BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

Il ruolo del giornalismo nelle democrazie occidentali: integrare le policy e le procedure degli inviati

0 0

Compendio di sociologia. Fenomeni Geopolitici

Introduzione

Il giornalismo svolge un ruolo fondamentale nel contesto democratico, specialmente in periodi di tensioni geopolitiche, o preparativi per eventuali conflitti. La naturale funzione dei media è quella di informare il pubblico. Tale prerogativa agisce sull’opinione pubblica influenzando il dibattito politico. Questo richiede un approccio responsabile e strategico. Inoltre, l’integrità morale e intellettuale del giornalista e dell’editore che forniscono ad un vasto pubblico le informazioni, in modo particolare da teatri di conflitto, è cruciale nel garantire una comprensione reale ed accurata. A seguito del mio intervento quale formatore a Napoli lo scorso 9 e 10 ottobre, ospite della FNSI e di Stampa Napoletana, ho ritenuto utile analizzare brevemente alcune dinamiche collegandole alle principali trasformazioni geopolitiche, prodotte dai cambiamenti sociologici. Ho incluso anche, in sintesi, una sezione dedicata alle pratiche operative del giornalismo investigativo, ritengo essenziale per affrontare sfide complesse e ambienti ostili, specie a quei giornalisti indipendenti o di piccole testate, che non hanno a disposizione gli stessi strumenti, anche economici, dei loro colleghi appartenenti a gruppi editoriali consolidati.

Sintesi sulle pratiche del giornalismo investigativo

Il giornalismo investigativo richiede un’attenta pianificazione e mitigazione dei rischi, particolarmente in territori a rischio. Secondo la mia esperienza e i principi delineati e confermati da esperti del settore, ecco una breve illustrazione dei principali fattori:

Pianificazione dell’inchiesta: Un’inchiesta deve essere pianificata con lo stesso rigore di un’operazione di intelligence. Ciò include l’analisi dei rischi, la scelta di canali di comunicazione sicuri e la preparazione di itinerari strategici. È essenziale studiare preventivamente la formazione delle forze politiche locali e le loro relazioni internazionali; mappare le aree più sensibili e preparare strategie di fuga in caso di emergenza.

Gestione delle fonti confidenziali: Il rapporto con le fonti richiede riservatezza e una cautela assoluta. Il giornalista deve instaurare un rapporto di fiducia, proteggere l’identità delle fonti e adottare misure per prevenire fughe di notizie. Le informazioni raccolte devono essere verificate attraverso fonti multiple per garantire l’accuratezza e ridurre il rischio di manipolazioni. Più in dettaglio.

Il rapporto tra giornalista e fonte confidenziale è un elemento di estrema criticità, specie in indagini concernenti le mafie, il terrorismo internazionale e quindi a maggior ragione in teatri di conflitto. Quando si istaura un rapporto del genere, si creano nella fonte delle grandi aspettative. Questa promessa in alcuni casi è vitale per il confidente, in modo così marcato che, qualora tradita la fiducia, potrebbe lui stesso diventare una minaccia.

È fondamentale capire il perché viene consegnata una informazione al giornalista, per non trovarsi strumento di disinformazione o peggio di controinformazione. È quindi fondamentale per la propria sicurezza non abbassare mai la guardia, rimanere distaccati, non farsi coinvolgere nei loro drammi o presunti tali. Il rapporto cordiale deve rimanere nei limiti del contatto professionale. Bisogna tener conto che ogni informazione personale che si consegna anche ingenuamente ad una fonte può pregiudicare la vostra sicurezza, quella dei vostri colleghi e anche della vostra famiglia.

Logistica e sicurezza operativa: Operare in territori ostili implica un’attenzione particolare alla logistica. I giornalisti devono utilizzare tecnologie crittografate per le comunicazioni, individuare “safe house” in cui rifugiarsi, e adottare abbigliamento e mezzi di trasporto che li aiutino a integrarsi con la popolazione locale. Tecnologie come GPS sicuri, tracciamento dei parametri vitali e dispositivi di emergenza devono essere standard nelle loro dotazioni.

Partiamo dal presupposto, che i mezzi di comunicazione che normalmente vengono utilizzati per i contatti privati, non devono invece essere utilizzati per mantenere i contatti con le fonti. Mi riferisco a qualsiasi tipo di device, telefono, tablet, pc ecc. Qualsiasi connessione alla rete può esporci a localizzare le nostre posizioni e quindi i luoghi che abitualmente frequentati.

Preparazione psicologica e fisica: Lavorare in territori ostili richiede non solo un’adeguata preparazione fisica, ma anche una preparazione psicologica per gestire situazioni di estremo stress, come attacchi, pedinamenti o isolamento prolungato, o in estrema ratio, non esclusa, una detenzione carceraria.

Collaborazione con enti e organizzazioni locali: Stabilire collegamenti con ONG, ambasciate e altri enti locali può offrire un supporto cruciale sia logistico che informativo. Queste reti aiutano a mitigare i rischi e possono garantire un sostegno immediato in caso di situazioni critiche.

Deontologia e neutralità: In contesti di conflitto, mantenere un approccio neutrale è essenziale per evitare di diventare bersagli delle parti in causa. Le procedure devono essere rispettose delle leggi internazionali, degli usi e costumi della popolazione locale e delle norme deontologiche del giornalismo.

La democrazia necessita di un giornalismo indipendente e non può subire censure da parte dei governi democratici, mentre è implicita la censura in nazioni governate da teocrazie o dittature. È preoccupante la nuova normativa italiana che limita il diritto di cronaca, come quello di critica, come anche l’eccesso del ricorso alla querela o alle cause civili per diffamazione. Il giornalista deve quindi tener presente che se questa è la situazione in paesi occidentali e democratici, il rischio di incappare in pericolosi percorsi in territori bellici, o ostili come l’Ungheria, è molto elevato.

Giornalisti uccisi e sotto scorta

Uno degli episodi più drammatici degli ultimi anni è stato l’assassinio di Jamal Khashoggi, giornalista saudita brutalmente ucciso nel consolato del suo Paese a Istanbul nel 2018. Questo tragico evento ha evidenziato i pericoli che affrontano i giornalisti che sfidano regimi autoritari o operano in territori ostili. Secondo il Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), nel 2023 sono stati uccisi oltre 60 giornalisti in tutto il mondo, una cifra che sottolinea il livello di rischio per chi opera in ambienti pericolosi. Con i conflitti in corso, sono circa 50 le aree interessate, il numero dei giornalisti che hanno perso la vita a causa del loro impegno sul campo, come a Gaza, è esponenzialmente aumentato.

In Italia, il fenomeno delle minacce ai giornalisti è altrettanto preoccupante. Secondo il rapporto dell’Associazione Ossigeno per l’Informazione, oltre 20 giornalisti vivono sotto scorta a causa delle minacce ricevute principalmente da organizzazioni criminali e gruppi estremisti. Inoltre, migliaia di giornalisti italiani sono stati oggetto di querele temerarie, incluso il sottoscritto, un uso strumentale delle cause legali per intimidire e silenziare la stampa. Questi dati mettono in evidenza la necessità di una maggiore protezione per chi esercita il diritto di cronaca o di critica.

Questi principi rappresentano la base per un’operatività efficace e sicura, consentendo ai giornalisti di offrire un’informazione accurata, responsabile e utile al pubblico globale.

Il giornalismo svolge un ruolo fondamentale nel contesto delle democrazie, soprattutto durante periodi di tensioni geopolitiche o preparativi per eventuali conflitti. La capacità dei media di informare il pubblico, influenzare l’opinione pubblica e guidare il dibattito politico, richiede un approccio responsabile e strategico. Inoltre, l’integrità delle informazioni fornite dagli inviati in teatri di guerra è cruciale per garantire una comprensione accurata delle realtà sul campo. Questo documento analizza anche queste dinamiche insieme alle principali trasformazioni geopolitiche prodotte dai cambiamenti sociologici.

1. Cambiamenti sociologici e implicazioni geopolitiche

Nel corso degli ultimi decenni, i cambiamenti sociologici hanno influenzato profondamente la configurazione geopolitica globale. L’interazione tra fenomeni sociali, economici e culturali ha portato a un progressivo stravolgimento degli assi geopolitici tradizionali. Procederò quindi ad esplorare le principali dinamiche sociologiche che hanno contribuito a ridisegnare il panorama geopolitico, con particolare attenzione al ruolo delle superpotenze nel riorganizzare i territori e plasmare nuove alleanze strategiche.

1.1 Migrazioni e demografia

Le migrazioni internazionali, alimentate da crisi economiche, conflitti armati e cambiamenti climatici, hanno avuto un impatto significativo sulla distribuzione della popolazione e sulla composizione culturale di molte regioni. Gli aspetti demografici, con l’aumento esponenziale della popolazione in quasi tutti i paesi dell’Africa occidentale, in primis la Nigeria, sono destinati a cambiare completamente il volto stesso del vecchio continente, comprese le linee politiche. Cambiamenti che toccheranno e in alcuni casi porteranno a diversi processi culturali, come ad esempio quello dell’alimentazione, delle relazioni sociali e persino delle usanze religiose. Questo fenomeno ha generato e genererà ancora di più nuove tensioni geopolitiche, influenzando le politiche di accoglienza e difesa dei confini, oltre a quelle di sicurezza nazionale.

Ad esempio, l’Europa ha affrontato un aumento senza precedenti di arrivi di migranti e rifugiati, mettendo in discussione l’unità politica della stessa Unione Europea e alimentando sentimenti nazionalisti. Parallelamente, negli Stati Uniti, i flussi migratori dal sud del continente hanno riformulato, strumentalizzandolo a beneficio dei nazionalisti, il dibattito politico interno sulla gestione dei confini e sull’integrazione sociale.

1.2 Cambiamenti culturali e globalizzazione

La globalizzazione ha facilitato la diffusione di modelli culturali e valori condivisi, ma ha anche accentuato le divisioni identitarie. In molte regioni, la tensione tra tradizione, progresso culturale e di modernizzazione dei rapporti sociali, ha prodotto movimenti populisti che influenzano le scelte geopolitiche, come è stato per l’uscita del Regno Unito dall’UE (Brexit), o il rafforzamento di politiche sovraniste in diversi stati dell’EU, compresa l’Italia.

1.3 La guerra tra Ucraina e Russia

Un esempio emblematico di stravolgimento geopolitico è rappresentato dalla guerra tra Ucraina e Russia. L’innesco del conflitto è stato dato dalla visione della Russia imperialista e nazionalista. Già nel 2008, l’enciclica del Patriarca Kirill, intitolata “Fondamenti della dottrina sociale della Chiesa Ortodossa Russa“, sottolineava il ruolo della Chiesa nella difesa dei valori tradizionali e nell’affermazione di una missione storica della Russia. Kirill presentava il Paese come un baluardo spirituale contro il declino morale attribuito alle società occidentali.

L’enciclica articolava un concetto di “Rus’ storica“, un’unità spirituale e culturale che comprendeva non solo la Federazione Russa, ma anche Ucraina e Bielorussia, legittimando così, in chiave religiosa, ambizioni territoriali e politiche. Questo documento è stato strumentalizzato per giustificare una politica estera aggressiva, dipingendo l’espansione russa come una crociata per la preservazione dell’identità ortodossa. Tale narrazione ha rafforzato l’orgoglio nazionale e alimentato il desiderio popolare di rivalsa verso le potenze occidentali, percepite come decadenti. Il conflitto in Ucraina, quindi, non è solo un confronto militare, ma anche una manifestazione di tensioni profonde tra un passato imperiale e un ordine mondiale in evoluzione.

2. Lo stravolgimento degli assi geopolitici

2.1 Declino dell’egemonia occidentale

L’ordine mondiale unipolare, dominato dagli Stati Uniti dopo la Guerra Fredda, ha lasciato negli ultimi decenni spazio al rafforzamento di altre strutture geopolitiche multipolari. La crescita economica e militare di potenze emergenti, come Cina, India e Russia, ha contribuito a ridisegnare le alleanze globali. La “Belt and Road Initiative” della Cina rappresenta un esempio concreto di come un cambiamento di natura economica possa avere implicazioni geopolitiche di vasta portata.

2.2 Conflitti regionali e nuovi centri di potere

Il Medio Oriente e l’Africa rimangono aree di instabilità, dove le rivalità tra interessi locali sono spesso esacerbate dalle interferenze delle superpotenze. In parallelo, regioni precedentemente considerate periferiche, come l’Artico, stanno emergendo come nuovi centri di interesse geopolitico per le risorse naturali che sono emerse o emergeranno a causa del cambiamento climatico.

2.3 L’economia russa e la pressione delle spese militari

L’economia russa, con un PIL di circa 2.021 miliardi di dollari, è oggi in grave difficoltà, con una spesa militare che assorbe circa il 9% del PIL, pari a circa 181 miliardi di dollari annui. Questo rappresenta un notevole incremento rispetto agli anni precedenti al conflitto bellico, con il governo russo che continua a destinare risorse considerevoli alla difesa e contrastare l’influenza occidentale. Gli Stati Uniti, invece, hanno un PIL oltre tredici volte superiore a quello russo, 27.358 miliardi di dollari e destinano il 3,4% del PIL alla spesa militare, pari a circa 916 miliardi di dollari. L’Unione Europea, con un PIL di 18.349 miliardi di dollari, destina solo l’1,8%, pari a circa 330 miliardi di dollari.

Ponendo il caso, non remoto, che le potenze occidentali, inclusa l’UE, aumentassero la loro spesa militare di due punti percentuali, il risultato sarebbe significativo:

  • Stati Uniti: Con una spesa al 5,4%, investirebbero circa 1.477 miliardi di dollari.
  • Unione Europea: Con una spesa al 3,8%, investirebbero circa 697 miliardi di dollari.

Questa prospettiva porterebbe a un incremento complessivo di circa 928 miliardi di dollari nella spesa militare occidentale, aumentando a dismisura il divario che diverrebbe insormontabile per la Russia. Per mantenere la parità strategica, o quantomeno mantenere la condizione attuale, la Russia dovrebbe aumentare ulteriormente le sue spese militari, drenando risorse da altri settori, inclusi il welfare e lo sviluppo economico. Tali politiche impatterebbero pesantemente sull’opinione pubblica, ma anche sugli interessi economici degli oligarchi e causerebbe un inevitabile cortocircuito nel potere. Questa situazione potrebbe costringere la leadership russa, e specialmente Putin, a considerare seriamente un tavolo negoziale per porre fine al conflitto.

Il sostegno alla spesa militare dei paesi occidentali non può essere quindi inteso semplicisticamente come una corsa al riarmo a discapito dell’economia dei paesi ma, in un’ottica più tecnica, va letta come strategia di pace, ovvero un tattica costosa sì, ma potenzialmente capace di indebolire l’avversario per scongiurare l’espandersi del conflitto in altre aree del continente, come i paesi che nel secolo scorso e prima della caduta del muro di Berlino, erano sotto l’influenza, anzi controllati dalla Russia o meglio dall’Unione Sovietica.

Parlo di paesi che in gran parte ora appartengono all’UE o che mirano a farne parte, come la Moldavia. Gi effetti della propaganda russa hanno di fatto indebolito anche alcune democrazie europee, come l’Ungheria e ora anche la Romania.

2.4 Le dinamiche socioeconomiche e geopolitiche del Medio Oriente

2.5 La crisi siriana e le sue implicazioni geopolitiche

La Siria rappresenta uno dei conflitti più complessi di questo secolo, con implicazioni che superano i confini regionali per coinvolgere attori globali. Dal 2011 la guerra civile siriana ha causato la morte di centinaia di migliaia di persone e lo sfollamento di milioni, con circa 6,8 milioni, di rifugiati registrati all’estero e oltre 6 milioni di sfollati interni. Quest’ultimi, dopo la caduta del regime sanguinario sciita, stanno ritornando nelle città e inevitabilmente questo causerà disordini.

Il conflitto ha origine nelle proteste della Primavera Araba, ma si è rapidamente evoluto in una guerra civile a più fronti. Da una parte vi era il regime di Bashar al-Assad, sostenuto da alleati chiave come la Russia e l’Iran, e dall’altra una moltitudine di gruppi ribelli, inclusi movimenti islamisti radicali come lo Stato Islamico e Al-Nusra.

Le potenze occidentali, guidate dagli Stati Uniti, hanno sostenuto alcune fazioni ribelli e combattuto lo Stato Islamico, ma spesso con un approccio frammentato.

La Russia, al contrario, ha garantito un sostegno diretto e massiccio al regime di Assad, consolidando la sua presenza geopolitica nella regione e assicurandosi l’accesso strategico al Mediterraneo tramite la base navale di Tartus, che ora sta smantellando, decretandone un evidente fallimento.

La crisi siriana ha anche avuto un impatto diretto sull’Europa, con un massiccio flusso di rifugiati che ha messo alla prova le politiche migratorie dell’UE e ha alimentato sentimenti nazionalisti e anti-immigrazione. Inoltre, la Siria è diventata un campo di battaglia per il confronto tra potenze regionali, con la Turchia, l’Iran e l’Arabia Saudita impegnati in una competizione per l’influenza.

La caduta del regime siriano è stata soprattutto favorita dalla repressione operata da Israele sulle milizie sciite presenti in libano, rendendo in pratica impossibile un intervento di Hezbollah a difesa dell’alleato siriano.

Il Medio Oriente rappresenta un crocevia di tensioni geopolitiche e rivalità economiche, fortemente influenzato dalla competizione tra superpotenze e da dinamiche interne di instabilità. La regione, ricca di risorse naturali, in particolare petrolio e gas, ma anche di strategici sbocchi sul mediterraneo, costituisce il fulcro dell’interesse globale. Tuttavia, la dipendenza da queste risorse ha esacerbato conflitti interni e amplificato le disuguaglianze socioeconomiche.

La divisione religiosa ha radici profonde che risalgono alla morte di Maometto nel 632 d.C., il martirio di Ali nel 661 e gli eventi legati ai massacri di Najaf e Karbala. I sunniti rappresentano la maggioranza della popolazione islamica, con circa l’85-90% (1,8 miliardi di persone), mentre gli sciiti costituiscono la principale minoranza con circa il 10-15% (200-300 milioni di persone). Altre minoranze, come i Drusi (meno dell’1%) [1] e gli Yazidi[2], arricchiscono la complessità religiosa della regione. Anche all’interno del sunnismo esistono differenze, come quelle tra gli omaniti e i sauditi, che riflettono divergenze storiche sia religiose, sia geopolitiche ed economiche.

La crescente influenza della Cina attraverso il rafforzamento di partnership economiche, come gli accordi per l’energia con Iran e Arabia Saudita, o gli interventi di colonizzazione economica dell’africa centrale a forte vocazione islamica, sta ridimensionando il ruolo tradizionale degli Stati Uniti nella regione.

L’Iran, in particolare, rimane un attore chiave, nonostante le sanzioni internazionali e le pressioni diplomatiche, sfruttando alleanze con Russia e Cina, ha per ora mantenuto una certa rilevanza geopolitica, ma è in perenne contrapposizione con il vero protagonista geopolitico, la Turchia.

Parallelamente, le tensioni tra Arabia Saudita e Iran continuano a influenzare i conflitti per procura, come quelli in Yemen o in Sud Sudan, destabilizzando ulteriormente la regione. Inoltre, i movimenti sociali interni, spinti da richieste di maggiore partecipazione politica e giustizia economica, stanno rimodellando il panorama sociopolitico, sfidando i regimi autoritari tradizionali.

3. Le influenze delle superpotenze nella ridefinizione dei territori

3.1 Il ruolo della Cina

L’Estremo Oriente rappresenta una delle maggiori aree di competizione geopolitica per gli Stati Uniti, con la Cina al centro di un’espansione strategica. Sin dal 1998, anno del ritorno di Hong Kong alla sovranità cinese, Pechino ha pianificato un’espansione che si estende su tutta l’area del Pacifico. La rivendicazione di Taiwan, che la Cina considera una provincia ribelle, è solo un tassello di un piano più ampio per ottenere il controllo economico e politico dell’Asia sudorientale e influenzare gli arcipelaghi del Pacifico.

L’obiettivo cinese è garantirsi il controllo delle principali rotte oceaniche, limitando l’influenza economica e militare degli Stati Uniti nella regione. La “Belt and Road Initiative” (BRI)[3] rappresenta uno strumento cruciale in questa strategia, offrendo investimenti infrastrutturali in cambio di allineamenti politici ed economici.

Parallelamente, la Cina si confronta con l’India, che mira a consolidare la sua influenza nell’Asia meridionale. Questa competizione bilaterale è resa ancora più complessa da interessi sovrapposti nei settori energetici e infrastrutturali.

L’espansione strategica della Cina si inserisce in un’epoca di crescente competizione economica globale. Pertanto, la pressione di economie emergenti potrebbe mettere alla prova la ricchezza delle democrazie occidentali, spingendole verso un maggiore equilibrio nella redistribuzione delle risorse globali. Se da un lato questa pressione rappresenta una sfida, dall’altro potrebbe costituire un’opportunità etica per promuovere una maggiore equità economica.

3.1 Il ruolo della Cina

La Cina si è affermata come un attore geopolitico chiave, utilizzando sia il soft power (investimenti, tecnologia, cultura) sia l’hard power (espansione militare nel Mar Cinese Meridionale). Il progetto della Nuova Via della Seta ha ampliato l’influenza cinese in Asia, Africa ed Europa, ridefinendo le relazioni economiche e politiche globali.

3.2 Gli Stati Uniti e la competizione strategica

Gli Stati Uniti, pur mantenendo una posizione di forza, si trovano a fronteggiare sfide significative, anche interne. La competizione con la Cina e il deterioramento dei rapporti con la Russia, hanno spinto Washington a rafforzare alleanze tradizionali, come la NATO, e a sviluppare nuove partnership strategiche nella regione indo-pacifica. La nuova amministrazione che prenderà il potere tra un mese mette in discussione anche l’Alleanza Atlantica e tenterà di imporre alla UE un impegno maggiore, soprattutto in termini economici e militari, per difendere i propri confini, finora garantiti dalla massiccia presenza di strutture e truppe militari americane. Sono almeno 80 mila i soldati statunitensi sul suolo europeo.

Non si può ben prevedere quale saranno le politiche estere che la prossima Amministrazione Trump adopererà, ma i segnali non sono confortanti, a cominciare dal cambiamento delle strategie belliche verso l’Iran, ma anche alle relazioni economiche con la Cina e la stessa Europa.

La nascita di una nuova alleanza internazionale, variegata, negazionista e nazionalista, che coinvolgerebbe gli USA, l’Argentina, Israele e persino alcuni paesi europei, compresa l’Italia, rischia di frammentare il fronte occidentale a vantaggio della Cina, commercialmente, ma anche geopoliticamente la Russia, innescando un vero pericolo per la stabilità del vecchio continente.

3.3 Il ruolo dell’Unione Europea

L’UE sta cercando di affermarsi come un attore geopolitico autonomo, ma le divisioni interne e la dipendenza energetica limitano la sua capacità di influenzare in modo significativo le dinamiche globali. Tuttavia, le recenti crisi, come la guerra in Ucraina, hanno accelerato gli sforzi verso una maggiore coesione politica e militare, che però, con la ricomparsa di Trump, come ho detto prima, può far repentinamente cambiare le aspettative.

Conclusioni

I fenomeni sociologici contemporanei, dalle migrazioni ai mutamenti culturali, stanno contribuendo a trasformare profondamente il panorama geopolitico globale. Lo stravolgimento degli assi tradizionali e la crescente competizione tra superpotenze evidenziano la complessità di un mondo in transizione. Comprendere queste dinamiche è essenziale per anticipare le sfide future e promuovere un ordine internazionale più equo e stabile. Per i giornalisti rappresenta una necessità quella di assicurarsi una indipendenza intellettuale, per quindi contribuire alla diffusione di notizie minuziosamente verificate e prive di convinzioni preconcette individuali o influenzate dalla dipendenza di organizzazioni interessate a manipolare l’informazione, a partire da coloro che hanno un pericoloso controllo dei social.

di Claudio Loiodice
Sociologo e Criminologo
Esperto in studi geopolitici
*Con l’ausilio dei dati tratti da A.I.

Fonti

  1. ChatGPT 4.0
  2. Trading Economics: Dati sul PIL della Russia e dell’Unione Europea (link).
  3. SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute): Dati sulla spesa militare globale (link).
  4. Bureau of Economic Analysis (USA): Dati sul PIL degli Stati Uniti (link).
  5. Eurostat: Statistiche economiche dell’Unione Europea (link).
  6. Financial Times: Incremento della spesa militare russa (link).
  7. Economia Italia: Analisi sulle spese militari della Russia (link).
  8. Today.it: Rapporti sulle spese militari globali ed europee (link).
  9. Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ): Dati sui giornalisti uccisi (link).
  10. Ossigeno per l’Informazione: Rapporto su giornalisti sotto scorta e querele temerarie (link).
  11. Wikipedia: Profilo di Bashar al-Assad (link).
  12. Wall Street Journal: Fine del regime di Assad (link).
  13. Trading Economics: Dati economici sulla Siria (link).
  14. Trading Economics: Dati sul PIL della Russia e dell’Unione Europea (link).
  1. Drusi è il termine con cui si identificano i membri di una comunità religiosa e culturale originaria del Medio Oriente, con radici storiche nell’Islam ismailita ma che si è sviluppata in una religione indipendente. Il drusismo incorpora elementi di filosofia greca, neoplatonismo, Gnosticismo, cristianesimo e Islam.
  2. Gli Yazidi sono un gruppo etnico-religioso di origine curda, principalmente stanziato nel nord dell’Iraq, con comunità più piccole in Siria, Turchia, Armenia e Georgia. Costituiscono una minoranza molto ridotta, stimata a circa 700.000-1.000.000 di persone a livello globale, il che rappresenta meno dello 0,1% della popolazione totale del Medio Oriente. La loro religione è sincretica, incorporando elementi di zoroastrismo, islam, cristianesimo e altre tradizioni antiche. Gli Yazidi sono stati perseguitati storicamente, più recentemente durante la campagna genocida dello Stato Islamico nel 2014, che ha portato a migliaia di morti e al rapimento di donne e bambini.
  3. La Belt and Road Initiative (BRI) è un progetto strategico cinese lanciato nel 2013 per migliorare la connettività e la cooperazione economica su scala globale. Si basa su investimenti in infrastrutture, trasporti e commercio, collegando Asia, Europa e Africa tramite una rete terrestre e marittima.

 


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21