BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

2024-2025: a cavallo fra due epoche 

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Si chiude un anno doloroso per noi di Articolo 21. Questo mese, infatti, ci ha portato via due amici carissimi: la partigiana Iole Mancini e Gianni Rossi, uno dei nostri fondatori e punti di riferimento. A luglio, poi, saranno dieci anni dalla scomparsa di Santo Della Volpe, un altro dei nostri fondatori e un grande giornalista. È stato lui, nel tempo, a farsi portavoce della battaglia di Casale Monferrato contro la strage causata dall’amianto, è stato lui a tenere alta la bandiera del lavoro di qualità, è stato lui a farsi carico del dolore dei familiari delle vittime della ThyssenKrupp, è stato lui ad accendere i riflettori sul caporalato ovunque si verificasse ed è stato lui, nell’ultima fase, quando era già malato, in qualità di presidente della FNSI, a battersi contro censure, querele temerarie e bavagli, dimostrando di essere il degno erede di Roberto Morrione.
Sono tanti i giganti che non ci sono più. Quest’anno abbiamo ricordato il decennale della scomparsa di Federico Orlando e potremmo andare avanti ancora a lungo. Non è, tuttavia, di passato che vogliamo occuparci ma di futuro. Per quanto il passato sia una parte essenziale della nostra attività giornalistica e umana, del nostro modo di intendere la vita e i rapporti con gli altri, non vogliamo rimanerne intrappolati. Certo, non possiamo prescindere dal bellissimo ricordo che ci consegnò qualche anno fa Sergio Lepri, partigiano liberale, per quasi trent’anni direttore dell’ANSA, in merito alla caduta del fascismo: non in un anno nel quale si celebrano gli ottant’anni della Liberazione dal nazi-fascismo, non se della Costituzione, programma politico della Resistenza, né abbiamo fatto il nostro caposaldo. Ma è il futuro a chiamarci. Perché la Resistenza non è stata una lotta di conservazione ma, per l’appunto, di liberazione. Quei ragazzi e quelle ragazze guardavano al domani, sognavano un’altra idea di mondo e si battevano affinché si realizzasse. Anche per questo non accettiamo determinate equiparazioni: i partigiani non avevano alcun desiderio di uccidere, al punto che lo stesso Bentivegna ha intitolato il suo libro su via Rasella “Senza fare di necessità virtù”. L’uso della violenza, per quanto necessario, non era il loro progetto. La loro utopia concreta era costruire “un’Italia più giusta e più buona”, come scrisse Enzo Biagi, citando Giosuè Borsi (poeta e combattente, morto su Podgora durante la Prima guerra mondiale), sul primo numero di “Patrioti”, la rivista della sua brigata partigiana che fondò e diresse.
Vogliamo, dunque, guardare avanti senza star qui a tracciare troppi bilanci.
Il 2024 è stato un anno orribile, segnato dalla mattanza in Ucraina e dallo sterminio di Gaza, dall’inasprirsi della crisi mediorientale e dall’abisso morale di un mondo che spende sempre di più in armi e sempre di meno in sanità e istruzione.
Vogliamo guardare avanti per non ripetere gli errori commessi in questi dodici mesi, ben coscienti che ci attenda un anno ugualmente difficile e tragico e che la vittoria di Trump, conseguenza diretta della crisi democratica che attanaglia l’intero Occidente, non farà che peggiorare il quadro complessivo, in una stagione in cui dilagano, a ogni latitudine, nuove e pervasive forme di fascismo.
Vogliamo guardare avanti parlando di RAI: un’azienda che andrebbe salvata da se stessa e da un declino ormai sotto gli occhi di chiunque, con il rischio di perdere addirittura l’organizzazione del Festival di Sanremo e tutto ciò che vi ruota intorno, in termini di ascolti, ritorno economico e visibilità sui social.
Vogliamo guardare avanti animati dalla convinzione che non si possa prescindere dalla costruzione di uno schieramento radicalmente alternativo a questa destra, apparentemente fortissima ma in realtà dilaniata da letture incompatibili della società e degli equilibri mondiali, oltre che dalle feroci ambizioni dei suoi leader.
Vogliamo guardare avanti rivolgendo l’attenzione che merita alla scuola, il cui ministro, come abbiamo scritto in tempi non sospetti, costituisce la cartina al tornasole di questo esecutivo.
Vogliamo guardare avanti tornando a parlare di lavoro, di carceri, di ultimi e di esclusi, perché non c’è dubbio che si stia consumando una macelleria sociale sulla pelle dei più deboli.
Vogliamo guardare avanti battendci al fianco di chiunque abbia deciso di non arrendersi.
E vogliamo guardare avanti, infine, partendo dal presupposto che siamo a cavallo fra due epoche, sospesi fra il non più e il non ancora, con la prospettiva che tutto precipiti o che, al contrario, tutto ricominci.
Nel frattempo, rabbrividiamo all’idea che Naval’nyj non sia più fra noi mentre abbracciamo idealmente Julian Assange, finalmente libero dopo aver subito un calvario senza precedenti per la sola colpa, cioè per il merito, di aver rivelato alla collettività le innumerevoli colpe dell’Occidente in Afghanistan e in Iraq, dove senza ombra di dubbio si sono consumati dei veri e propri crimini contro l’umanità.
Nell’anno che sta per iniziare potrà accadere di tutto. In quello che sta per finire, abbiamo assistito al crollo delle nostre ultime certezze. Potrebbe anche essere un bene, a patto di imparare a interpretare il nostro tempo e a esserne protagonisti.
Non mi faccio alcuna illusione, ma un orizzonte lo delineo davanti a me: quello di veder andare a casa l’attuale governo italiano e quello di veder risorgere qualcosa a sinistra, in un Vecchio Continente nel quale ormai non è rimasto più nulla da difendere, meno che mai in Francia e in Germania, dove il progetto dell’Europa unita nacque e dove oggi rischia di naufragare sotto i colpi di nuovi populismi di natura fascistoide.
In conclusione, il 2024 è stato l’anno della fine, il 2025 potrebbe essere quello di una parziale, e magari illusoria, rinascita. Indubbiamente, non siamo gli stessi di dodici mesi fa e saremo assai diversi nel dicembre del prossimo anno. Tutto sommato, potrebbe essere un’opportunità da non sprecare.

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