La crisi del Gruppo Rizzoli-Corriere della sera è esplosa in tutta la sua acutezza. Frutto, certo, della più generale grave crisi del settore, che non è solo italiana, ma certamente anche di errori manageriali evidenti e di un processo di finanziarizzazione che pure nel mondo editoriale ha visto e vede le imprese poco attente a progettare badando all’economia reale. La Rcs, nel 2007, ha acquisito, ad un prezzo palesemente fuori mercato, l’azienda Recoletos. E in quella vicenda c’è l’origine dell’elevato indebitamento del Gruppo.
Il piano di ristrutturazione – di stile “marchionesco” – prevede l’esubero di 640 dipendenti in Italia su circa 800 dichiarati a livello europeo (si tratterebbe del “taglio” di circa 200 giornalisti), la vendita o, in alternativa, la chiusura di dieci testate periodiche, l’alienazione della storica sede del “Corrierone”, il palazzo di via Solferino (peraltro prima annunciata e, poi, smentita), e una serie di altri risparmi con decurtazioni pesanti, ovviamente incentrate su un intervento teso a ridurre il costo del lavoro, da sempre l’azione più semplice per qualsiasi azienda, grande o piccola che sia.
A riprova dell’assunto iniziale il piano dei tagli, così netto e radicale, è tutto concentrato sugli aspetti finanziari del problema e sembra più pensato in funzione delle banche e dei mercati piuttosto che indirizzato a progettare uno sviluppo possibile per l’azienda.
In questi anni – come è stato sottolineato in un incontro tra i Comitati ed i fiduciari delle redazioni della Rcs e la segreteria della Federazione nazionale della stampa italiana – l’azienda non ha investito sul futuro, non si è preoccupata di trasformarsi alla luce delle possibilità offerte dai nuovi mezzi digitali. Significative le storie di quattro iniziative basate sul lancio di prodotti informativi per iPad avviate al “Corriere della Sera”, a “Max”, a “Bravacasa” e ad “A”(Annabella) che, poi, sono state chiuse dopo poco tempo, l’una per gli scadenti risultati, le altre senza tante spiegazioni. E ciò malgrado fossero state presentate quali iniziative strategiche per una affermazione sul mercato dei nuovi prodotti digitali.
La crisi c’è. Per questo il Sindacato, a tutti i livelli, aziendale, regionale e nazionale, è disponibile a trattare con l’azienda un piano di rilancio, che preveda risparmi, tagli agli sprechi e, sopra ogni cosa, l’inserimento pieno nell’informazione digitale, con l’obiettivo, non già di sostituire, ma di affiancare ed integrare quella su carta. Peraltro, in questo campo, si tratta di utilizzare le norme sulla multimedialità introdotte nell’ultimo contratto di lavoro giornalistico. Perché tutto ciò sia possibile è necessaria la presentazione di un piano industriale ed editoriale, accompagnato da un chiaro e sostanziale impegno alla ricapitalizzazione a carico degli azionisti, i quali, negli anni, si sono distribuiti lauti dividendi (anche a crisi già acclarata) ed è, quindi, più che giusto, oltre ad essere normale, che si facciano pienamente carico delle difficoltà. Tutto ciò deve essere affiancato dalla definizione delle condizioni per la ristrutturazione e la rinegoziazione del debito.
Occorre non dar luogo alle dismissioni e non è accettabile un progetto che punti solamente a stravolgere l’assetto delle testate e distruggere patrimoni che si sono accumulati negli anni.
Di particolare rilievo, in questa vicenda, l’atteggiamento tenuto dalle rappresentanze sindacali aziendali (sostenute da tutto il Sindacato) nei confronti dei cinquanta collaboratori coordinati continuativi e a partita Iva che, di fatto, lavorano a tempo pieno per il Gruppo. Dodici di questi sono interessati dal progetto di cessione dei periodici per i quali lavorano. C’è piena solidarietà ed impegno a tutelarli, come è stato riconosciuto e sottolineato dalla rappresentanza degli stessi cococo, nel corso di un incontro sindacale di Milano. In questo c’è un messaggio positivo e confortante, di unità tra i lavoratori dipendenti e precari, che va segnalato anche a fronte delle crisi e delle difficoltà di altre aziende e gruppi.
* Presidente Fnsi