche struttura di valore costituzionale della nostra democrazia. Alcune proposte sono già state avanzate da autorevoli giuristi: inserire in Costituzione i beni comuni, cioè i “beni della vita”, come recita una sentenza della Corte Costituzionale (beni pubblici inalienabili, indisponibili a qualsiasi fabbisogno di cassa), eliminazione o quasi dei quorum per i referendum, che devono essere possibili anche in forma propositiva, obbligo di legiferazione in pochi giorni sulle proposte di legge di iniziativa popolare, trasformazione di un ramo del palamento nella “Camera delle autonomie locali” (che sono l’unico presidio rimasto, con un buon controllo dei cittadini). Infine, subito, via il pareggio di bilancio e ogni altro “automatismo” contabile imposto dalle autorità monetarie.

La “mission” del M5S non è negoziare, ma rompere e modificare le regole del gioco: dentro-contro-oltre. Per ora sono solo entrati. L’unico dubbio che ho è se sia giusto affidare un simile impegnativo mandato a una simpatica coppia di maturi uomini benestanti, bianchi, di genere maschile, che ancora non ho capito cosa intendano per “democrazia dei cittadini”: Comune di Parigi o democrazie popolari a partito unico? Consiliarismo e mutualismo o “democrazia degli antichi”? le “Repubbliche minime” di Hannah Arendt, lo Swaraj di Gandhi, il bioregionalismo di Panikkar, cos’altro? O se invece questo compito di reinventare la democrazia a venire non si debba svolgere seguendo ben più dure e faticose strade dove i movimenti sociali, i comitati territoriali, le organizzazioni della cittadinanza attiva siano non solo partecipi, ma protagonisti diretti.


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