Questa volta ha colto tutti di sorpresa. E i richiami a Celestino V non servono a nulla, visto che il gran rifiuto a tutti noto grazie a Dante fu in realtà estorto dal successore. Così Ratzinger, il papa conservatore, ha rotto una tradizione bimillenaria, lasciando la curia con gli occhi di fuori. Non v’è ombra di dubbio infatti che Joseph Ratzinger abbia posto un problema strutturale dicendo testualmente: ” Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede,per governare la barca di Pietro è necessario il vigore sia del corpo sia dell’animo.” Dunque occorre essere figli di questi tempi così rapidamente mutanti, cosa che un novantenne o giù di lì non può essere.
Questa rivoluzione culturale fa passare in secondo piano le altre discussioni: quali i veri motivi? sarà lui a decidere il suo successore? quanto ha pesato sulla scelta lo scandalo di Vatileaks?
Tutto questo c’è, non può non esserci, pesa, non può non pesare. Ma la verità è che Ratzinger rompendo una tradizione ha imposto la necessità di riflettere sulle altre riforme attese da tempo, e che dividono nella loro rivoluzionarietà quanto quella sulle dimissioni del papa. E cioè: sacerdozio femminile, collegialità nella chiesa, celibato dei preti, comunione per i risposati. Sono questi i convitati di pietra al prossimo conclave. E forse il sempre più necessario Concilio Vaticano III.
Poi, ma molto poi, si può parlare di fatti contingenti, come la nascita di un nuovo fattore: ci sarà il partito della pressione? Cioè, quando un papa avrà una certa età si comincerà a chiedergli di fare come fece Ratzinger? Ma questo evidenzia la portata radicale della novità: il discorso dovrà essere affrontato, e non potrà essere lasciato “al caso”.