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Paciolla, nuove testimonianze confermano clima infame e corrotto intorno a Mario

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«Esistono delle omissioni significative nei rapporti di alcuni membri delle Nazioni Unite in Colombia e una certa reticenza nei confronti delle testimonianze di chi vive sotto minaccia nel paese e accusa le Forze armate regolari di uccisioni arbitraire. Mario Paciolla, come osservatore dell’Onu, aveva raccolto le voci di chi manifestava sfiducia nei confronti del contingente e denunciava che il mandato ad esso affidato fosse stato disatteso».
A parlare, sotto garanzia di anonimato, è un ex funzionario dell’UNVMC, la Missione di verifica delle Nazioni Unite in Colombia, incaricata dal Consiglio di sicurezza nel 2017 di monitorare l’andamento dell’accordo di pace e dei negoziati tra il governo e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, oggi partito politico rinominato “Forza alternativa rivoluzionaria comune”.
«Non sempre è stata fatta la pressione necessaria sulle autorità colombiane per investigare in modo rigoroso, senza compromessi e secondo standard di indipendenza, su alcuni omicidi e massacri di civili. Come nel caso dell’ex leader delle FARC Dimar Torres Arévalo e tutti coloro che, come lui, avevano creduto nel processo di pace per poi ritrovarsi vulnerabili in un contesto di continua violenza e impunità» sottolinea la fonte sostenendo che esponenti del governo abbiano coperto quei crimini «invece di garantire un futuro di stabilità in Colombia».
Mario Paciolla, morto misteriosamente a San Vincente del Caguán il 15 luglio del 2020, lo aveva documentato, come nel caso del bombardamento nell’agosto del 2019 in cui erano stati uccisi dei minori. Per questo sarebbe stato eliminato.
Più di un collega ha confermato che Paciolla aveva raccolto dati sensibili, a cominciare dall’ingiustificato dislocamento forzato delle famiglie delle vittime dell’attacco, e aveva manifestato un forte fastidio per la leggerezza dei toni di “certi rapporti” nonché delle relazioni ambigue tra alcuni peacekeeper, l’esercito e la polizia locale.
Ma, soprattutto, «Mario non accettava la passività dell’Onu di fronte ai raid aerei contro i civili e l’aumento degli omicidi selettivi degli ex combattenti delle FARC» sostiene Claudia Julieta Duque, giornalista colombiana che si è occupata da subito della morte di Paciolla avanzando il sospetto che si fosse trattato di un assassinio.
A smentire la tesi del suicidio avanzata dall’Unità di Investigazione Speciale del Dipartimento di salvaguardia e sicurezza delle Nazioni Unite, anche i rilievi dell’autopsia e gli elementi acquisiti dai legali della famiglia Paciolla, le avvocate Alessandra Ballerini e Emanuela Motta.
Il 33enne napoletano, alto poco più di 1 metro e 60, si sarebbe impiccato con un lenzuolo legato a una grata sotto il soffitto. Ma, vista l’altezza, non avrebbe potuto appenderlo da solo neanche salendo su un tavolo o una sedia.
C’è poi il ruolo oscuro di Christian Thompson Garzón, ex militare e responsabile della sicurezza dell’UNVMC.
Insieme a quattro poliziotti colombiani, l’uomo era stato accusato di “inquinamento delle prove” ma Thompson aveva ammesso di aver prelevato dalla stanza del collega “solo” i dossier sui viaggi nel paese tra agosto 2019 e luglio 2020 per consegnarli alla procura colombiana.
Nonostante le tante ombre sulla morte del cooperante delle Nazioni Unite, l’inchiesta avviata dalla Procura di Roma all’indomani della scoperta del corpo sembra destinata all’archiviazione.
I genitori di Mario, Giuseppe Paciolla e Anna Motta,si sono appellati contro la richiesta dei pm. Dal primo momento si sono mobilitati per fare luce su ciò che era davvero accaduto al figlio.
L’ultima speranza è che le dichiarazioni dell’ex funzionario della Missione ONU in Colombia possano aprire uno spiraglio nel muro alzato dalla Procura.
Non è la prima volta che vengono mosse accuse nei confronti di membri di alto profilo del contingente nel quale operava Paciolla.
La testimonianza riportata da L’Espresso getta luce su un contesto allarmante, dove l’ipotesi barcollante del suicidio non è stata mai messa in discussione.
«Non si tratta solo di “speculazioni” su un possibile omicidio. Ma di fatti che andrebbero opportunamente indagati» sostengono i genitori di  Paciolla.
«Mario è stato trovato morto nel suo appartamento pochi mesi dopo un rapporto sul controverso bombardamento avvenuto il 29 agosto del 2019 nella frazione Aguas Claras del municipio di San Vicente del Caguán, che aveva causato la morte di sette minorenni tra i 12 e i 17 anni. Insieme ai suoi colleghi, aveva documentato le circostanze di questo attacco, in particolare esaminando il contesto in cui erano stati reclutati i ragazzi da El Cucho, un comandante dissidente delle FARC. In quel frangente, Mario si è sentito in pericolo e tradito» denunciano i genitori del cooperante, i cui timori si sono intensificati quando ha saputo che le sue relazioni erano state “passate” a senatori del governo colombiano.
Tra il 19 e il 21 novembre 2019, Paciolla ha confidato a diversi amici di aver subito attacchi cibernetici a seguito dell’ondata di scandali militari che stava sconvolgendo la Colombia.
Con grande determinazione, aveva chiesto il trasferimento, temendo per la sua sicurezza. Aveva più volte affermato di sentirsi “usato” e “tradito” dai suoi superiori.
Le sue riserve erano giustificate anche dal clima di tensione interna alla missione ONU e alle divisioni crescenti dopo la fuga di notizie delicate riguardanti pratiche poco ortodosse delle forze armate colombiane.
L’ex ministro della difesa Guillermo Botero, in un contesto già critico nei confronti della UNVMC, si era opposto a qualsiasi forma di verifica da parte di quest’ultima e si era spesso rifiutato di incontrarne i rappresentanti.
Malcontento e conflitti politici hanno portato a un’escalation di ritorsioni che hanno messo in pericolo i membri del contingente, tra cui Paciolla, che aveva acquistato un biglietto per lasciare il paese il giorno prima della sua morte.
«La Colombia non è sicura per me» aveva scritto a un amico, esprimendo il desiderio di volere una nuova vita lontana da ciò che gli procurava ansia e paura.
A fronte di tutti gli elementi e le informazioni acquisiti nei quattro anni di indagine, appare incomprensibile la richiesta di archiviazione del caso, che potrebbe essere disposta nella prossima udienza, in un primo momento fissata per il 14 gennaio e poi rinviata, al tribunale di Roma, decretando di fatto l’accettazione della tesi del suicidio.
Tuttavia, per molti, chiudere l’inchiesta senza andare a fondo significherebbe ignorare un intricato insieme di eventi e testimonianze che, al contrario, richiederebbe un supplemento di indagini.
I genitori di Mario, in particolare, non hanno mai creduto che il figlio si sia tolto la vita, insistendo che la verità sulla sua tragica fine debba essere portata alla luce.
La vicenda di Paciolla non è solo la storia di un cooperante morto misteriosamente in un contesto di corruzione e omicidi, ma anche un accorato richiamo alla responsabilità e alla sicurezza di coloro che operano in territori di conflitto, mettendo a rischio le loro vite in nome della pace.
La magistratura italiana e le Nazioni Unite si trovano di fronte a una sfida cruciale: chiarire ciò che è accaduto davvero al cooperante napoletano e garantire che eventi drammatici come questo non vengano frettolosamente archiviati ma, piuttosto, affrontati con la serietà che meritano.


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