Alle prime ore del mattino di domenica 8 dicembre dagli altoparlanti delle moschee di Damasco è risuonato il messaggio che milioni di siriani stavano aspettando: “Damasco è libera, la Siria intera è ora libera dalla tirannia di Bashar al-Assad”. La caduta della capitale siriana è stato l’ultimo atto della travolgente offensiva condotta dai gruppi ribelli che, in soli undici giorni, hanno conquistato i principali centri abitati del paese, entrando a Damasco senza colpo ferire.
Dopo oltre cinquant’anni di dominio assoluto della famiglia Assad, la Siria è ora pronta per voltare pagina; tuttavia, molti dubbi ancora avvolgono il futuro del paese, a partire da chi effettivamente assumerà le redini del potere, e in quale maniera questo verrà esercitato. La frammentazione del paese dovuta alla guerra civile e la presenza di molteplici attori internazionali con agende divergenti rischiano, inoltre, di compromettere il cammino verso democrazia, pace e stabilità.
La situazione
A prendere materialmente Damasco, la capitale, sono stati i ribelli di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), il gruppo guidato da Al Jolani, uomo vicino prima ad Al Qaeda e poi ad ISIS, che aveva come obiettivo dichiarato quello di formare in Siria un nuovo Stato Islamico integralista, islamista e radicale. Proprio per questo nelle cancellerie occidentali c’è grande preoccupazione, dato che per la fretta di voler togliere di mezzo Assad, potrebbe essersi creata una nuova “situazione afghana”, con un vuoto di potere occupato da attori altrettanto imprevedibili (se non di più), rispetto all’ex regime.
Ad oggi la Siria entra in un periodo se possibile ancora più turbolento di quello appena concluso, data l’altissima probabilità di scoppio di una nuova guerra civile tra le forze moderate (principalmente curde) e i nuovi occupanti di Damasco, ovvero le brigate HTS.
Il domino geopolitico
La caduta degli Assad segna un clamoroso tonfo per Russia e Iran (con annesso “Asse della resistenza antisraeliano). Nel primo caso Putin si trova a dover fare i conti con un importante rovescio strategico che rischia di mettere a rischio (anche se per ora i ribelli hanno rassicurato il Cremlino) le fondamentali basi presenti su territorio siriano, tra le quali Tartus, l’unico porto militare che Putin possiede sul Mediterraneo e importante hub per eventuali incursioni in Africa.
Lo zar, inoltre, si trova a doversi confrontare con la perdita di egemonia in Medio Oriente a vantaggio della Turchia di Erdogan (unico grande vincitore della partita), e con il possibile utilizzo di questo rovescio al “grande tavolo” delle trattative per l’Ucraina che si aprirà nel 2025 dopo l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump.
In una posizione se si vuole peggiore di quella della Russia si trova poi la Repubblica Islamica di Teheran, che viene tagliata fuori geograficamente da un’area su cui aveva fatto importanti investimenti in capitale politico e non. L’Iran, infatti, non ha più una base da cui condurre le proprie proxy war contro lo Stato Ebraico, e rischia di dover abbandonare al proprio destino Hezbollah, che riforniva di armi proprio dal confine siriano. La gravità della situazione è testimoniata dal fatto che la guida suprema Khamenei, ha annunciato in queste ore un discorso pubblico in cui sarà chiamato a spiegare al suo popolo il fallimento.
Israele, intanto, vede materializzarsi ai propri confini settentrionali un vero e proprio incubo geostrategico, ovvero il ristabilimento di uno Stato Islamico integralista, motivo per cui Netanyahu ha già stracciato gli accordi del 1974 e ha occupato le Alture del Golan per utilizzarle come cuscinetto strategico. Al di là delle dichiarazioni (“La caduta di Assad è il risultato diretto della nostra azione decisa contro Hezbollah e l’Iran”), Israele guarda con apprensione alla situazione.
I recenti sviluppi in Siria, dunque, scoperchiano un vaso di Pandora fatto di fazioni rivali, giochi strategici e geopolitici e interessi di grandi e medie potenze regionali che rischia di aggravare la situazione di un’area già fortemente destabilizzata dalle azioni di Israele all’indomani del 7 ottobre 2023. Non è ancora detto, purtroppo, che la martoriata Siria veda a breve la pace. Una pace che merita il suo popolo, dilaniato da un decennio di guerra e violenze.