A Pavia, città dov’è più alta la concentrazione di videopoker e slot-machines e quindi dove più impazzano i giochi “rovina-famiglie”, è nato fra i giovani un “rap” contro questa patologia. “Azzardopatia/è un problema sociale/deve essere illegale/ma è irreale che è legale/dal giovane all’anziano condannati a cadere/ un tunnel senza uscita…” Così il “rap” scritto– racconta il quotidiano la “Provincia pavese” – dai ragazzi della Casa del Giovane, dove si presentano spesso persone ridotte in totale miseria dalle slot. L’hanno già immesso con successo in rete. A breve diverrà un video. A Roma, per contro, Silvio Berlusconi propone di allargare l’offerta di questi giochi d’azzardo al fine di turare così una parte del “buco” che si verificherebbe con la demagogica abolizione totale dell’IMU pilastro della sua predicazione elettorale.
Nel 2009, quando la folle corsa ai giochi stava decollando con 54,3 miliardi di euro di giocate, l’Erario aveva spremuto 8,8 miliardi. Nel 2013, pur con una flessione negli ultimi due mesi, sarebbero usciti dalle tasche e dai portafogli degli italiani e delle italiane (non poche le donne che giocano) una novantina di miliardi, addirittura 96 secondo la Federconsumatori. Facile immaginare a quali livelli siano giunti gli incassi erariali.
Ma, un conto è tassare più severamente i giochi online, video-lotterie, videopoker, skill games, anche per scoraggiare soprattutto i più giovani (come fa la Francia). Un conto è chiedere di intensificare i controlli della Guardia di Finanza su locali e videopoker illegali o irregolari (stimati dalla GdF sul 20 % del totale). Un altro, invece, sottoporre alla platea di italiani/e, spinti/e a scommettere sempre di più dall’impoverimento, un paniere ancora più ricco di giochi. Moralmente scandaloso, politicamente inqualificabile.
La dipendenza dal gioco d’azzardo viene infatti stimata in allarmante crescita, specie fra i più giovani i quali ormai possono rovinare se stessi e le loro famiglie anche giocando da casa, online. Ne è affetto, pare, il 7,5 %. Le pubblicità che dovrebbero tenerli lontani o intimorirli sono da noi le più blande e inoffensive. Così, all’interno di un volume di giocate balzato nell’ultimo decennio da 15,4 a oltre 90 (pare) miliardi di euro, la metà di questa spesa, una enormità, è ormai assorbita dai giochi virtuali. Praticati in una squallida sala giochi oppure da casa, via computer o cellulare. Ossessivamente solitari. Una volta gli adulti andavano al Casinò anche per provare, assieme brivido della roulette o del baccarà, il fascino della perdizione. Oppure, più familiarmente, si accalcavano nelle tribune, nel parterre degli ippodromi per ammirare i figli o i nipoti di Ribot e di Mistero, più di recente il fenomenale trottatore Varenne. E si leggevano bei libri come “Corse al trotto vecchie e nuove” di Emilio Cecchi o “La carriera di Pimlico” di Manlio Cancogni. Certo, anche nei Casinò o negli ippodromi c’era gente che si rovinava, ma non erano le decine di migliaia di oggi, né potevano essere dei ragazzi.
Oggi i quattro Casinò – Venezia, Saint Vincent, Campione d’Italia, Sanremo – chiudono bilanci negativi (ed è un guaio anche per i Comuni che li ospitano e che ne ricavano minori entrate) e alcuni ippodromi chiudono cancelli, piste, stalle. E si chiamano, nientemeno, San Siro Trotto a Milano e Tordivalle (pure trotto) a Roma. Il cemento speculativo inghiottirà quelle vaste aree verdi? A Milano forse no, l’ippodrono di galoppo è vincolato, a Roma probabilmente sì: i fratelli Parnasi, proprietari dei terreni, hanno già offerto l’area per il nuovo Stadio della Roma Calcio (con annessi quartieri residenziali). Agnano è stato chiuso per mesi. Ha già sbarrato da tempo i cancelli il primo ippodromo della storia (1806), quello di Padova, anch’esso per il trotto. Proprio il trotto, praticato con cavalli mezzosangue, sport, pertanto, molto più legato alla campagna (il cavallo col calesse, il cavallo da tiro, ecc.) dell’aristocratico galoppo (solo purosangue) in Italia attirava i due terzi degli spettatori e delle giocate e quindi “manteneva” anche il più elitario galoppo. Vi sono intere regioni (Emilia-Romagna, Veneto, Friuli-Venezia-Giulia) dove ci sono soltanto ippodromi di trotto. Una frana quindi per l’intero sistema dal momento che le giocate alimentavano il montepremi il quale a sua volta alimentava gli allevamenti (un 10 per cento dei premi vinti dal cavallo va al suo allevatore, per tutta la carriera). Sono 50.000 posti di lavoro che ballano, fra diretti e indiretti.
I migliori trottatori italiani e i loro driver sono emigrati, corrono già a Parigi, a Cagnes, a Deauville. Oppure in Germania, in Svezia. Dovunque hanno saputo ancorare, giustamente, l’allevamento del cavallo da corsa alle politiche agricole, incoraggiando gli allevatori ed evitando che i gestori di scommesse (come il nostro Sindacato Nazionale Agenzie Ippiche) divenissero pure proprietari di ippodromi, e di cavalli, con uno smaccato conflitto di interessi. Gli impianti di San Siro sono della Trenno che in realtà è dello SNAI. Lo stesso Sindacato è passato a gestire anche altre scommesse dopo aver spolpato il settore ippico. Oggi i 50-60.000 posti di lavoro dell’ippica, “sani”, gratificanti, professionali, vengono dispersi nell’indifferenza dei più. A favore della Azzardopatia, giovanile per giunta, dei scommesse online, anche sulle corse dei cavalli, effettuate cioè da casa, dal cellulare, dall’ipad…