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Una grazia per Julian Assange. Papa Francesco illumini Biden

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Il Coordinamento Italiano Assange ha inviato una lettera a Papa Francesco affinché nell’incontro previsto con il presidente uscente degli Stati Uniti ponga il problema del fondatore di WikiLeaks, chiedendo di concedere al giornalista -oggetto per anni di una vera e propria persecuzione giudiziaria- la grazia.

Negli USA il «perdono» della Casa Bianca alla fine del mandato è un’usanza frequente e con maglie assai larghe. Non dimentichiamo, tra l’altro, che a giovarne è pure il figlio dello stesso Biden.

Perché attiviste e attivisti, mobilitati da tempo hanno immaginato simile opportunità? Semplice: il patteggiamento intercorso tra il collegio di difesa e i rappresentanti dell’accusa lo scorso giugno non ha, purtroppo, ripulito la fedina penale dell’inquisito. Per sua natura, infatti, lo strumento utilizzato per tutelare una vita umana in serio pericolo ha richiesto l’ammissione di una pur limitata colpa, con le connesse restrizioni della piena libertà di movimento e dell’attività professionale.

Non solo. Rimane appeso in aria il ricorso alla legge del 1917 Espionage Act, quella che ha tenuto nel carcere speciale di Belmarsh a Londra un potenziale condannato a 175 anni di detenzione.

Per evitare che simile antistorica (e brutale) disciplina possa incombere su casi omologhi, minando le fondamenta del diritto ad informare e ad essere informati, è necessario che Assange non abbia residui sgradevoli in un curriculum dedicato allo svelamento degli arcani del potere segreto.

Due deputati statunitensi, McGovern democratico e Muskie repubblicano, sono intenzionati -recita la lettera a Bergoglio- a proporre una modifica all’Espionage Act, depotenziandone gli effetti nocivi per il giornalismo. Tuttavia, chiedono un sostegno adeguato e niente come una grazia presidenziale può convincere il Congresso a rivedere un testo antico e reazionario.

Si stanno raccogliendo firme all’appello ed è in corso un ampio invio di mail di appoggio alla segreteria di Stato vaticana.

La passata domenica una delegazione del Comitato ha aperto lo striscione con la scritta «Stop war on journalism. Pardon Assange» in via della Conciliazione a Roma, all’ora dell’Angelus.

Non si tratta di una lotta residuale e neppure ha senso considerare chiusa la vicenda. È vero che Assange è finalmente a casa in Australia con la moglie avvocata Stella Moris e i figli. L’obiettivo fondamentale della campagna avviata tre anni fa dal Premio Nobel argentino per la Pace del 1980 Adolfo Pérez Esquivel (in ottimi rapporti con Francesco) è stato sì raggiunto, ma ora serve un finale adeguato al valore della caparbia lotta portata avanti da centinaia di persone, note e meno note.

Oltre al valore in sé dell’iniziativa, che già sarebbe sufficiente, è indispensabile cogliere il ruolo emblematico di una storia: esemplare.

Ne va dell’autonomia e dell’indipendenza di un campo oggi sempre più oppresso, come dimostra l’incredibile eccidio dei reporter a Gaza. E come indica pure la detenzione in un orribile carcere iraniano di una cronista -Cecilia Sala- colpevole di fare con passione il suo mestiere. Ieri in piazza dei Ss. Apostoli a Roma si è tenuto un partecipato sit-in di protesta promosso dall’Ordine dei giornalisti del Lazio e dal sindacato.

Joe Biden ha commutato a dicembre la pena capitale di 37 prigionieri federali, per segnalare al Congresso e ai singoli Stati che la piaga delle esecuzioni mortali va abolita.

Ecco, allora, che la grazia concessa a Julian Assange si caratterizzerebbe come un ulteriore salto di qualità positivo. E la giurisprudenza anglosassone si basa sulle casistiche singole e i precedenti. Insomma, si attende un momento di giustizia equa e sostanziale.

La questione della libertà di informazione è diventata un momento chiave della vicenda generale. Calpestare le prerogative dei contropoteri – dai media classici e nuovi alla magistratura- è diventato uno dei capitoli di quelle che vengono chiamate democrature.

Siamo ai confini della democrazia, ormai cancellati quotidianamente.

Che dio attraverso il Papa illumini Biden, prima che Trump e Musk scatenino l’inferno.


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