Quest’anno ricorre il centocinquantesimo anniversario della prima mostra che gli Impressionisti, cacciati dai Salons e definiti allora da un articolo de “Le Figaro” come un gruppo di “ alienati”, di “folli”, tennero nello studio del fotografo Nadar sul finire del 1874. Insieme a Monet, Renoir, Pissaro, Sisley, Degas c’era una donna, allora trentatreenne, Berthe Morisot, che insieme ai suoi amici dovette sopportare le sprezzanti critiche dell’epoca, oltre alla riprovazione generale per essere l’unica donna in un gruppo di uomini. Berthe non si fece scoraggiare, anzi non aveva ascoltato nemmeno i benevoli consigli del suo amico Manet, il quale già aveva suscitato scandalo con “Dèjeuner sur l’erbe” e “Olympia” e che ritenendo un errore abbandonare le sedi istituzionali, si era amabilmente rifiutato di unirsi al gruppo degli impressionisti. Berthe Morisot apparteneva a una famiglia colta e agiata, il padre prefetto e in politica conservatore e la madre, discendente del pittore del settecento Fragonard, mostrarono una grande sensibilità e apertura verso l’educazione delle figlie, assecondando la loro passione per l’arte. Oltre alla sorella maggiore Yves, che non aveva inclinazioni artistiche, Berthe aveva un’altra sorella, Edma, amica diletta e complice, che come lei amava dipingere. I genitori acconsentirono nel 1855 a che la due ragazze prendessero lezioni di disegno da Geoffroy Chocarne e nel 1857 da Joseph Guichard, allievo di Ingres. Egli si accorse subito del loro particolare talento e mise in guardia i genitori dall’ assecondare una passione che avrebbe portato le figlie a un destino di pittrici che avrebbe potuto metter in imbarazzo una famiglia borghese come la loro. La madre non si fece impressionare e le figlie poterono perfezionarsi con Camille Corot, ormai anziano, che insegnò loro a dipingere all’aperto, tanto che Berthe esordì al Salon di Parigi del 1863 proprio con un paesaggio. Edma e Berthe lavoravano insieme, si dipingevano a vicenda ed esposero insieme ai Salons dal 1864 al 1868, raccogliendo successo e stupita ammirazione.
Nel 1868 Berthe conobbe Edouard Manet che le chiese di posare per lui per il quadro “Le Balcon” e altre dieci tele. I due si legarono di una complessa amicizia amorosa, ma Manet era sposato. Nel 1869 la sorella Edma si sposò, si trasferì in Bretagna e abbandonò la pittura dedicandosi al ruolo di moglie e madre. Poco dopo le nozze ebbe una bambina, Blanche che Berthe immortalò insieme alla madre nel sensibile dipinto “La culla”. Quadro di altissima tecnica pittorica fu esposto nel 1874 alla leggendaria mostra degli impressionisti, ma non fu mai venduto, anche dopo che il gallerista Paul Durant-Rouel riuscì a imporre lei e i suoi compagni ai collezionisti più raffinati. Dopo il matrimonio della sorella, Berthe continuò con determinazione la sua attività di pittrice, partecipando regolarmente alle mostre degli impressionisti, cui rimase legata da amicizia per tutta la vita; delle otto esposizioni da essi organizzate dal 1874 al 1886 ne saltò solo una, quando nacque la figlia Julie. L’artista, era rimasta a lungo nubile e solo nel 1874, dopo aver rifiutato la proposta di matrimonio del pittore Puvis de Chavanne, aveva sposato il fratello di Manet, Eugène, dedito anche lui alla pittura per un certo periodo. Uomo singolare per quel tempo, non esitò a mettersi a disposizione della moglie, vivendo nella sua ombra e favorendo in tutti i modi la sua carriera artistica. Morisot, già vedova, morì a soli cinquantaquattro anni nel 1895, probabilmente di polmonite. I suoi amici impressionisti e il poeta Mallarmé alla sua morte si presero cura della figlia, allora adolescente. L’artista aveva lavorato incessantemente durante la sua vita, tuttavia, pur esponendo regolarmente aveva vissuto una vita piuttosto appartata.
Non aveva bisogno di vendere per vivere e dopo la sua morte gran parte della sua opera rimase alla famiglia e forse per questo, oltre al solito pregiudizio verso una donna, dopo la sua scomparsa è stata dimenticata e le sue opere sono meno presenti nei musei anche in Francia. Quest’ anno per la prima volta in Italia, in occasione del citato anniversario, sono a lei dedicate due mostre, una al Palazzo ducale di Genova fino al 23 febbraio e una alla Gam di Torino fino al 9 marzo. In questi mesi è uscito anche il libro di Mika Biermann, Tre notti nella vita di Berhe Morisot, L’Orma, 2024. L’autore in un lavoro che il risvolto di copertina definisce “Fra romanzo d’artista e fantasia biografica”, isola tre giorni e tre notti nella vita dell’artista, immaginando una breve vacanza di svago e di pittura in campagna col marito, qualche mese dopo le nozze. L’esergo del libro sembra giustificare il ricorso all’immaginazione da parte dell’autore:“Vita avvilente per un biografo affamato di avventure, avido di eccitazione, alla ricerca di avvenimenti patetici o anche di aneddoti pittoreschi …” Così si esprimeva Armand Fourreau in “Berthe Morisot, 1925”, prima biografia completa dell’artista. Del resto apprendiamo dai suoi intimi amici che Berthe era una donna timida e molto riservata. Poco dopo la sua morte il poeta Paul Valery, che era stato suo buon amico, di lei scriveva: “Quanto alla sua personalità, è noto che fu delle più schive e riservate; distinta per natura; facilmente e pericolosamente taciturna, inconsapevole d’imporre un’inspiegabile distanza a chiunque l’avvicinasse senza essere uno dei più grandi artisti dell’epoca”. In realtà, come spiega Valery, questa sua apparente distanza era dovuta non ad assenza, ma a “eccessiva presenza” al mondo, concentrata come era nello sforzo di cogliere la purezza delle cose, l’occasione, l’astrazione del momento da tradurre nella sua opera. Dietro la sua distanza e riservatezza c’era una personalità complessa. Berthe aveva sofferto a lungo di anoressia, impenetrabile e ombrosa, trovava pace solo nella pittura o nelle lunghe sedute di posa per il suo brillante amico Manet.
Solo negli ultimi anni di vita, nel suo particolare rapporto col marito, appagata dalla nascita della figlia Julie, pare che abbia cominciato a smussare alcuni tratti del suo carattere, pur mantenendo la sua estrema riservatezza e riuscendo, oltre ad essere diventata una grande artista, a ricevere e riunire nel curioso salotto – atelier della sua casa, in parte ricostruito nella mostra di Genova, numerosi amici pittori e artisti di fama. E’ forse nelle pieghe degli aspetti complessi, a volte enigmatici della sua personalità, in apparente contrasto con la luminosità e la leggerezza dei tocchi agili delle sue pennellate, che si è insinuata l’immaginazione di Biermann per scrivere il suo breve romanzo. L’autore, pur narrando in terza persona, sembra descriverci una realtà filtrata dall’occhio dell’artista Morisot “ Il sole trasforma le foglie in vetro, la polvere in oro, il fiume in luce … La melma disegna una spiaggetta sotto la volta dei rami … i pesci saltano come cucchiai d’argento … Durante la notte, il mondo diffonde il nero … il mondo è un polpo gigante che svuota la sua sacca d’ inchiostro. Quel che nei quadri la gente scambia per nero è una sapiente miscela di blu, di verde, e di rosso. Il nero puro non ha profondità”. I tre giorni sono vissuti intensamente, il corpo si ricorda di saper nuotare nell’acqua di un fiume, si abbandona ai colori e ai paesaggi della campagna. Gli oggetti del quotidiano compongono nature morte “Un bicchiere d’acqua incontra un raggio di sole. Sul legno unto tremolano i riflessi. Una mela verde aspetta il verdetto”. Berthe vive il desiderio fortissimo di dipingere un buon quadro “il desiderio fa bene, è un’ ottima guida, ci si può dipingere insieme. Il desiderio è un colore che non ha nome”. Dipinge un paesaggio, tenta un ritratto del marito, vuole fare un ritratto a Nine, la giovane cameriera di cui il prete del paese dice che è una ragazza senza vergogna. Berthe sperimenta la sua pittura “In che momento un cerchio diventa un sole? La ruota di un carro? Una mongolfiera? Un viso, il viso di Nine?…Quand’è che il giallo diventa luce, il verde un cespuglio? … Quand’è che finisce un quadro? Quand’è che non si può più aggiungere nulla?”. Sappiamo che Morisot trasformerà il non finito in una tecnica sperimentale. Tutto questo di giorno, ma di notte … di notte Berthe durante quella vacanza scopre il desiderio, scopre la sua sessualità e vivrà due notti d’amore di cui non parlerà più con Eugène, che pure aveva preferito al fratello Edouard, perché “molto meno ingombrante come marito”. “Quella notte sarà cancellata dalla loro storia, e dalla storia dell’arte. Le rimarranno la pittura e gli occhi per piangere”. L’indomani partono, Berthe dice a Eugène che desidera un figlio, lui è d’accordo. “Si fa la pace come si può”.