Gianni è stato fra i primi amici di Articolo 21. Fra quelli che appena ci inventammo il sito di Articolo 21 era fra i collaboratori più assidui. Non ha senso raccontare tutto il percorso che ci ha visti insieme. Ma qualche ricordo… Quello si. Vi ricordate quando i telefonini si ricaricavano con le telefonate che si ricevevano? L’associazione non è mai stata ricca e da Orvieto, dove c’era il gruppo di ragazzi – cosi ci chiamava Beppe ed ora abbiamo tutti superato abbondantemente i 50 – si sminestrava il lavoro. I lanci di agenzia, i temi, le campagne, i contenuti del sito. Gianni era con noi – sebbene a Roma – per parecchie ore al giorno. O con me o con Stefano Corradino. Lunghe, lunghissime chiacchierate. Quelle più pregiate anche per una crescita professionale erano quelle che univano i puntini della politica con l’economia: un intreccio troppo spesso pericoloso per la democrazia. Lezioni di giornalismo, direi, per le quali era lui in qualche modo a pagare, ricaricando con le sue lunghe telefonate i nostri cellulari. Non eravamo molti all’inizio e cosi Gianni era tra i redattori più prolifici. E diciamolo, era anche quello capace di andare a volte e giustamente controcorrente. Fu fra i pochi di Articolo 21 ad esprimermi solidarietà quando per la pubblicazione di un articolo del vice direttore del Mucchio Selvaggio, che poneva delle domande sul ritorno di Michele Santoro in tv dopo la parentesi europea, dovetti dimettermi da direttore perché il gruppo di Michele cominciò ad attaccarmi per avere permesso la pubblicazione di quel pezzo quasi fosse stato un affronto, come fosse lesa maestà. Gianni mi difese, affermando che l’articolo 21 parla di libertà di espressione e che quindi quel famoso pezzo, sebbene critico nei confronti di Santoro, non poteva non essere pubblicato perché avremmo negato l’essenza stessa dell’associazione.
Indipendente, l’ho detto. E quante volte, anche con Cristina, abbiamo espresso critiche nei confronti della deriva centrista del Partito Democratico. Critiche dolorose, perché era come se leggessimo delle responsabilità collettive, quindi anche nostre, frutto di una storia a cui avevamo partecipato ma che non era andata per il verso giusto. Come se in quel viaggio si fossero perse le cose buone e se ne fossero assorbite di cattive. Ci siamo trovati spesso in sintonia. Ma non sulla questione mediorientale. Ho sempre apprezzato la forza con cui difendeva le sue idee. Ma aveva una grande capacità, quella di ascoltare anche chi la pensava in modo diametralmente opposto. La notizia della tua morte, Gianni, mi fa male. Perché non sapevo nemmeno che tu stessi male, perché non ho avuto modo di sentirti perché dimentichiamo, molte volte, le cose importanti, perché la vita scorre via in un attimo e l’affanno della quotidianità riesce a mettere in un angolo amicizie, storie comuni, pezzi di strada importanti. È brutto che sia così ed è solo colpa mia. Mando un grande abbraccio a Cristina, Agnese e Beatrice. Tu, Gianni, fai buon viaggio!