Alla fine il Comune di Gorle (BG) e la giunta leghista guidata da Marco Filisetti ce l’hanno fatta e hanno ottenuto la confisca della Chiesa evangelica Christ Peace and Love. «Premetto che il Comune non vuole in alcun modo fare discriminazioni religiose – ha affermato il primo cittadino mentre celebrava il suo trionfo. – Noi abbiamo proceduto con sopralluoghi dell’ufficio tecnico che ha stabilito l’abuso edilizio, causa che prevede proprio che il Comune diventi proprietario dell’edificio in modo gratuito: ho emesso un’ordinanza che obbligavala Comunitàad abbandonare lo stabile ma non l’hanno rispettata. Tar e Corte di Cassazione si sono così pronunciati dandoci di fatto ragione e la stessa Comunità a sua volta ha accettato la decisione: come potremmo tornare sui nostri passi?».
E così, dopo un lungo contenzioso giudiziario e proprio nei giorni in cui Roberto Maroni saliva al Pirellone, i leghisti di Gorle hanno chiuso a loro favore una partita che va ben oltre le dinamiche amministrative di un piccolo comune. Comunque la si giri, infatti, resta il fatto che la decisione del Comune impedisce a una comunità di fede il libero esercizio del culto, solennemente garantito da un articolo della Costituzione che forse vale la pena richiamare: “Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
La chiesa evangelica Christ Peace and Love è composta in assoluta prevalenza da immigrati del West Africa, soprattutto Nigeria e Ghana, il che a nostro avviso aggrava ulteriormente la decisione del Comune: forse ignaro di quelle che in alcune regione dell’Africa accade ai cristiani – cattolici come evangelici –la Giuntaha chiuso lo spazio del culto e della preghiera di credenti che nei loro paesi sono perseguitati anche a ragione della loro fede.
Forse il loro torto non è quello di essere evangelici ma, più semplicemente, di essere immigrati africani e di essere riusciti con i propri modesti risparmi a aprire uno spazio in cui si loda Dio con i canti e le tradizioni africane. Troppo, per un partito e una cultura politica che hanno fatto degli immigrati i capri espiatori di una crisi arrivata anche nelle aree del massimo sviluppo. Troppo per chi, a giorni alterni, deve celebrare i riti celtici e la cattolicità degli italiani. Troppo per chi non perde occasione per dire che gli immigrati “devono stare al loro posto”. E così, forte di una norma regionale che impedisce di convertire all’uso del culto locali nati con diverse finalità – ad esempio un negozio o un capannone – la giunta di Gorle ha tenacemente perseguito il suo obiettivo nella convenzione di difendere, così facendo, l’identità e la tradizione del territorio.
In verità, la norma era stata pensata e voluta per contrastare l’apertura di moschee ma si è rivelata utile a contrastare anche altre presenze.
La notizia di Gorle pone gravi interrogativi giuridici e costituzionali perché asseconda l’dea che l’Italia è tornata agli anni bui delle persecuzioni contro gli acattolici. Questo è il rischio che sta di fronte a noi. Eppure, per fortuna, se a Gorle si chiude una chiesa ad Albenga si inaugura una moschea. E’ accaduto negli stessi giorni, ed a tagliare il nastro è stata il sindaco Giusy Guarnieri, tessera della Lega Nord in tasca. Un buon segnale, persino capace di alimentare la speranza che il presidente Maroni, eletto da un’ampia quota di lombardi non tutti assidui di Pontida, voglia aprire una nuova fase in cui riporre in una teca la spada di Alberto da Giussano e riprendere in mano la Costituzione repubblicana.