Stiamo assistendo alla campagna elettore più violenta dal dopoguerra ad oggi. La definizione data da Maltese è perfetta: “Brutta, sporca e cattiva”. Una campagna molto lontana dai cittadini e dai loro bisogni. Non vi è più alcun rispetto, tutto sembrerebbe lecito pur di raggiungere l’obiettivo. Questo si riflette anche sul Festival di Sanremo. Prima della partenza Berlusconi si scaglia (per partito preso senza aver visto almeno la sigla di testa), contro Fazio, Littizzetto e la Rai (azienda che dovrebbe solo ringraziare per il tanto – troppo – spazio che gli sta concedendo per le elezioni), prima pretende il rinvio della kermesse canora poi, informato della presenza del comico Crozza, ipotizza che il 50 per cento delle famiglie smetteranno di pagare il canone perché il Festival è fatto da comunisti, che per trovarli in Italia bisogna usare la lente d’ingrandimento. Nonostante che i suoi uomini in Rai ricoprono ancora posizioni strategiche (il gruppo Delta è ancora super attivo), il direttore generale Gubitosi ha tenuto il punto decidendo di confermare in palinsesto la data prevista.
La realtà è che il Cavaliere è spiritoso solo quando è lui che racconta le barzellette, quando sono gli altri a tenere la scena il sorriso a trentadue denti gli muore e i comici gli sono indigesti: prima di Crozza è stato la volta di Daniele Luttazzi, Paolo Rossi, Antonio Cornacchione, Enrico Bertolino, Sabina Guzzanti, Luciana Littizzetto, su tutti Roberto Benigni. Il premio Oscar è però intoccabile, attaccarlo direttamente è sconsigliabile perché è a rischio la popolarità. Benigni è troppo amato, lui non divide unisce.
In occasione della puntata del Fatto (la famosa intervista di Enzo Biagi a Benigni alla vigilia del voto nel 2001, ormai alla storia), Berlusconi se la prese con Biagi (editto bulgaro) e non con Benigni. Tentare di spostare il Festival e di mettere il bavaglio alla satira perché è in corso la campagna elettorale può accadere solo in Italia che è un paese in cui vige, da troppi anni, un regime mediatico che consente al proprietario di Mediaset di mantenere immutato il suo conflitto d’interessi, di fare politica, di decidere in quale trasmissione andare e di decidere da chi farsi intervistare. In un altro ventennio queste liste di non graditi si chiamavano di proscrizione.
Quello che è accaduto a Maurizio Crozza al Teatro Ariston ha il sapore di fascismo, è mancata solo la sberla del gerarca. Poco importa se i contestatori erano una decina, all’inizio tutta la platea si è adeguata tacendo. Disse Petrolini, rivolgendosi a uno spettatore che dalla galleria lo fischiava: “Io non ce l’ho con te ma con quello che ti sta di fianco che non ti ha ancora buttato di sotto”. I più accaniti contestatori del comico genovese si è scoperto iscritti al Pdl, uno addirittura è stato consigliere comunale. Quello che si è consumato l’altra sera è stato un agguato premeditato.
Lo spettatore normale guarda poi contesta, non il contrario. Crozza è stato un esempio di par condicio: la sua satira ha colpito indistintamente Berlusconi, Monti, Bersani e Ingroia. Grillo e Giannino, gli unici che, a ragione, avrebbero dovuto reagire per essere stati esclusi dalle battute del comico. Berlusconi contesta la satira di Crozza e assolve le tangenti della Finmeccanica dicendo che quando si tratta con un paese del terzo mondo la tangente è all’ordine del giorno. L’India una delle maggiori potenze mondiali definita del terzo mondo, l’Italia con politici come Berlusconi cos’è?