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La pirateria danneggia l’industria musicale. O no?

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Nostalgici alla ricerca di un brano registrato a Woodstock, modaioli assetati dell’ultima hit del momento o semplicemente appassionati di musica che amano “assaggiare prima di comprare”: alzi la mano chi non ha avuto la tentazione, magari mai messa in pratica, di scaricare una canzone gratis. Uno studio promosso dall’Institute for Prospective Technological Studies (http://ipts.jrc.ec.europa.eu/), commissionato dall’Unione Europea e intitolato Digital Music Consumption on the Internet: Evidence from Clickstream Data”( http://www.scribd.com/doc/131005609/JRC79605) minimizza  il danno causato alle vendite legali di musica online dai file pirata reperiti sulle piattaforme di file sharing e P2P e fotografa per l’ennesima volta il profilo psicologico dell’appassionato musicale.

AMICHE-NEMICHE- Musica digitale legale e illegale non sono nemiche, non così tanto quantomeno secondo questo report. E anzi talvolta sono persino amiche, perché quei file illegali, pur andando contro il diritto di proprietà intellettuale, finiscono talvolta per incoraggiare un acquisto in piena regola, sollecitando una curiosità e suggerendo un click a norma di legge (http://www.bbc.co.uk/news/technology-21856720).

FILE PIRATA – Il report dell’Institute for Prospective Technological Studies è giunto infatti alla conclusione che la maggior parte della musica scaricata illegalmente non verrebbe comunque acquistata e che anzi, senza i file pirata, i negozi di musica digitale avrebbero meno guadagni. Esaminando il comportamento online di 16 mila europei il team di analisti ha inoltre rilevato come i siti pirata abbiano una funzione promozionale, stimata intorno al 10 per cento nel caso dei siti legali di streaming e nel 0,7 per cento in più di click nel caso di acquisto di musica online. Il rapporto parla anche di “nuovi canali di consumo musicale come lo streaming online che hanno conseguenze positive per i titolari dei copyright”. Spotify e Pandora, per esempio, regalano una spinta alla musica online, grazie anche a un modello di business innovativo, e in generale una quota significativa del fatturato digitale proviene ormai proprio dallo streaming (strada intrapresa anche da YouTube). Tutto quanto è fruibile in rete si alimenta reciprocamente, andando oltre la legalità, secondo il report della Commissione Europea che ancora una volta dimostra come sia inefficace ed errato combattere la pirateria a suon di denunce e chiudendo gli archivi.

LA REAZIONE DELLE MAJORS – Immediata la reazione della Federazione Internazionale dell’Industria Musicale che ha definito la ricerca “difettosa e fuorviante”. In particolare in un comunicato apposito le dichiarazioni della IFPI sottolineano come i risultati del report siano assolutamente lontani dalla verità e disconnessi dalla realtà commerciale (http://www.ifpi.org/content/library/IFPI-response-JRC-study_March2013.pdf). La IFPI  cita anche gli ultimi dati pubblicati da Kantar Worldpanel, che riportano le statistiche sulle vendite di musica (sia supporti fisici che digitali), concludendo che le statistiche dell’IPTS si basano su ipotesi infondate, anche perché si parte dallo scenario (assurdo secondo la Federazione Internazionale dell’Industria Musicale) che si verificherebbe se tutte le piattaforme utilizzate dagli utenti della rete per la condivisione e il download di materiale illegale improvvisamente scomparissero. Unica concessione che fa la IFPI è: “some pirates are also legal buyers”, ovvero alcuni pirati sono anche acquirenti legali. Debole ammissione, considerato che secondo i dati più recenti chi scarica musica illegale acquista mediamente il 37 per cento in più di musica lecita rispetto ai “regolari”. La verità è che non è dato sapere se tutto ciò che viene scaricato verrebbe altrimenti acquistato lecitamente. Si può solo e semplicemente supporre.


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