di Nadia Redoglia
Così ha detto Papa Francesco. È l’espressione in assoluto più confortante per tutti quelli che non ce la fanno proprio più a sentirsi soli nell’oggi. Se a pronunciarla è poi umano essere ammantato di storico conclamato potere a che ciò possa semplicemente accadere, significa il tutto.
Papa Francesco nella sua prima apparizione mondiale s’è indubbiamente rivelato (per espressioni, gestualizzazioni, preghiere) nel migliore dei modi possibili: umilmente.
Lo spontaneo suo “ci vediamo domani” (necessariamente corretto in “presto” perché il “domani” meramente legato alla cronologia protocollare ha ancora da dover rispettare spazi e tempi) ha di nuovo aperto i cuori più disponibili alla speranza più che alla fede sempre più spacciata per carità.
Jorge Mario Bergoglio fu uomo di sudamerica che, dato l’ecclesiale potere conferitogli, si rimpannucciò come la stragrande maggioranza dei suoi “colleghi” in (pesantissimi) mantelli già poco puliti di per sé, cui s’aggiunsero macchie tra le più sozze (cfr. un “memento” tra i tanti: http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/13/nuovo-papa-bergoglio-dittatura-argentina-e-ombre-sul-passato/529595/).
Nel 2000 pubblicamente, alla voce desaparecidos, invocò il perdono (cfr. http://www.corriere.it/esteri/speciali/2013/conclave/notizie/14-mar-papa-tango-fidanzata_1069e952-8c70-11e2-ab2c-711cc67f5f67.shtml).
Dopo il ieri fatto con, del e per il male, dopo un oggi che riconosce quel male di ieri, a patto che la riconoscenza sia sincera, che altro se non il restante rassicurante domani, può confortare la speranza degli uomini di buona volontà, ancorché il Dio dei credenti?