Questo rapporto si concentra sulle politiche e sulle azioni delle autorità israeliane a Gaza come parte dell’offensiva militare lanciata sulla scia degli attacchi guidati da Hamas il 7 ottobre 2023, nel contesto più ampio dell’occupazione illegale di Israele e del sistema di apartheid contro la popolazione palestinese a Gaza, in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e in Israele. Valuta le accuse di violazioni e crimini di diritto internazionale da parte di Israele a Gaza nel quadro del diritto internazionale in materia di genocidio, concludendo che ci sono sufficienti prove per ritenere che la condotta di Israele a Gaza dopo il 7 ottobre 2023 costituisca genocidio.
Il rapporto si basa sulla ricerca sul campo e da remoto di Amnesty lnternational sulle violazioni perpetrate da Israele a Gaza tra il 7 ottobre 2023 e l’inizio di luglio 2024, ovvero un periodo di nove mesi. Tuttavia, prende in considerazione alcune analisi, sviluppi chiave internazionali e dati generali fino all’inizio di ottobre 2024.
Per prendere una decisione sul reato di genocidio, Amnesty lnternational ha prima esaminato se la popolazione palestinese a Gaza costituisca parte di un gruppo protetto ai sensi della Convenzione del 1948 sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio (Convenzione sul genocidio), ovvero un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Si è poi concentrato su tre dei cinque atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio: “uccidere membri del gruppo”; “causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo”; e “infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita volte a provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte”. Ha infine esaminato se Israele abbia commesso questi atti con lo specifico “intento di distruggere, in tutto o in parte, [il] gruppo, in quanto tale”.
A tal fine, Amnesty lnternational ha intervistato 212 persone come parte della sua ricerca. Tra queste, vittime palestinesi, sopravvissuti e testimoni di attacchi aerei, sfollamenti, detenzioni, distruzione di fattorie, case e terreni agricoli, nonché persone che hanno affrontato l’impatto delle restrizioni israeliane sugli aiuti umanitari. Amnesty lnternational ha anche parlato con membri delle autorità locali di Gaza, operatori sanitari palestinesi e rappresentanti di organizzazioni non governative (ong) e agenzie 0nu coinvolte nella risposta umanitaria a Gaza. Amnesty lnternational ha integrato queste interviste con l’analisi di una vasta gamma di prove visive e digitali, tra cui immagini satellitari, filmati e fotografie pubblicate sui social media o ottenute direttamente dai suoi ricercatori. Ha autenticato e, ove possibile, geolocalizzato filmati e fotografie. Ha esaminato un’ampia raccolta di resoconti degli organi di stampa, dichiarazioni, relazioni e raccolta di dati pubblicati da agenzie 0nu e organizzazioni umanitarie che operano a Gaza, nonché da gruppi per i diritti umani palestinesi e israeliani. Ha esaminato dichiarazioni di alti funzionari governativi e militari israeliani e di organi ufficiali israeliani, tra cui portavoce dell’esercito israeliano e il Coordinamento delle attività governative nei territori (Cogat), un’unità all’interno del ministero della Difesa israeliano incaricata di gestire le questioni civili nel territorio palestinese occupato (Tpo). Amnesty lnternational ha inoltre esaminato le osservazioni presentate e le decisioni prese dalla Corte suprema israeliana, nonché il materiale disponibile al pubblico relativo al caso del Sudafrica contro Israele presso la Corte internazionale di giustizia (Cig). Nonostante i suoi ripetuti tentativi di coinvolgere le autorità israeliane tramite informazioni e richieste di
incontro, l’organizzazione non ha ricevuto alcuna risposta sostanziale a nessuna delle sue lettere inviate tra il 30 ottobre 2023 e il 16 ottobre 2024.
PANORAMICA SULL’OFFENSIVA DI ISRAELE
Poche ore dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023, Israele ha condotto una prima ondata di attacchi aerei di rappresaglia su Gaza. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha promesso che l’offensiva sarebbe continuata “senza limitazioni né tregua” finché Israele non avesse distrutto le capacità militari e di governo di Hamas e riportato tutti gli ostaggi in Israele. Ha tradotto le sue parole in azioni. Nei soli primi due mesi dell’offensiva, l’aviazione israeliana ha effettuato circa 10.000 attacchi aerei a Gaza. Molti hanno utilizzato grandi armi esplosive con effetti su vasta area su aree residenziali densamente popolate, in alcuni casi nei pressi di ospedali e altre infrastrutture critiche. L’impatto di tali attacchi su uno dei luoghi più densamente popolati della terra, con circa 6.300 persone per chilometro quadrato, è stato devastante. Il 13 ottobre 2023, l’esercito israeliano ha emesso il suo primo ordine di “evacuazione” di massa, ordinando a circa 1,1 milioni di persone, l’intera popolazione che vive a nord del corso del Wadi Gaza, di trasferirsi nell’area a sud del Wadi Gaza “per la loro sicurezza e protezione”, e non adottando misure per garantire alla popolazione sfollata l’accesso ai beni di prima necessità. L’ordine si applicava a centinaia di migliaia di persone che erano già sfollate e che si erano rifugiate nelle scuole delle Nazioni Unite, nonché a tutti i pazienti e al personale in servizio in 23 ospedali e strutture mediche nella zona. Anche le organizzazioni umanitarie, che avevano utilizzato Gaza City come loro centro operativo per anni, sono state sottoposte all’ordine e costrette a lasciare scorte di magazzino, attrezzature e veicoli e a ristabilire da zero un’infrastruttura umanitaria a Rafah. Nel frattempo, alti funzionari militari e governativi israeliani intensificavano le loro richieste di distruzione dei palestinesi a Gaza, usando un linguaggio razzista e disumanizzante che equiparava i civili palestinesi al nemico da distruggere. In una dichiarazione ampiamente pubblicizzata fatta in una conferenza stampa il 12 ottobre 2023, il presidente lsaac Herzog ha ritenuto tutti i palestinesi di Gaza responsabili degli attacchi di Hamas: “È un’intera nazione là fuori che è responsabile. Non è vera questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti”. Mentre sosteneva che le sue parole fossero state male interpretate, lo slogan “non ci sono civili non coinvolti” è stato in seguito scarabocchiato vicino agli insediamenti nella Cisgiordania occupata, dimostrando la diffusione della dichiarazione. In un altro esempio, 1’11 novembre 2023, il ministro della sicurezza nazionale ltamar Ben-Gvir ha pubblicato un videoclip di uno spettacolo sulla TV israeliana in cui ha affermato che i palestinesi che hanno espresso sostegno ad Hamas e alle sue azioni erano considerati “terroristi” e devono essere distrutti. Ha aggiunto questo commento: “Per essere chiari, quando dicono che Hamas deve essere eliminato, intendono anche coloro che cantano, coloro che sostengono e coloro che distribuiscono dolci, tutti questi sono terroristi. E dovrebbero essere eliminati!”.
A poche settimane dall’offensiva di Israele, studiosi di diritto e sul genocidio, esperti delle Nazioni unite, così come organizzazioni della società civile, hanno avvertito del rischio di genocidio per la popolazione palestinese di Gaza. Il 29 dicembre 2023 il Sudafrica ha avviato un procedimento contro Israele dinanzi alla Corte internazionale di giustizia (Cig) per presunte violazioni da parte di Israele dei suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio in relazione alla popolazione palestinese di Gaza. Ciò ha spinto la Corte a emettere una serie di misure cautelari, giuridicamente vincolanti, nei mesi successivi per garantire il diritto della popolazione palestinese di Gaza a essere protetti da atti di genocidio. Tuttavia,
entro il 30 settembre 2024, Israele non le aveva ancora attuate. Nonostante le preoccupazioni espresse per la condotta di Israele e di fronte agli ordini della Cig, la comunità internazionale non è riuscita a prendere misure sufficienti per modificare o fermare le azioni di Israele. Quando il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite ha infine adottato un piano di cessate il fuoco in tre fasi nel giugno 2024, dopo che una precedente risoluzione aveva chiesto un cessate il fuoco limitato nel tempo durante il mese del Ramadan nel marzo 2024, era troppo poco e troppo tardi.
Il 6 maggio 2024, le forze israeliane hanno avviato un’operazione di terra a lungo minacciata a Rafah, nonostante il consenso tra le organizzazioni umanitarie e i ripetuti avvertimenti da parte di molti stati – tra cui i più fedeli alleati di Israele – che avrebbe avuto implicazioni catastrofiche per i civili palestinesi e la crisi umanitaria. Rafah non solo ha fornito rifugio a oltre un milione di palestinesi dopo che erano stati sfollati a seguito di una serie di ordini di “evacuazione” di massa da parte dell’esercito israeliano, ma è anche servita a quel punto come fulcro principale per la risposta umanitaria. L’operazione ha suscitato una condanna internazionale quasi unanime e ha spinto la Corte internazionale di giustizia a emanare nuove misure cautelari che ordinavano ad Israele di “fermare immediatamente la sua offensiva militare”. I funzionari israeliani sapevano esattamente la devastazione che l’operazione di terra a Rafah avrebbe inflitto alla popolazione palestinese.
L’offensiva su Rafah è stata lanciata una settimana dopo che il ministro delle Finanze Smotrich, membro del gabinetto di sicurezza israeliano, aveva chiesto esplicitamente la distruzione della città facendo riferimento a una nota storia biblica di vendetta assoluta in cui un’intera nazione, il popolo di Amalek, riceve l’ordine di essere distrutta: “Non ci sono lavori fatti a metà. Rafah, Deir al-Ba/ah, Nuseirat, distruzione! Cancellate la memoria di [popolo di] Amalek da sotto il cielo”, ha affermato in un evento pubblico il 29 aprile 2024. Infatti, il ministro delle Finanze Smotrich e il ministro della Sicurezza nazionale Ben-Gvir, che hanno anche fatto alcuni degli appelli più espliciti per la distruzione della popolazione palestinese a Gaza, hanno minacciato di abbandonare la coalizione di governo se il primo ministro Netanyahu avesse abbandonato i piani per attaccare Rafah. La dichiarazione del ministro delle Finanze Smotrich è arrivata mesi dopo che il primo ministro Netanyahu aveva fatto riferimento per la prima volta alla storia della distruzione totale del popolo di Amalek nella prima settimana dell’offensiva via terra di Israele tra fine ottobre e inizio novembre 2023. L’ha usata per raccogliere sostegno per quella che era, all’epoca, una nuova e altamente distruttiva fase del conflitto. In quanto massimo detentore di un incarico politico di Israele, che ha supervisionato l’offensiva su Gaza, il primo ministro Netanyahu avrebbe certamente dovuto sapere che le sue parole sarebbero state intese dai soldati, in particolare quelli affiliati al movimento dei coloni e ai partiti nazionalisti religiosi guidati dai due ministri, come appelli alla distruzione della popolazione palestinese a Gaza.
Dopo l’operazione, quasi l’intera popolazione di Rafah, residenti e sfollati, è stata costretta a cercare nuovi rifugi temporanei nel governatorato di Khan Younis, che era stato reso quasi inabitabile a causa della distruzione su larga scala causata dagli attacchi israeliani e dai combattimenti con i gruppi armati palestinesi, e nella “zona umanitaria” di AI-Mawasi e nell”‘area umanitaria estesa” di Deir al-Balah, designate da Israele. Qui le famiglie appena sfollate hanno lottato per trovare spazio per sistemarsi in mezzo a tende ammassate. Coloro che sono stati costretti a lasciare Rafah non sono stati in grado di tornare, e nemmeno coloro
che sono stati costretti a lasciare l’area a nord del Wadi Gaza. Il valico di Rafah, in gran parte distrutto dalle forze israeliane, è stato chiuso, tagliando fuori la linea di vita di Gaza verso l’Egitto.
Il 7 ottobre 2024 il ministero della Salute di Gaza aveva registrato 42.010 vittime palestinesi, la stragrande maggioranza delle quali erano palestinesi uccisi durante l’offensiva di Israele, e 97.590 altri palestinesi feriti dal 7 ottobre 2023. Il bilancio effettivo di coloro che sono stati uccisi durante l’offensiva potrebbe essere più alto e diventerà evidente solo una volta che il conflitto sarà terminato, ovvero quando le squadre di soccorso saranno in grado di contare i morti e recuperare i corpi dispersi da sotto le macerie. Il conflitto armato a Gaza ha visto alcuni dei più alti numeri di vittime accertati tra minori (13.319 al 7 ottobre 2024), giornalisti, nonché operatori sanitari e umanitari di qualsiasi conflitto recente nel mondo. Il livello e la velocità dei danni e della distruzione di case e infrastrutture in tutti i settori dell’attività economica non sono stati osservati in alcun altro conflitto del XXI secolo. Gli esperti di telerilevamento hanno riportato che è stato “molto più veloce e più esteso” di qualsiasi cosa avessero mappato prima. Circa il 62% di tutte le case a Gaza è stato danneggiato o distrutto entro gennaio 2024, colpendo circa 1,08 milioni di persone, secondo una valutazione congiunta dei danni provvisori pubblicata dalla Banca mondiale, dall’Unione europea (Ue) e dalle Nazioni unite a marzo 2024. A luglio 2024, circa il 63% delle strutture totali a Gaza era stato danneggiato o distrutto, secondo una valutazione basata sulle immagini satellitari del Centro satellitare delle Nazioni unite (Unosat). Amnesty lnternational ha stimato che a Gaza ci fosse, in media, un edificio danneggiato o distrutto ogni 17 metri a quella data. Nel frattempo, circa 625.000 studenti hanno perso un intero anno accademico, con una stima dell’85% delle scuole che ha subito qualche forma di danno.
Nel maggio 2024, l’annuncio del procuratore della Corte penale internazionale (Cpi) di aver presentato domanda alla Corte per i mandati di arresto contro il primo ministro israeliano Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant per la loro presunta responsabilità penale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità ha spinto l’avvocato generale militare israeliano a confermare pubblicamente che la polizia militare aveva avviato indagini penali su 70 casi in cui si sospettava la commissione di un reato. Tra questi c’erano accuse di morti sotto tortura, omicidi e altri episodi di violenza. Tuttavia, per quanto Amnesty lnternational sia stata in grado di confermare da fonti accessibili al pubblico, al 30 settembre 2024 c’era stata una sola incriminazione per un soldato israeliano in relazione alla tortura di detenuti palestinesi, dimostrando una quasi totale mancanza di responsabilità in linea con un modello di impunità di lunga data ben documentato. Infine, invece di conformarsi al parere consultivo della Corte internazionale di giustizia emesso nel luglio 2024, che concludeva che l’occupazione e l’annessione del territorio palestinese da parte di Israele, durata 57 anni, è illegale e invitava Israele a ritirare tutte le sue forze militari e a rimuovere gli insediamenti civili e i coloni, Israele ha rafforzato la sua presenza militare a Gaza istituendo e mantenendo una zona militare lineare che ha definito “Corridoio Netzarim” su entrambi i lati di una strada est-ovest esistente a sud di Gaza City, che tagliava fuori l’area a nord del Wadi Gaza da quella a sud di essa. La zona minacciava di perpetuare lo sfollamento e la frammentazione di Gaza.
IL GENOCIDIO SECONDO IL DIRITTO INTERNAZIONALE
Il genocidio è un crimine secondo il diritto internazionale, sia che venga commesso in tempo di pace o di conflitto armato. È proibito e criminalizzato ai sensi della Convenzione sul genocidio, che Israele ha ratificato nel 1950, e dello Statuto di Roma.
Ai sensi dell’articolo Il della Convenzione sul genocidio, cinque atti specifici costituiscono la condotta criminale sottostante al crimine di genocidio, tra cui: uccidere membri del gruppo; causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per provocarne la distruzione fisica in tutto o in parte; imporre misure volte a impedire nascite all’interno del gruppo; e trasferire forzatamente i minori del gruppo a un altro gruppo. Ognuno di questi atti deve essere commesso con un intento generale di commettere l’atto sottostante. Tuttavia, per costituire il crimine di genocidio, questi atti devono essere commessi anche “con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale… ” Questo intento specifico è ciò che distingue il genocidio da altri crimini ai sensi del diritto internazionale.
Indipendentemente dal fatto che le singole persone palestinesi siano cittadini di Israele che vivono in Israele, vivano sotto il governo militare israeliano nel Tpo o siano rifugiati, si identificano in modo schiacciante come palestinesi e hanno profondi e condivisi legami politici, etnici, sociali e culturali. La popolazione palestinese condivide una lingua comune e ha usanze e pratiche culturali simili, nonostante abbia religioni diverse. Pertanto, costituiscono un gruppo “nazionale”, “etnico” e “razziale” distinto, protetto dalla Convenzione sul genocidio, come stabilito dalla sentenza preliminare della Corte internazionale di giustizia nella sua ordinanza del 26 gennaio 2024.
L’intento di distruggere un gruppo “in parte” è sufficiente per stabilire l’intento specifico richiesto per il crimine di genocidio. Nel determinare cosa costituisca una “parte” del gruppo, la giurisprudenza internazionale ha adottato un requisito di sostanzialità piuttosto che una specifica soglia numerica. Questo standard richiede che l’autore intenda distruggere almeno una “parte sostanziale” del gruppo in questione, che deve essere “abbastanza significativa da avere un impatto sul gruppo nel suo insieme”. Applicandolo all’offensiva di Israele, Amnesty lnternational ritiene che la popolazione palestinese di Gaza costituisca una “parte sostanziale” dell’intero gruppo palestinese, in linea con la conclusione preliminare della Corte internazionale di giustizia sopra menzionata. Nel 2023, la popolazione palestinese che viveva a Gaza rappresentava circa il 40% dei quasi 5,5 milioni di palestinesi che vivevano nel Tpo.
È importante sottolineare che l’autore non deve riuscire a distruggere il gruppo preso di mira, in tutto o in parte, affinché si possa stabilire un genocidio. La giurisprudenza internazionale riconosce che “il termine ‘in tutto o in parte’ si riferisce all’intento, in contrapposizione all’effettiva distruzione”. Altrettanto importante, trovare o dedurre un intento specifico non richiede di trovare un intento singolo o unico. Le azioni di uno stato possono servire al duplice obiettivo di ottenere un risultato militare e distruggere un gruppo in quanto tale. Il genocidio può anche essere il mezzo per ottenere un risultato militare. In altre parole, si può giungere a una conclusione di genocidio quando lo stato intende perseguire la distruzione di un gruppo protetto aI fine di ottenere un determinato risultato miIitare, come mezzo per raggiungere un fine o finché non lo ha raggiunto. Amnesty lnternational non ritiene che la giurisprudenza internazionale, inclusa quella della Corte internazionale di giustizia, precluda l’intento strumentale o duplice, purché l’intento genocida sia chiaramente valutato come l’intento
dello stato sulla base della totalità delle prove. Consentire un intento duplice o strumentale è l’unico modo per garantire che il genocidio rimanga proibito in tempo di guerra. Il diritto internazionale pone certe condotte, tra cui il genocidio, al di fuori dei metodi di guerra consentiti, iI che significa che ci sono atti che non possono mai essere giustificati da necessità miIitari.
Amnesty lnternational ha preso in considerazione la possibile commissione di genocidio da parte di Israele dal punto di vista della responsabilità dello stato e non si è impegnata in un’analisi della possibile responsabilità penale degli individui.
UCCISIONI E FERITE GRAVI
“Il mio corpo è sopravvissuto, ma il mio spirito è morto con i miei figli, è stato schiacciato sotto le macerie con loro”. Ahmad Nasman, i cui genitori, sorella, moglie e tre figli sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano il 14 dicembre 2023.
Per costituire l’atto di “uccidere membri del gruppo”, come proibito dalla Convenzione sul genocidio, le uccisioni devono essere intenzionali. Nel contesto di un conflitto armato, “uccidere” può includere causare la morte di civili tramite attacchi diretti a civili e obiettivi civili, nonché tramite attacchi indiscriminati che prendono deliberatamente di mira la popolazione civile insieme a obiettivi militari. Nel frattempo, l’atto di “causare gravi danni fisici o mentali a membri del gruppo” richiede l’inflizione di danni così gravi da minacciare o contribuire alla distruzione fisica o biologica del gruppo. Sebbene il danno non debba essere permanente o irreversibile, la giurisprudenza internazionale ha richiesto che causi “svantaggi gravi e a lungo termine alla capacità di una persona di condurre una vita normale e costruttiva”.
Amnesty International si è concentrata sugli atti di “uccidere membri del gruppo” e “causare [loro] gravi danni mentali e fisici” perpetrati da Israele nel contesto dei suoi attacchi aerei. Ha esaminato i risultati delle indagini che aveva condotto su 15 attacchi aerei che hanno avuto luogo nella parte settentrionale, centrale e meridionale di Gaza tra il 7 ottobre 2023 e il 20 aprile 2024. Questi attacchi aerei hanno colpito 12 case e altri edifici residenziali, una chiesa, una strada e un mercato pubblico, tutti situati in aree urbane densamente popolate. Hanno ucciso almeno 334 persone, tra cui almeno 141 minori, e ne hanno ferite centinaia di altre. L’organizzazione ha concluso che costituivano attacchi diretti a civili e obiettivi civili o attacchi deliberatamente indiscriminati, e che probabilmente equivalevano a crimini di guerra.
L’indagine approfondita di Amnesty lnternational ha scoperto che tutte le 15 località colpite erano obiettivi civili e che era stato Israele a lanciare gli attacchi aerei. Amnesty lnternational non ha trovato alcuna prova che uno qualsiasi degli attacchi fosse diretto a un obiettivo militare. Un esame di tutte le prove disponibili ha mostrato che tutti gli uccisi erano civili che non stavano prendendo parte direttamente alle ostilità.
Questi attacchi sono stati condotti in modi progettati per causare un numero molto elevato di vittime e feriti tra la popolazione civile. Ciò è dimostrato dall’uso da parte di Israele di armi esplosive con effetti su vasta area, dalla tempistica e dalla posizione degli attacchi e dalla
mancanza di un avvertimento efficace, in un caso, o di qualsiasi avvertimento, in tutti gli altri.
In diversi casi, l’analisi di frammenti di armi condotta da Amnesty lnternational ha mostrato che Israele ha utilizzato bombe di grandi dimensioni, come le Joint Direct Attack Munitions (Jdam) prodotte negli Stati Uniti. Almeno cinque degli attacchi hanno colpito case e altri edifici residenziali tra le 23:00 e le 4:00 quando era probabile che i residenti stessero dormendo. Inoltre, 11 dei 15 attacchi sono stati effettuati su case e altri edifici a sud del Wadi Gaza, dove alle persone che vivevano a nord del Wadi Gaza era stato ordinato di fuggire in seguito all’ordine di “evacuazione” di massa del 13 ottobre 2023. Questi luoghi, noti per la loro densità di popolazione, erano ancora più sovraffollati del solito a causa dell’afflusso di sfollati, con molte case che ospitavano famiglie allargate.
In un caso esemplificativo, Abdallah Shehada, un chirurgo in pensione di 69 anni, è stato ucciso dopo che un attacco aereo israeliano ha distrutto la sua casa a Rafah. L’attacco, avvenuto alle 11.45 del 14 dicembre 2023, ha ucciso altri 30 civili: 11 bambini, otto uomini e 11 donne. Almeno 10 altri sono rimasti feriti. Circa 45 persone risiedevano nell’edificio di tre piani. Tra loro c’erano 20 membri della famiglia Nasman che erano stati sfollati da Gaza City a sud e avevano cercato riparo nella casa dei loro familiari.
La vittima più anziana dell’attacco è stata Hamdi Abu Daff, un uomo sfollato di 86 anni, mentre la più giovane era Ayla Nasman, di soli tre mesi. I nonni di Ayla Nasman, la madre e due fratelli, di cinque e quattro anni, sono stati tutti uccisi nell’attacco. Suo padre, Ahmad Nasman, un fisioterapista, è stato tra i pochi membri della famiglia allargata Nasman a sopravvivere all’attacco. Ha affermato che gli ci sono voluti quattro giorni per recuperare il corpo di Ayla dalle macerie; l’esplosione aveva decapitato la sua bambina di cinque anni, Arwa.
Sebbene l’indagine di Amnesty lnternational si sia concentrata solo su una piccola frazione degli attacchi aerei di Israele, essi sono indicativi di un modello di ripetuti attacchi diretti o indiscriminati da parte dell’esercito israeliano a Gaza nel periodo dei nove mesi in esame. Le autorità israeliane sostengono che le loro forze militari hanno legalmente preso di mira Hamas e altri gruppi armati palestinesi in tutta Gaza, anche quando operavano in e vicino a infrastrutture fondamentali e altri beni indispensabili per la sopravvivenza della popolazione civile, e che la conseguente morte e distruzione senza precedenti sono state il risultato della collocazione di Hamas tra la popolazione civile palestinese. Le 15 indagini specifiche di Amnesty lnternational non supportano questa tesi.
Fondamentalmente, anche quando le forze israeliane hanno preso di mira ciò che potrebbe essere considerato un obiettivo militare, gli attacchi di Israele che utilizzano armi esplosive con effetti su vasta area, in particolare bombe aeree da 110 kg a 900 kg, su edifici residenziali e in prossimità di ospedali in una delle aree più densamente popolate del mondo costituiscono probabilmente attacchi indiscriminati e/o sproporzionati.
Amnesty International riconosce che Hamas e altri gruppi armati palestinesi hanno messo in pericolo la popolazione civile palestinese attraverso la loro condotta operando da, o nelle vicinanze di, aree residenziali densamente popolate e hanno violato il loro obbligo di prendere
tutte le precauzioni possibili per proteggere i civili e gli obiettivi civili sotto il loro controllo dagli effetti degli attacchi. Tuttavia, tale condotta da parte di questi gruppi non esonera Israele dai propri obblighi ai sensi del diritto umanitario internazionale di risparmiare i civili ed evitare attacchi che sarebbero indiscriminati o sproporzionati. Le decine di migliaia di attacchi aerei lanciati da Israele su Gaza hanno causato un numero senza precedenti di uccisioni e feriti tra la popolazione palestinese.
Delle 40.717 vittime completamente identificate dal ministero della Salute di Gaza entro il 7 ottobre 2024, bambini, donne e anziani costituivano poco meno del 60%. Il restante 40% era costituito da uomini sotto i 60 anni, senza che nessuna fonte indipendente fosse stato in grado di stabilire quanti di questi fossero combattenti e quanti civili. Inoltre, del numero totale di feriti, già a fine luglio 2024, circa 22.500 avevano subito ferite invalidanti e che richiedevano una riabilitazione a lungo termine, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Entro il 30 settembre 2024 il ministero della Salute di Gaza aveva registrato
1.200 amputazioni legate al conflitto, ma stimava che il numero effettivo di amputati sarebbe stato di circa 4.500, dato un significativo ritardo nella segnalazione derivante dal collasso del sistema sanitario; l’Oms aveva anche registrato circa 2.000 casi di ustioni gravi e 2.000
lesioni al midollo spinale e gravi lesioni cerebrali traumatiche. I professionisti sanitari ritengono che molti dei feriti dovranno affrontare traumi e problemi di salute mentale per gli
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anni a venire.
Amnesty lnternational ha concluso che gli attacchi diretti o indiscriminati condotti da Israele costituiscono atti di “uccisione di membri del gruppo” e atti destinati a “causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo”, come proibito rispettivamente dagli articoli ll(a) e (b) della Convenzione sul genocidio, in quanto questi attacchi hanno causato morti e ferimenti deliberati e illegali tra la popolazione civile palestinese. Amnesty lnternational valuta di seguito l’intento di fondo di questi e altri attacchi, tenendo conto della portata, dell’intensità e dello scopo della campagna militare israeliana, nonché di altri fattori rilevanti.
IMPOSIZIONE DI CONDIZIONI DI VITA CALCOLATE PER PORTARE ALLA DISTRUZIONE DELLA POPOLAZIONE PALESTINESE
“Mentre altri ospedali nel sud chiudevano i battenti, noi diventavamo l’unico ospedale dotato di incubatrici, e la maggior parte della Striscia di Gaza era sfollata qui [a Rafah]. A volte, dovevamo mettere cinque neonati e bambini piccoli in un’incubatrice e in seguito alla diffusione della sepsi neonatale come fosse un incendio, dovevamo chiedere alle madri di cullare i loro bambini sul pavimento”. Mohammed Salama, direttore dell’Unità di terapia intensiva neonatale presso l’ospedale della Mezzaluna rossa Emirates di Rafah, 9 maggio 2024.
L’atto di “infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per provocarne la distruzione fisica”, come proibito dall’articolo ll(c) della Convenzione sul genocidio, si riferisce a metodi di distruzione che non uccidono immediatamente i membri del gruppo, ma che, alla fine, sono in grado di portare, nel tempo, alla loro distruzione fisica o biologica. Tali atti possono includere, ma non sono limitati a, sottoporre il gruppo a una dieta di sussistenza, ridurre i servizi medici essenziali al di sotto di un requisito minimo, espellere sistematicamente i membri del gruppo dalle loro case e “creare in generale circostanze che porterebbero a una morte lenta”, come la mancanza di cibo, acqua, riparo, vestiario o servizi
igienici adeguati. In assenza di prove dirette dell’intento di fondo con cui sono state imposte le condizioni di vita, in altre parole, se fossero calcolate per provocare la distruzione fisica, la giurisprudenza internazionale ha stabilito che si può prendere in considerazione “la probabilità oggettiva che queste condizioni portino alla distruzione fisica del gruppo”. Nel valutare tale probabilità, si possono considerare i seguenti fattori: la natura effettiva delle condizioni di vita, la durata del periodo in cui i membri del gruppo sono stati sottoposti a esse e le caratteristiche del gruppo, come la sua vulnerabilità, compresi in particolare i minori.
Le azioni, le omissioni e le politiche di Israele dopo il 7 ottobre 2023 hanno portato la popolazione di Gaza sull’orlo del collasso. Appena due mesi dopo l’inizio dell’offensiva, si stimava che la fame fosse a livelli di crisi, emergenza o catastrofici per oltre due milioni di suoi abitanti, secondo il più importante gruppo di esperti al mondo che valuta i rischi di carestia, la Classificazione della fase di sicurezza alimentare integrata (lntegrated Food Security Phase Classification, lpc). Non solo il numero di persone che soffre la fame è raddoppiato rispetto alle stime precedenti al 7 ottobre 2023, ma la fame è diventata molto più grave.
La popolazione palestinese che viveva a nord del Wadi Gaza, un’area che all’epoca Israele aveva tagliato fuori quasi completamente dall’assistenza umanitaria, è stata particolarmente colpita. Secondo un sondaggio, le persone hanno riferito di non mangiare per intere giornate e notti nell’80% delle famiglie. A febbraio 2024, molti ricorrevano al consumo di piante selvatiche e foraggio per animali. Dove il cibo era disponibile, era raramente fresco o nutriente e il più delle volte inaccessibile, in parte a causa dei prezzi alle stelle.
Le conseguenze per i bambini, così come per le donne incinte e che allattano, sono state particolarmente gravi, con effetti attesi a lungo termine sulla loro salute e su quella dei loro figli. I bambini piccoli, in particolare, avrebbero avuto “un futuro ridotto”, secondo un esperto di nutrizione. A gennaio 2024, le agenzie delle Nazioni unite hanno scoperto che oltre il 15% dei bambini sotto i due anni stava deperendo nel nord di Gaza e circa il 5% dei bambini della stessa età era gravemente malnutrito a Rafah, dove – all’epoca – gli aiuti erano più accessibili. Bambini gravemente malnutriti e disidratati venivano ricoverati all’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahia, compresi alcuni che non riuscivano a “muoversi o piangere a causa della gravità della debolezza dovuta a malnutrizione e disidratazione”. Entro aprile 2024 26 bambini, la maggior parte dei quali aveva due anni o meno, erano morti per malnutrizione e complicazioni correlate alla malnutrizione, secondo i registri dell’ospedale. Insieme allo stress dello sfollamento e agli attacchi incessanti, la malnutrizione ha reso molte donne incapaci di allattare i loro neonati.
Il numero di persone che vivono in situazioni di crisi, emergenza o catastrofica insicurezza alimentare a Gaza è cambiato nel tempo nell’anno successivo al 7 ottobre 2023, ma indipendentemente da qualsiasi miglioramento a breve termine, l’lpc ha costantemente rilevato che la stragrande maggioranza della popolazione di Gaza sta affrontando una grave insicurezza alimentare e che i rischi di carestia a Gaza sono molto reali. La malnutrizione acuta è diventata 10 volte più alta a Gaza rispetto a prima dell’offensiva.
Allo stesso modo, le malattie si sono diffuse a Gaza a ritmi allarmanti. Ancora una volta, i bambini piccoli sono stati particolarmente colpiti. Alla fine di aprile 2024, l’Oms ha segnalato un forte aumento delle malattie infettive e trasmissibili e ha registrato centinaia di migliaia di casi di malattie respiratorie acute, quasi 360.000 casi di diarrea, di cui quasi un terzo ha colpito bambini sotto i cinque anni, scabbia e sindrome da ittero acuto. Nel maggio 2024, il direttore dell’Unità di terapia intensiva neonatale (Utin) presso l’ospedale della Mezzaluna rossa Emirates di Rafah ha dichiarato ad Amnesty lnternational che i tassi di mortalità dell’unità sono aumentati al 12% dal 2,5%-3% prima del 7 ottobre 2023. Si è verificato un forte aumento dei ricoveri, anche per sepsi.
I rischi di infezioni e malattie trasmesse dall’acqua sono stati esacerbati per coloro il cui sistema immunitario era indebolito da malnutrizione, molteplici ondate di sfollamento e traumi. I rischi sono stati maggiori nei contesti di sfollamento, che ineIudevano scuole, cortiIi di ospedali e campi tendati improvvisati, inadatti alla vita umana. L’enorme sovraffollamento, unito alla mancanza di rifugi adeguati e di servizi igienici di base, ha alimentato la diffusione di malattie. Nel marzo 2024, l’Unicef ha riferito che, in media, 340 persone condividevano un bagno e 1.290 condividevano una doccia in tutta Gaza. Nello stesso mese, una rapida valutazione di acqua, servizi igienici e sanitari (Wash) ha rilevato “qualche tipo di rifiuto visibile, tra cui rifiuti solidi, feci umane o acqua stagnante” nel 93% dei siti valutati nel governatorato di Rafah. Tuttavia, le autorità israeliane hanno continuato a bloccare l’accesso umanitario alle discariche e non sono riuscite a inviare elettricità a Gaza, ostacolando così la risposta idrica e igienico-sanitaria. I palestinesi sfollati che vivono in tali condizioni disumanizzanti hanno ripetutamente affermato nelle interviste ai media che stavano morendo “di una morte lenta”.
Queste condizioni disastrose sono state causate dall’impatto cumulativo dei danni e della distruzione da parte di Israele di infrastrutture critiche e altri oggetti indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile di Gaza, dal ripetuto sfollamento forzato di massa di palestinesi in condizioni insicure e disumane e dalla negazione e dall’impedimento della fornitura di servizi essenziali e forniture salvavita dentro e all’interno di Gaza. Queste violazioni del diritto internazionale si sono verificate ripetutamente e simultaneamente durante il periodo di nove mesi, aggravando reciprocamente i loro effetti dannosi.
DANNI E DISTRUZIONE
“Non riusciamo a vedere il futuro dell’agricoltura a Gaza dopo la guerra… Tutto è distrutto… La storia non riguarda un singolo pescatore o una singola lavoratrice in una fattoria, è che l’eredità del popolo è stata rubata. Hanno rubato la capacità di produrre cibo”. Moayyad Ahmad, membro dell’Unione dei comitati per il lavoro agricolo, 6 maggio 2024.
Tra il 7 ottobre 2023 e luglio 2024, parti essenziali del sistema di produzione alimentare e centinaia di migliaia di abitazioni, così come infrastrutture idriche, igienico-sanitarie e igieniche, ospedali e altre strutture sanitarie, strade e infrastrutture energetiche sono state gravemente danneggiate o distrutte, influenzando la capacità della popolazione palestinese di accedere a cibo, alloggio, acqua, salute e altri beni essenziali. Infliggendo una parte significativa di questo danno e distruzione, interrompendo la fornitura di elettricità e mantenendo restrizioni sul carburante necessario per far funzionare gran parte di questa infrastruttura e impedendo l’ingresso di attrezzature e parti necessarie per la loro riparazione, Israele ha creato una crisi umanitaria senza precedenti.
A giugno 2024 Unosat ha scoperto che circa il 63% dei campi coltivati permanenti e dei terreni arabili a Gaza mostravano un significativo declino in termini di salute e densità. L’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) ha attribuito questa vasta distruzione a “demolizioni, spostamenti di veicoli pesanti, granate e bombardamenti”. Le conclusioni delle ricerche di Amnesty lnternational nella “zona cuscinetto” adiacente alla recinzione di confine di Gaza con Israele sono coerenti con questa valutazione. Analizzando ampiamente le immagini satellitari e i video pubblicati online dai soldati israeliani, Amnesty lnternational ha scoperto che l’esercito israeliano ha utilizzato bulldozer e ha posizionato manualmente cariche esplosive per espandere significativamente la “zona cuscinetto” a circa il 16% dell’area totale di Gaza. Così facendo, le forze israeliane hanno distrutto alcuni dei terreni agricoli più fertili di Gaza, in aggiunta agli oltre 90% degli edifici all’interno di quest’area.
Mentre Israele ha affermato che la distruzione era necessaria, accusando Hamas di aver posizionato lanciarazzi e ingressi dei tunnel nelle aree agricole, l’ampia distruzione di proprietà e terreni agricoli è stata effettuata dopo che le forze israeliane avevano acquisito il controllo operativo sulle aree, il che significa che non è stata causata nel contesto delle ostilità tra l’esercito israeliano e Hamas e altri gruppi armati palestinesi e che apparentemente non era giustificata da un’imperativa necessità militare.
Secondo la valutazione congiunta dei danni provvisori pubblicata dalla Banca mondiale, dall’Ue e dall’Onu nel marzo 2024, quasi 1’84% delle strutture sanitarie e il 57% delle infrastrutture idriche di Gaza avevano subito danni o distruzioni entro gennaio 2024. I sistemi di gestione delle acque reflue sono effettivamente crollati dopo i danni estesi e la distruzione delle stazioni fognarie e di chilometri di tubature. Di conseguenza, le fogne spesso hanno allagato le strade di Gaza, creando problemi di salute pubblica, tra cui il rischio di malattie trasmesse dall’acqua.
Nel frattempo, oltre al danno o alla distruzione delle strutture sanitarie di Gaza, altre azioni deliberate delle forze israeliane hanno contribuito al collasso effettivo del sistema sanitario di Gaza. Tra queste, gli ordini di “evacuazione” di massa applicati agli ospedali e ad altre strutture mediche e ripetute incursioni negli ospedali che hanno causato la detenzione, l’uccisione o il ferimento del personale. Gli ospedali, che erano alle prese con esigenze alle stelle a causa delle migliaia di feriti derivanti al conflitto, nonché dei crescenti tassi di grave malnutrizione, disidratazione e malattie, sono stati costretti a chiudere o limitare i servizi. Ciò ha portato, in molti casi, a ferite aggravate e a un numero maggiore di amputazioni, poiché i medici non erano in grado di fornire cure mediche adeguate che potessero salvare gli arti dei feriti. Coloro che avevano problemi di salute preesistenti sono rimasti senza cure mediche adeguate o senza alcuna cura. Entro il 2024 le interruzioni dell’assistenza sanitaria essenziale hanno causato decessi tra le persone palestinesi, che avrebbero potuto essere facilmente prevenuti, secondo le organizzazioni umanitarie.
SFOLLAMENTO
Tra il 7 ottobre 2023 e il 30 settembre 2024, Amnesty lnternational ha identificato almeno 59 distinti ordini di “evacuazione” emessi sulla pagina Facebook di Cogat alla popolazione civile palestinese in tutta Gaza, innescando la più grande ondata di sfollamento di palestinesi da parte di Israele dal 1948, quando Israele aveva effettuato la pulizia etnica di centinaia di città e villaggi palestinesi e aveva costretto centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le proprie case in quella che è diventata nota ai palestinesi come la Nakba o catastrofe. Questi ordini erano generali, spesso incomprensibili per la popolazione locale, fuorvianti e arbitrari. Di conseguenza, hanno creato panico e caos, mettendo in pericolo la vita dei civili e costringendoli a fuggire in condizioni precarie. Per una popolazione di cui il 70% è costituito da rifugiati o discendenti di coloro che sono stati sfollati nel 1948, gli ordini hanno avuto anche un effetto profondamente traumatico.
Nel periodo di nove mesi coperto da questo rapporto, tali ordini di “evacuazione” hanno spinto i civili in sacche sempre più piccole nella parte centrale e meridionale di Gaza, comprese le “zone umanitarie” designate da Israele di Deir al-Balah e AI-Mawasi e altre località insalubri, indegne e pericolose, prive delle condizioni più basilari per la sopravvivenza dei civili. Hanno obbligato i civili a spostarsi da un’area all’altra “come pedine in una partita a scacchi”, costringendoli a spostarsi di nuovo non appena le persone avevano imparato ad affrontare il loro nuovo ambiente di sfollamento. Con l’espansione degli spazi presi di mira dagli ordini di “evacuazione”, gli sfollati interni hanno esaurito il terreno in cui potevano montare le loro tende; alcuni sono stati costretti a dormire accanto a discariche di rifiuti solidi o accanto a condotte fognarie. Nel frattempo, Israele non è riuscito a rispettare i suoi abbi ighi di potenza occupante per garantire la sicurezza e il benessere della popolazione palestinese sfollata, incluso il loro accesso a beni di prima necessità, come un riparo sicuro e adeguato, cibo, medici ne, acqua e servizi igienici, nelle aree in cui le persone erano state sfoIlate. Invece di proteggere la popolazione civile, come affermato dalle autorità israeliane, questi ripetuti ordini hanno contribuito a infliggere condizioni di vita calcolate per distruggere la popolazione palestinese a Gaza e hanno violato il divieto di trasferimenti forzati di massa.
A gennaio 2024 circa 1,7 milioni di palestinesi, che rappresentano circa il 75% della popolazione di Gaza, erano sfollati internamente, secondo l’Agenzia delle Nazioni unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel vicino Oriente (Unrwa). Di questi, oltre un milione era stipato nel governatorato di Rafah, quintuplicandone la popolazione. Entro l’inizio di luglio 2024 Israele aveva sfollato con la forza circa 1,9 milioni di palestinesi, ovvero circa il 90% della popolazione di Gaza, almeno una volta. Molti di loro erano stati sfollati più volte, alcuni fino a 10 volte. Entro la fine di agosto 2024, 1’84% dell’area di Gaza era stata soggetta a ordini di “evacuazione”, secondo le stime delle Nazioni unite.
Israele ha respinto le accuse secondo cui il primo ordine di “evacuazione” di massa del 13 ottobre 2023 abbia contribuito a infliggere condizioni di vita calcolate per distruggere la popolazione palestinese a Gaza. Ha sostenuto di aver lanciato innumerevoli volantini, pubblicato avvertimenti in arabo su account ufficiali dei social media, effettuato migliaia di telefonate e trasmesso avvertimenti via radio. Ha inoltre sostenuto che l’esercito non aveva lanciato la sua invasione di terra fino a tre settimane dopo aver iniziato a impartire ordini di “evacuazione” ai civili nell’area a nord del Wadi Gaza. In realtà, tuttavia, per decine di migliaia di persone, comprese persone con mobilità ridotta o senza reti familiari a sud del Wadi Gaza, andarsene era molto difficile o semplicemente impossibile. Inoltre, sebbene le forze israeliane non abbiano iniziato la loro invasione di terra fino alla fine di ottobre 2023, stavano già conducendo massicci attacchi aerei nell’area a nord del Wadi Gaza prima che iniziasse l’invasione di terra.
Nel corso dei nove mesi in esame, Israele avrebbe ridisegnato regolarmente i confini delle “zone umanitarie” designate unilateralmente senza dare ai residenti un preavviso adeguato. Ad esempio, i confini di AI-Mawasi apparivano in modo diverso su almeno tre diverse mappe pubblicate dall’esercito sui suoi account di social media solo tra il 18 e il 30 ottobre 2023, creando confusione tra i civili ed esacerbando la sensazione che nessun posto a Gaza fosse sicuro.
A dicembre 2023 l’esercito israeliano ha iniziato a utilizzare una mappa interattiva di Gaza che la divideva in oltre 600 blocchi numerati ed era accessibile tramite un codice QR, strumento principale utilizzato per ordinare “evacuazioni” di massa. Le informazioni pubblicate tramite la mappa erano spesso confuse e contraddicevano gli ordini distribuiti tramite volantini o post sui social media. I frequenti blackout delle telecomunicazioni e la scarsa fornitura di elettricità hanno reso la mappa inaccessibile per molti.
Spesso alle persone veniva “ingiunto” di trasferirsi in aree che sarebbero state soggette a nuovi ordini di “evacuazione” giorni o settimane dopo, e che avevano già subito danni o distruzioni sostanziali, o aree prive di infrastrutture per supportare la vita, per non parlare di far fronte all’afflusso massiccio di persone. All’inizio del 2024 l’esercito israeliano ha iniziato i suoi attacchi aerei sulle “zone umanitarie”, aree che in precedenza facevano parte di tali zone poi improvvisamente escluse dalle autorità israeliane tramite una modifica delle mappe, senza dare ai residenti un preavviso adeguato. Per molti, il sistema con cui Gaza era divisa in blocchi era completamente incomprensibile in quanto era in contrasto con la concezione spaziale dei loro dintorni.
Al 30 settembre 2024 ai palestinesi sfollati dall’area a nord del Wadi Gaza verso sud di essa non è stato permesso di tornare a casa. Nel frattempo, circa 400.000 palestinesi vivono nell’area a nord del Wadi Gaza e non vogliono fuggire a sud, o perché non sono in grado o per paura di uno sfollamento permanente. Sono tagliati fuori dal resto della popolazione di Gaza dalla zona militare chiamata da Israele “Corridoio Netzarim”.
Nonostante le condizioni siano rapidamente diventate inadatte alla vita umana, le autorità israeliane si sono rifiutate di considerare qualsiasi accordo che avrebbe protetto i civili sfollati e garantito i loro bisogni di base. Avrebbero potuto consentire ai civili sfollati dall’area a nord del Wadi Gaza di tornare alle loro case, in particolare dopo aver annunciato di aver smantellato con successo Hamas nel nord di Gaza all’inizio del 2024. Avrebbero potuto consentire il trasferimento temporaneo dei civili palestinesi da Gaza ad altre parti del Tpo, ovvero la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est. Avrebbero anche potuto consentire ai civili di entrare in Israele, soprattutto perché oltre il 70% della popolazione di Gaza è composta da rifugiati o discendenti di rifugiati sfollati nel 1948 e, in quanto tali, aventi diritto, secondo il diritto internazionale, a tornare nelle terre in Israele da cui loro o i loro antenati sono stati sfollati.
NEGAZIONE E OSTRUZIONE DEI SERVIZI ESSENZIALI
Oltre a causare una crisi umanitaria senza precedenti infliggendo danni e distruzioni significativi e aggravando le esigenze umanitarie sfollando il 90% della popolazione di Gaza,
le autorità israeliane hanno adottato misure e politiche che hanno portato alla negazione e all’ostruzione dei servizi essenziali e delle forniture salvavita per i palestinesi di Gaza.
Lo hanno fatto adottando una poi itica di assedio totale subito dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023 a Israele: mantenendo un blocco soffocante e illegale, anche rifiutando di aprire sufficienti punti di accesso a Gaza e imponendo rigide e onerose restrizioni su ciò che poteva entrare a Gaza; tagliando e controllando severamente l’accesso alle fonti energetiche, in particolare il carburante; e non riuscendo a facilitare un accesso significativo all’interno di Gaza, inclusa l’area a nord del Wadi Gaza, in modo che le organizzazioni umanitarie potessero fornire lì servizi essenziali e forniture salvavita. Hanno pubblicamente collegato la ripresa dell’accesso umanitario e la fornitura di servizi essenziali al rilascio degli ostaggi e alla distruzione totale di Hamas e hanno fatto espressamente riferimento all’impatto delle loro azioni sulla popolazione di Gaza, indicando che il risultato era sia compreso che voluto.
In un esempio di linguaggio disumanizzante, parte di oltre un centinaio di dichiarazioni analizzate da Amnesty lnternational per dimostrare l’intento genocida, il 10 ottobre 2023 l’allora ministro dell’Energia e delle Infrastrutture Katz ha dichiarato esplicitamente che la decisione di Israele di vietare l’ingresso di carburante aveva lo scopo di infliggere condizioni di vita calcolate per provocare la distruzione fisica dei palestinesi a Gaza:
“Finora abbiamo trasferito 54. 000 metri cubi di acqua e 2. 700 megawatt di elettricità a Gaza al giorno. È finita. Senza carburante, anche l’elettricità locale si spegnerà entro pochi giorni e i pozzi di pompaggio si fermeranno entro una settimana. Ecco cosa si dovrebbe fare a una nazione di assassini e massacratori di bambini. Ciò che è stato non sarà”.
Dopo gli attacchi guidati da Hamas del 7 ottobre 2023 Israele ha imposto un assedio totale a Gaza. Dopo la chiusura del valico di Rafah al confine tra Gaza ed Egitto, ciò ha significato che nessun carburante, nessun gas da cucina, nessun cibo, nessuna fornitura medica e nessuna persona è stata in grado di entrare a Gaza. Israele ha anche tagliato le forniture di acqua ed elettricità, sapendo bene che Gaza sarebbe diventata ancora più dipendente dal carburante per fornire servizi essenziali. Dopo una significativa pressione da parte degli Usa e di altri, le autorità israeliane hanno dichiarato che non avrebbero impedito l’ingresso di aiuti dall’Egitto, ma le caratteristiche chiave della politica di assedio totale sono rimaste in vigore. Il 18 ottobre 2023 le autorità israeliane hanno indicato che avrebbero mantenuto almeno tre restrizioni cruciali, ovvero: limitare l’impegno a consentire l’ingresso di cibo, acqua e medicine ai civili nella zona meridionale di Gaza, il che implica che sarebbero rimaste restrizioni sugli aiuti che raggiungevano i civili rimasti nell’area a nord del Wadi Gaza; impedire l’ingresso di altre forniture, come il carburante, a Gaza; e mantenere la chiusura dei punti di ingresso da Israele a Gaza, compresi tutti gli accessi via terra nella zona settentrionale e centrale di Gaza.
Nel tempo, Israele ha accettato di aprire ulteriori punti di accesso a Gaza dal suo territorio, in risposta all’enorme pressione internazionale, ma a quel punto l’intera risposta umanitaria era concentrata su Rafah. In nessun momento ha garantito un insieme prevedibile e coerente di percorsi per Gaza, che le organizzazioni umanitarie avevano ripetutamente chiesto. Nel frattempo, le continue procedure di controllo lunghe, arbitrarie e onerose per i camion hanno
causato notevoli ritardi e hanno fatto sì che livelli di aiuti in entrata a Gaza fossero palesemente insufficienti.
Solo all’inizio di aprile 2024, sei mesi dopo l’offensiva, Israele si è finalmente impegnato ad aprire un valico nel nord di Gaza, rendendo disponibile il porto di Ashdod alle consegne e assicurando che i valichi esistenti fossero aperti per più ore, nonostante le organizzazioni umanitarie chiedessero tali misure da mesi. Piuttosto che un significativo cambiamento di politica, questa mossa sembrava essere progettata per placare la comunità internazionale in seguito a un grido di protesta internazionale per l’uccisione da parte delle forze israeliane, il 1° aprile 2024, di un gruppo di operatori umanitari, per lo più stranieri, che lavoravano per World Centrai Kitchen. 11 fatto che l’uccisione sia avvenuta quattro giorni dopo che la Corte internazionale di giustizia avesse emesso la sua seconda serie di misure cautelari, che ordinavano a Israele di adottare tutte le misure necessarie per “garantire la fornitura senza ostacoli su larga scala… di servizi di base urgentemente necessari e assistenza umanitaria”, ha solo aggiunto ulteriore pressione. Nel maggio 2024 Israele ha aperto sia i valichi di Erez orientale che occidentale nel nord di Gaza, ma secondo i dati di Cogat, gli aiuti in transito attraverso questi punti di accesso rappresentavano una frazione minuscola degli aiuti totali precedentemente in entrata a Gaza. Nessuno dei due valichi è rimasto costantemente aperto.
Sebbene queste misure abbiano portato ad alcuni miglioramenti nell’accesso agli aiuti umanitari, non sono state né continue né hanno alterano significativamente la situazione sul campo. In seguito, lanciando la sua operazione di terra a Rafah il 6 maggio 2024, Israele ha deliberatamente messo di nuovo a repentaglio la risposta umanitaria e ha causato un’altra ondata di sfollamenti di massa senza garantire le necessità di base per gli sfollati. Dopo che le forze israeliane hanno preso il controllo del valico di Rafah, l’Egitto ha annunciato che non si sarebbe coordinato con Israele per motivi di sicurezza e il valico di Rafah è stato chiuso. Dopo di che, persone e merci hanno potuto entrare e uscire da Gaza solo attraverso Israele.
A luglio 2024, due mesi dopo l’inizio dell’operazione di terra a Rafah, un alto funzionario umanitario ha dichiarato ad Amnesty lnternational: “Non dico più alla gente che siamo in ginocchio come operazione umanitaria. Siamo oltre. Siamo crollati. Tutto ciò che accade è un sussulto mortale… ”
Anche il piccolo flusso di persone in grado di lasciare Gaza per cure mediche è stato interrotto, colpendo migliaia di pazienti. In seguito agli attacchi guidati da Hamas del 7 ottobre 2023, le autorità israeliane ed egiziane hanno concordato di consentire ad alcune persone di evacuare per motivi medici attraverso Rafah in Egitto, dopo che Israele aveva completamente sospeso il rilascio di permessi per i residenti di Gaza per accedere alle cure mediche in Israele o in Cisgiordania. La chiusura del valico di Rafah ha comportato che Israele avesse il controllo esclusivo sulle procedure di evacuazione medica. Nei quattro mesi successivi alla chiusura sono stati evacuati solo 229 pazienti, la maggior parte dei quali bambini, su migliaia di persone che avevano richiesto l’approvazione.
Le autorità israeliane hanno respinto con forza “qualsiasi accusa secondo cui Israele starebbe intenzionalmente facendo morire di fame la popolazione civile di Gaza”. Hanno attribuito la causa della fame e le malattie diffuse ad Hamas e ad altri gruppi armati palestinesi, accusandoli di aver preso gli aiuti destinati ai civili di Gaza e alle organizzazioni umanitarie,
sostenendo che erano incapaci di distribuire gli aiuti che Israele aveva permesso di far entrare a Gaza. Le organizzazioni umanitarie hanno riconosciuto che la situazione disastrosa della sicurezza ha ostacolato un’efficace distribuzione degli aiuti, ma hanno affermato che l’esercito israeliano non è riuscito a fornire le garanzie di sicurezza richieste – da un lato – e che il volume minimo e imprevedibile di aiuti ha aumentato la disperazione delle persone, portando a casi di “autodistribuzione” – dall’altro. Non c’è dubbio che alcuni aiuti salvavita siano stati deviati in seguito agli attacchi ai convogli di aiuti da parte di bande organizzate all’interno di Gaza. Ma si sono verificati principalmente dopo che gli attacchi di Israele alle istituzioni di Gaza, tra cui la polizia, avevano portato a un crollo della governance. In ogni caso, tali atti non esonerano Israele dal suo obbligo incondizionato, in quanto potenza occupante, e dal suo obbligo in quanto parte del conflitto armato di accettare e facilitare l’ingresso e la distribuzione dell’assistenza umanitaria in tutto il territorio occupato.
Oltre alle restrizioni sui punti di accesso, le lunghe e arbitrarie procedure di ispezione imposte da Israele hanno avuto un impatto enorme sulla quantità di aiuti che potevano entrare a Gaza. I camion che entravano a Gaza dall’Egitto dovevano essere scaricati e ricaricati più volte, causando ritardi di settimane. Gli operatori umanitari hanno segnalato frequenti e arbitrari rifiuti o ritardi imposti dalle autorità israeliane alle importazioni di beni, tra cui forniture salvavita. Sebbene non vi fosse alcun divieto generale all’importazione di particolari forniture o attrezzature mediche, le autorità israeliane hanno respinto l’importazione di centinaia di esse, poiché il sistema sanitario era sopraffatto e al collasso. Tra queste rientravano macchine per l’anestesia, bombole di ossigeno, frigoriferi per conservare i medicinali, bevande vitaminiche, capsule per la purificazione dell’acqua e un respiratore, secondo un elenco esaminato da Amnesty lnternational all’inizio del 2024.
Sebbene sia diventato più facile portare cibo a Gaza rispetto ad altri beni salvavita, come le attrezzature per rifugi e i materiali necessari per la risposta idrica, sanitaria e igienica, da fine ottobre 2023 i lunghi processi di ispezione hanno reso difficile, in pratica, portare grandi volumi, in particolare di cibo fresco e nutriente. Anche l’importazione di prodotti necessari per rilanciare il settore agricolo devastato è stata influenzata. In un caso documentato da Amnesty lnternational, Israele ha ritardato l’ingresso di foraggio a Gaza per oltre quattro mesi.
Le autorità israeliane hanno sostenuto che non erano stati imposti limiti alla quantità di aiuti che potevano entrare a Gaza e che non avevano limitato l’ingresso di cibo. Hanno affermato che, in vari momenti dopo il 7 ottobre 2023, sono entrati a Gaza più camion di cibo, in media, rispetto a prima dell’offensiva.
Sebbene l’esercito israeliano avesse promesso nell’aprile 2024 che la media giornaliera di camion che trasportavano cibo, acqua e rifornimenti per rifugi a Gaza sarebbe salita a circa 500 al giorno, in nessun momento ha rispettato questo impegno. L’analisi quantitativa dei dati sui camion condotta da Amnesty lnternational ha mostrato che il numero di camion effettivamente autorizzati a entrare a Gaza non si è mai avvicinato a questo numero. Nel suo momento più alto durante il periodo di nove mesi in esame, nell’aprile 2024, il numero di camion che entravano a Gaza ha raggiunto solo 189 o 220 camion al giorno, rispettivamente secondo i dati dell’Unrwa e del Cogat. Amnesty lnternational ha anche scoperto che le affermazioni del primo ministro Netanyahu nel luglio 2024 secondo cui erano consentite quantità sufficienti di cibo per fornire ai palestinesi più di 3.000 calorie al giorno erano
fuorvianti. In quattro mesi tra ottobre 2023 e giugno 2024, il numero medio giornaliero di camion, carichi di cibo, in entrata a Gaza è stato inferiore a 75.
Fondamentalmente, in nessun mese tra ottobre 2023 e giugno 2024, utilizzando i dati Unrwa o Cogat, il numero segnalato di camion che trasportavano importazioni a Gaza non si è avvicinato neanche lontanamente alla media giornaliera di 327 camion (esclusi quelli che trasportavano carburante) entrati nell’anno precedente l’offensiva israeliana, secondo l’analisi di Amnesty International. Lo standard precedente a ottobre 2023 rifletteva solo ciò che Israele aveva consentito a Gaza sotto il suo blocco illegale piuttosto che le reali esigenze della popolazione di Gaza in quel momento. Considerando che, dopo il 7 ottobre 2023, le esigenze sono aumentate drasticamente a causa dell’entità dei danni e della distruzione su larga scala, degli sfollamenti forzati di massa, nonché dei crescenti tassi di malnutrizione, malattie e ferite legate al conflitto, erano necessarie molte più forniture per sostenere la vita dei civili rispetto alle quantità limitate consentite prima dell’offensiva.
Israele ha interrotto la fornitura di elettricità a Gaza come parte del suo assedio totale. Dopo aver bloccato l’importazione di carburante per settimane, ha iniziato a consentire l’ingresso di una parte di carburante a Gaza a metà novembre 2023. Tuttavia, ha controllato rigorosamente sia la quantità di carburante che poteva entrare a Gaza sia chi poteva utilizzarlo. Ha autorizzato solo l’Unrwa a importarlo, lasciando altri attori umanitari, ospedali, panetterie e municipalità dipendenti da qualsiasi carburante l’Unrwa fosse in grado di portare a Gaza. Mentre la quantità di carburante approvata dalle autorità israeliane per entrare a Gaza ha oscillato nel tempo, molto meno carburante è entrato a Gaza dopo il 7 ottobre 2023 rispetto a prima di quella data. L’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha stimato che, tra gennaio e giugno 2024, solo il 14% del carburante che entrava a Gaza ogni mese prima di ottobre 2023 è stato effettivamente autorizzato, nonostante fosse necessario più carburante a causa dei tagli israeliani alla fornitura di elettricità. Secondo i documenti condivisi con Amnesty lnternational, alcune richieste di nuovo o aumentato utilizzo di carburante da parte di organizzazioni umanitarie sono rimaste senza risposta da parte delle autorità israeliane per oltre due mesi. Queste restrizioni, unite a ingenti danni e distruzioni di infrastrutture e allo spostamento di molto personale essenziale, hanno portato a una significativa riduzione dei servizi essenziali, aggravando enormemente un deficit di elettricità cronico che precedeva l’offensiva ed era causato in gran parte dalle politiche di occupazione e apartheid di Israele e dai bombardamenti israeliani contro infrastrutture fondamentali nelle precedenti offensive.
I funzionari israeliani hanno sostenuto che le restrizioni imposte sul carburante erano necessarie per impedire ad Hamas di dirottarlo, oltre che per alimentare i suoi razzi. Non è chiaro in quale misura le autorità di Hamas abbiano deviato per scopi militari le importazioni ufficiali di carburante. Anche se il carburante viene saccheggiato o deviato, ciò non giustifica la decisione continua di Israele di non fornire altre fonti di energia che consentirebbero il funzionamento dei servizi essenziali, il più ovvio dei quali è l’invio di elettricità a Gaza tramite linee di alimentazione esistenti o nuove o l’importazione di pannelli solari. Nell’aprile 2024, Israele ha affermato che nove delle 10 linee ad alta tensione che trasportavano elettricità da Israele a Gaza erano state danneggiate dal lancio di razzi, ma non ha spiegato cosa gli avesse impedito di riparare le linee e ripristinare la fornitura di elettricità, né se il danno fosse stato
causato dal lancio di razzi, perché i funzionari governativi avevano annunciato che Israele avrebbe interrotto la fornitura di elettricità fino al ritorno degli ostaggi.
All’inizio di luglio 2024, otto mesi dopo aver interrotto la fornitura di elettricità a Gaza e dopo un’enorme pressione da parte dei suoi alleati occidentali, i funzionari israeliani hanno annunciato che Israele avrebbe consentito la fornitura diretta di elettricità a un impianto di desalinizzazione dell’acqua gestito dall’0nu a Khan Younis, impedendo così ad Hamas di sfruttare la fornitura di energia. Entro il 30 settembre 2024 le autorità israeliane non avevano ancora preso questa decisione, nonostante le persone coinvolte nel progetto avessero dichiarato ad Amnesty lnternational che le riparazioni richieste erano state completate. Nel fare l’annuncio, tuttavia, le autorità israeliane hanno dimostrato che erano disponibili misure umanitarie per fornire energia, che hanno deliberatamente scelto di non adottare.
Parallelamente al mantenimento delle restrizioni di accesso a Gaza, le autorità israeliane hanno anche impedito attivamente, deliberatamente e ripetutamente che sufficienti aiuti e altre forniture essenziali raggiungessero determinate aree di Gaza, in particolare quelle a nord del Wadi Gaza. Sebbene le autorità israeliane avessero annunciato all’inizio di gennaio 2024 di aver smantellato con successo Hamas nel nord di Gaza, hanno continuato a limitare l’accesso umanitario in quell’area. Lo hanno fatto ritardando o rifiutando le richieste necessarie ai convogli per attraversare i posti di blocco che Israele aveva istituito nella zona militare a cui si riferiva come “Corridoio Netzarim”. Hanno anche rifiutato ripetutamente di aprire i posti di blocco a Gaza prima e per più ore. Hanno anche infastidito e ritardato, a volte per ore, gli operatori umanitari in attesa di passare attraverso i posti di blocco. Hanno anche ritardato sistematicamente o negato missioni umanitarie che miravano a consegnare carburante. A gennaio 2024 solo il 10% di tali richieste era stato accettato. L’impatto sugli ospedali, nonché sulle strutture idriche e igienico-sanitarie, è stato devastante. Le restrizioni di accesso alla zona settentrionale di Gaza hanno anche influenzato la capacità delle organizzazioni umanitarie di aiutare i pazienti gravemente malati che erano stati autorizzati all’evacuazione da Gaza attraverso il valico di Rafah.
Dopo il 7 ottobre 2023 Israele ha notevolmente ampliato il suo controllo effettivo su Gaza. Tuttavia, nonostante i suoi obblighi in quanto potenza occupante, nonché parte del conflitto armato, Israele non solo non è riuscito a provvedere ai bisogni di base dei palestinesi che vivono lì, ma ha anche reso quasi impossibile per la comunità umanitaria fornire il necessario volume e diversità di aiuti e servizi essenziali per sostenere la vita civile, in violazione del diritto internazionale umanitario e del diritto internazionale dei diritti umani. Considerando la natura effettiva delle condizioni di vita, il fatto che i palestinesi di Gaza vi siano stati sottoposti per l’intero periodo di nove mesi esaminato e la specifica vulnerabilità dell’intera popolazione di Gaza, che era stata spinta verso la disoccupazione, la povertà e un’elevata dipendenza dall’assistenza umanitaria dalle politiche di apartheid e occupazione di Israele anche prima del 7 ottobre 2023, Amnesty lnternational ha concluso che Israele ha creato condizioni a Gaza che avrebbero portato alla lenta morte della popolazione palestinese. Ha concluso, inoltre, come descritto di seguito, che Israele non solo aveva previsto, ma aveva inteso infliggere condizioni di vita alla popolazione palestinesi di Gaza calcolate per provocare la loro distruzione. Amnesty lnternational ha concluso che Israele ha perpetrato l’atto di “infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita calcolate per provocare la sua
distruzione fisica in tutto o in parte”, come proibito dall’articolo ll(c) della Convenzione sul genocidio.
INTENTO SPECIFICO
Nel determinare se gli atti proibiti siano stati perpetrati con l’intento specifico richiesto di distruggere la popolazione palestinese a Gaza, Amnesty lnternational ha seguito la giurisprudenza internazionale secondo cui le prove sull’intento genocida devono essere affrontate e considerate in modo olistico. Secondo la giurisprudenza, l’intento genocida può essere valutato sulla base di prove dirette o, in assenza di queste, dedotto da prove indirette o circostanziali, tra cui: il contesto generale in cui sono stati commessi gli atti proibiti; l’esistenza di un modello di condotta; la portata e la natura presumibilmente sistematica degli atti proibiti; e la portata, la natura, l’estensione e il grado di vittime e danni contro il gruppo protetto. Inoltre, il genocidio non deve essere necessariamente l’unico intento: può coesistere con obiettivi militari o essere il mezzo per raggiungere obiettivi militari.
Dopo aver stabilito che Israele ha commesso atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio contro la popolazione palestinese di Gaza, parte di un gruppo protetto, tra il 7 ottobre 2023 e l’inizio di luglio 2024, Amnesty lnternational ha analizzato il modello generale della condotta di Israele a Gaza per determinare se rivelasse un intento genocida di distruggere i palestinesi di Gaza. Ha esaminato le violazioni israeliane del diritto internazionale insieme e cumulativamente, tenendo conto del la loro ricorrenza e del loro verificarsi simultaneo, e aggravante reciprocamente l’impatto dannoso. L’organizzazione ha anche considerato la portata e la gravità della quantità delle vittime e della distruzione ripetute nel tempo nonostante i continui avvertimenti delle Nazioni unite e degli alleati di Israele, nonché i molteplici ordini vincolanti della Corte internazionale di giustizia. Infine, ha analizzato le prove dirette dell’intento di Israele attraverso le dichiarazioni di funzionari israeliani con responsabilità dirette sulla gestione dell’offensiva su Gaza, inclusi membri dei gabinetti di guerra e sicurezza, nonché alti funzionari militari.
Amnesty lnternational ha scoperto che il seguente schema di condotta indicava un intento genocida: ripetuti attacchi diretti contro civili e obiettivi civili e attacchi deliberatamente indiscriminati nel periodo di nove mesi, che hanno annientato intere famiglie palestinesi, ripetutamente lanciati in momenti in cui questi attacchi avrebbero causato un numero elevato di vittime civili; l’uso ripetuto di armi con effetti su vasta area in quartieri residenziali densamente popolati; la rapida, massiccia e completa distruzione di obiettivi e infrastrutture civili, siano essi stati case, rifugi, strutture sanitarie, infrastrutture idriche e igienico• sanitarie, terreni agricoli o altri oggetti essenziali per la sopravvivenza della popolazione civile; la ripetuta distruzione di obiettivi e infrastrutture civili e di siti culturali e religiosi, anche tramite buIldozer e demoIizioni controllate, dopo che Israele ne aveva ottenuto iI controIlo militare; gli ordini di “evacuazione” generali, spesso incomprensibili, fuorvianti e arbitrari, ripetuti nel periodo di nove mesi in esame e diretti a un numero estremamente elevato di persone, che hanno causato il loro ripetuto spostamento forzato di massa in condizioni insicure e disumane senza via d’uscita da Gaza; la tortura e la detenzione in isolamento dei palestinesi di Gaza e il continuo rifiuto di consentire che aiuti umanitari adeguati e altri beni essenziali raggiungessero le persone a Gaza nonostante la condanna internazionale e agli ordini giuridicamente vincolanti della Corte internazionale di giustizia.
Amnesty lnternational ha analizzato la natura effettiva delle condizioni di vita imposte ai palestinesi a Gaza e la durata del periodo in cui vi sono stati sottoposti, tenendo anche in considerazione la vulnerabilità preesistente della popolazione. L’offensiva di Israele si è verificata nel contesto di un’occupazione durata 57 anni. Si è verificata nel contesto del sistema di apartheid di Israele contro le e i palestinesi, compresi le e i palestinesi di Gaza, che sottopone tutta la popolazione palestinesi in Israele e nei territori occupati a un regime istituzionalizzato di oppressione e dominio. Si è verificata in seguito ad altre quattro importanti offensive israeliane a Gaza dal 2008 che hanno indebolito massicciamente le infrastrutture di sostegno vitale di Gaza attraverso danni e distruzioni diffuse e hanno reso le autorità israeliane fortemente consapevoli dei loro effetti diretti e riverberanti sui servizi essenziali e sulle infrastrutture chiave. Si è verificata anche nel contesto del blocco illegale di Gaza in vigora da 17 anni.
Prima del 7 ottobre 2023, secondo la Conferenza delle Nazioni unite sul commercio e lo sviluppo (Unctad), 1’80% della popolazione di Gaza dipendeva dagli aiuti, principalmente a causa del blocco, che aveva creato una crisi umanitaria cronica. Gaza dipendeva dall’importazione di beni essenziali, tra cui cibo, elettricità, acqua, medicine e carburante, per soddisfare le esigenze civili. Dopo l’inizio della loro offensiva su Gaza, le autorità israeliane hanno drasticamente rafforzato il blocco esistente e imposto ulteriori restrizioni che controllavano il flusso di aiuti e altri beni essenziali a Gaza, riducendo drasticamente la disponibilità di fonti energetiche necessarie per alimentare i servizi essenziali e ostacolando l’accesso umanitario a vaste aree di Gaza, in particolare nel nord di Gaza. A volte, Israele ha consentito l’ingresso di alcuni aiuti umanitari a Gaza in risposta alle pressioni internazionali, ma ciò non ha mai influenzato in modo significativo le condizioni di vita generali imposte alla popolazione locale.
La condotta illecita di Israele durante la sua offensiva militare ha causato danni senza precedenti alla popolazione palestinese di Gaza, che hanno portato a un’enorme quantità di uccisioni e feriti gravi in un lasso di tempo estremamente breve, una distruzione “inimmaginabile” che ha reso Gaza “inabitabile” e ha causato, alla velocità della luce, malnutrizione, fame e lo scoppio di molteplici malattie. Israele deve essere stato consapevole della “probabilità oggettiva” che queste condizioni di vita avrebbero portato alla distruzione fisica della popolazione palestinese di Gaza. Non solo ha compreso l’impatto di questi atti, ma ne ha voluto l’esito, come dimostrato dai ripetuti modelli di atti illeciti nel tempo e dalla persistenza di questi atti di fronte alla condanna internazionale e agli avvertimenti delle Nazioni unite e in sfida agli ordini della Corte internazionale di giustizia.
Gli atti proibiti dalla Convenzione sul genocidio hanno avuto luogo insieme ad altre violazioni del diritto internazionale che indicano intenti genocidi, come la detenzione in isolamento, la tortura e altri maltrattamenti di palestinesi di Gaza, nonché la distruzione diffusa di siti culturali, storici e religiosi, anche in circostanze successive al controllo militare di Israele e in cui non vi era alcuna apparente necessità militare.
DISTRUZIONE DI SITI CULTURALI E RELIGIOSI
Sebbene la distruzione di beni o patrimoni storici, culturali e religiosi non sia considerata un atto proibito ai sensi della Convenzione sul genocidio, la Corte internazionale di giustizia ha stabilito che tale distruzione può fornire la prova dell’intenzione di distruggere fisicamente il
gruppo quando viene eseguita deliberatamente. I siti culturali e religiosi di Gaza sono stati distrutti su una scala senza precedenti. La valutazione congiunta dei danni provvisori pubblicata dalla Banca mondiale, dall’Ue e dall’Onu nel marzo 2024 ha rilevato che 17 università e circa il 63% di tutti i siti del patrimonio di Gaza erano stati distrutti o danneggiati. Tra questi figuravano importanti punti di riferimento, siti archeologici, istituzioni religiose e monumenti. Molti erano di grande importanza per l’identità nazionale palestinese, la memoria collettiva e il tessuto sociale. Amnesty lnternational ha verificato 43 video che documentavano 34 attacchi alle moschee. In questi, 12 moschee sono state distrutte tramite demolizioni controllate, sebbene il livello effettivo di distruzione potrebbe essere molto più elevato. Già a marzo 2024, un’indagine open source aveva identificato danni o distruzioni a 100 moschee e 21 cimiteri.
In base al diritto internazionale umanitario, Israele deve astenersi dall’attaccare siti di grande importanza per il patrimonio culturale, a meno che non sia imperativamente richiesto da necessità militari. L’esercito israeliano ha giustificato la distruzione di alcune moschee e università sostenendo che erano state impiegate per scopi militari da Hamas o da altri gruppi armati palestinesi o che contenevano infrastrutture militari. Tuttavia, in quattro dei casi documentati attraverso una revisione di video pubblicati dai soldati online e un’analisi di immagini satellitari, Amnesty lnternational ha dimostrato che le forze israeliane avevano il controllo dei siti in quel momento, suggerendo che non vi era alcuna imperativa necessità militare per la loro distruzione. Piuttosto, questa distruzione di siti culturali e religiosi palestinesi sembra essere stata considerata lo scopo e l’obiettivo stesso delle azioni dei soldati israeliani.
I siti includevano due edifici facenti parte del campus AI-Mughraqa dell’Università di AI• Azhar e del campus AI-Zahra dell’Università di lsraa, entrambi situati a sud di Gaza City, dunque a sud della zona militare nota come “Corridoio Netzarim”; la moschea di AI-Dhilal e un cimitero adiacente a Bani Suheila, a Khan Younis; e la moschea di Al-lstiqlal, a Khan Younis. Ad eccezione del cimitero di Bani Suheila che è stato distrutto con i bulldozer, tutti sono stati distrutti in demolizioni controllate con esplosivi piazzati manualmente tra dicembre 2023 e gennaio 2024. In un video pubblicato sui social media il 7 dicembre 2023, che mostrava la demolizione controllata del campus AI-Mughraqa dell’Università di AI-Azhar, i soldati israeliani cantavano e applaudivano. Si sente uno di loro dire: “Prendi questo! Felice Hannukah, popolo di Israele. C’era una volta un’università”.
DEUMANIZZAZIONE E DICHIARAZIONI SULLA DISTRUZIONE DELLA POPOLAZIONE PALESTINESE
Tenendo presente che il genocidio è il culmine di un processo spesso accompagnato dall’alterizzazione e dalla disumanizzazione del gruppo protetto e che l’uso di un linguaggio denigratorio nei confronti del gruppo può fornire la prova di un intento genocida, Amnesty lnternational ha esaminato l’uso da parte di funzionari israeliani di una retorica disumanizzante, razzista e denigratoria contro i palestinesi prima dell’offensiva, dimostrando come questo uso di lunga data di tale linguaggio, unito all’incapacità di indagare e perseguire efficacemente l’incitamento anti-palestinese e la difesa dell’odio, abbia creato un ambiente in cui l’incitamento anti-palestinese e la difesa dell’odio hanno potuto diffondersi senza controllo. Entro il 2023 i livelli di discordi d’odio e incitamento avevano raggiunto livelli
allarmanti, riflettendo un razzismo profondamente radicato e in aumento nei confronti dei palestinesi all’interno della società israeliana.
Dopo il 7 ottobre 2023 tale retorica è aumentata in modo significativo, permeando ulteriormente la società israeliana. Gli atti illeciti di Israele sono stati spesso annunciati, richiesti e sollecitati in primo luogo da funzionari dei gabinetti di guerra e sicurezza di Israele, che hanno chiesto la distruzione della popolazione palestinese a Gaza in dichiarazioni pubbliche e ampiamente diffuse. Molti degli atti illeciti identificati da Amnesty lnternational sono stati preceduti da dichiarazioni di funzionari che ne sollecitavano l’attuazione. Amnesty lnternational ha analizzato 102 dichiarazioni di funzionari del governo israeliano, alti ufficiali militari e membri della Knesset tra il 7 ottobre 2023 e il 30 giugno 2024 che disumanizzavano le persone palestinesi o invocavano o giustificavano atti genocidi o altri crimini ai sensi del diritto internazionale contro di loro. Di queste, ha identificato 22 dichiarazioni che erano state specificamente rilasciate da membri dei gabinetti di guerra e sicurezza di Israele, tra cui il primo ministro Netanyahu, l’allora ministro della Difesa Gallant e altri ministri del governo, da alti ufficiali militari e dal presidente di Israele tra il 7 ottobre 2023 e il 30 giugno 2024. Queste dichiarazioni sembravano invocare o giustificare atti genocidi.
Inoltre, il linguaggio utilizzato dai funzionari israeliani è stato ripetuto frequentemente, anche dai soldati a Gaza, spiegando apparentemente la logica del loro comportamento. Ciò è dimostrato dall’analisi di Amnesty lnternational di 62 video, registrazioni audio e fotografie pubblicate online che mostrano soldati israeliani che invocano la distruzione di Gaza o la negazione di servizi essenziali alla popolazione di Gaza, o celebrano la distruzione di case, moschee, scuole e università palestinesi, anche tramite demolizioni controllate, in alcuni casi senza apparente necessità militare. Di questi video, 31 hanno chiesto a voce o per iscritto l’annientamento, la distruzione, l’incendio o la “cancellazione” di Gaza, o utilizzato un’altra retorica simile. L’esistenza di un gran numero di questi video e dichiarazioni pubbliche evidenzia non solo l’impunità sistemica, ma anche la creazione di un ambiente che incoraggia, se non tacitamente premia, tale comportamento.
INTENZIONE DI DISTRUGGERE LA POPOLAZIONE PALESTINESE
L’esistenza di obiettivi militari – tra cui l’eradicazione di Hamas – non indebolisce o smentisce in alcun modo l’esistenza di un intento genocida. Le autorità israeliane sostengono che le loro forze militari hanno preso di mira legalmente Hamas e altri gruppi armati palestinesi in tutta Gaza e che la conseguente distruzione senza precedenti e la negazione degli aiuti sono state il risultato della collocazione di Hamas tra i civili palestinesi e della deviazione degli aiuti. Tuttavia, anche quando i combattenti di Hamas si trovavano vicino o all’interno di aree densamente popolate, Israele era obbligato a prendere tutte le precauzioni possibili per risparmiare i civili e a evitare attacchi che sarebbero stati indiscriminati o sproporzionati. Amnesty lnternational, numerose altre organizzazioni per i diritti umani ed esperti delle Nazioni unite hanno scoperto che Israele ha ripetutamente mancato di farlo. Israele ha commesso molteplici crimini di guerra e altri crimini ai sensi del diritto internazionale per i quali non può esserci alcuna giustificazione basata sulle azioni di Hamas. Amnesty International non ha trovato prove che la passibile deviazione degli aiuti da parte di Hamas spieghi le azioni intraprese da Israele nel bloccare, limitare e impedire l’ingresso e la consegna di aiuti e altri beni necessari alla vita dentro e all’interno di Gaza.
Amnesty lnternational ha inoltre preso in considerazione e respinto l’argomentazione secondo cui Israele stava agendo in modo sconsiderato, senza l’intento specifico di distruggere la popolazione palestinese a Gaza. Molti degli atti illeciti di Israele sono, per definizione, intenzionali, tra cui la detenzione arbitraria e illegale e la tortura. Allo stesso modo, la negazione e la limitazione degli aiuti umanitari da parte di Israele sono state precise e deliberate, senza indicazione di sconsideratezza. I ripetuti ordini di “evacuazione” di massa della popolazione di Gaza verso aree prive delle infrastrutture di base per sostenere la vita, uniti al mancato permesso di ricollocare temporaneamente i civili in altre parti del Territorio occupato o di entrare in Israele, erano chiaramente progettati per confinare la popolazione palestinese in un’area di Gaza sempre più piccola e inospitale, con aiuti umanitari e altri beni essenziali insufficienti, e quindi per causare intenzionalmente uno sfollamento di massa in condizioni disumane e invivibili. Inoltre, Amnesty lnternational ha preso in considerazione le argomentazioni avanzate da alcuni osservatori secondo cui Israele non intendeva distruggere la popolazione palestinese; voleva invece distruggere Hamas e semplicemente non gli importava di dover distruggere i palestinesi in tale processo. Questa è un’altra articolazione dell’argomento della sconsideratezza respinto sopra, oppure suggerisce che Israele abbia ritenuto di dover distruggere la popolazione palestinese per distruggere Hamas e semplicemente non gli importasse abbastanza della vita palestinese da rifiutare tale percorso. In altre parole, la distruzione della popolazione palestinese sarebbe stata strumentale alla distruzione di Hamas. Tuttavia, l’intento strumentale, distruggere la popolazione palestinese per distruggere Hamas, è comunque un intento genocida.
Inoltre, questo disprezzo per la vita palestinese è di per sé una prova di intento genocida in
quanto indica una visione del governo israeliano e dei funzionari militari secondo cui le vite delle persone palestinesi non valgono la pena di essere prese in considerazione. Considerare coloro che vengono presi di mira come subumani è una caratteristica costante del genocidio. A questo proposito, la disumanizzazione di lunga data dei palestinesi da parte di Israele sotto le politiche di apartheid e occupazione, e la sua politica di separazione nei confronti di Gaza in particolare, che opprime i palestinesi e li tratta come un gruppo razziale inferiore che non merita i diritti umani fondamentali e beni di prima necessità, ha gettato le basi per gli atti genocidi che hanno seguito il 7 ottobre 2023.
Infine, Amnesty lnternational riconosce che la politica di Israele nei confronti di Gaza potrebbe essere stata guidata da motivazioni diverse, sostenute da vari funzionari del governo. Ma in definitiva, finché l’intento genocida è chiaro, il motivo di fondo dei singoli funzionari non ha importanza, che si tratti di sicurezza, vendetta, determinazione a rimanere al potere, desiderio di mostrare una forza schiacciante nella regione o ricerca del reinsediamento a Gaza.
Le prove presentate nel rapporto mostrano chiaramente che la distruzione della popolazione palestinese a Gaza, in quanto tale, era l’intento di Israele, sia in aggiunta a, sia come mezzo per raggiungere, i suoi obiettivi militari. C’è solo una ragionevole conclusione che può essere tratta dalle prove presentate: l’intento genocida è stato parte integrante della condotta di Israele a Gaza dal 7 ottobre 2023, inclusa la sua campagna militare.
CONCLUSIONE E RACCOMANDAZIONI
Amnesty International ha trovato sufficienti basi per concludere che Israele ha commesso, tra il 7 ottobre 2023 e il luglio 2024, atti proibiti ai sensi della Convenzione sul genocidio,
vale a dire uccidere, causare gravi danni fisici o mentali e infliggere deliberatamente ai palestinesi di Gaza condizioni di vita calcolate per provocare la loro distruzione fisica in tutto o in parte. Amnesty lnternational ha anche concluso che questi atti sono stati commessi con lo specifico intento di distruggere i palestinesi di Gaza in quanto tali, che costituiscono una parte sostanziale della popolazione palestinese, che costituisce un gruppo protetto ai sensi della Convenzione sul genocidio.
Di conseguenza, Amnesty lnternational ha concluso che dopo il 7 ottobre 2023, Israele ha commesso e sta commettendo un genocidio contro la popolazione palestinese di Gaza. Sono necessarie ulteriori indagini da parte della Corte internazionale di giustizia e della Commissione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni unite sul Territorio palestinese occupato, tra cui Gerusalemme Est, e Israele, per esaminare la responsabilità di Israele ai sensi della Convenzione sul genocidio e indicare i rimedi appropriati.
Sebbene questo rapporto si sia concentrato su un periodo di nove mesi, le politiche, le azioni e le omissioni di Israele non sembrano essere cambiate in modo significativo. Infatti, da quando Amnesty lnternational ha completato la sua ricerca, l’offensiva di Israele a Gaza si è espansa. Ad agosto, settembre e ottobre 2024, altre persone a Gaza sono state sfollate, altre persone sono state uccise e ferite negli attacchi di Israele e altre persone sono state detenute tra segnalazioni di tortura e altri maltrattamenti. Ancora una volta, le forze israeliane hanno ordinato ai civili palestinesi che vivono a nord del Wadi Gaza di lasciare l’area mentre continuavano i loro incessanti bombardamenti e, ancora una volta, quell’area è stata tagliata fuori dagli aiuti, con molti che rischiavano la fame.
Amnesty International riconosce che ci sono resistenza ed esitazione tra molti, principalmente altri stati, nel trovare intenti genocidi quando si tratta della condotta di Israele a Gaza. Questa resistenza ha impedito la giustizia e l’accertamento delle responsabilità rispetto ai conflitti passati in tutto il mondo e dovrebbe essere evitata in futuro. Amnesty lnternational ammette che identificare il genocidio nei conflitti armati è complesso e impegnativo, a causa dei molteplici obiettivi che possono esistere simultaneamente. Tuttavia, è fondamentale riconoscere il genocidio quando si verifica nel contesto di un conflitto armato e insistere sul fatto che la guerra non può mai giustificarlo.
Per fermare la commissione di atti proibiti, prevenire tali atti in futuro e garantire l’accertamento delle responsabilità e la piena riparazione, Amnesty lnternational ha formulato una serie di raccomandazioni alle autorità israeliane, agli stati terzi, alle Nazioni unite e alle organizzazioni regionali, all’ufficio del procuratore della Cpi e alle autorità palestinesi. Di seguito si trova una panoramica delle sue principali raccomandazioni.
In via prioritaria, Israele deve adottare le misure necessarie per porre fine con urgenza alla commissione di atti proibiti ai sensi della Convenzione sul genocidio contro la popolazione palestinese a Gaza e per impedire l’ulteriore commissione di tali atti da parte di uno qualsiasi dei suoi organi statali. Deve inoltre impegnarsi pienamente a collaborare a qualsiasi indagine internazionale sul genocidio e nei procedimenti dinanzi alla Corte internazionale di giustizia, anche rispettando tutte le misure cautelari emesse da questa corte dal 26 gennaio 2024. Amnesty lnternational chiede inoltre a Israele di migliorare con urgenza la situazione umanitaria a Gaza in linea con i suoi obblighi in quanto potenza occupante, nonché con i suoi obblighi in quanto parte del conflitto armato, e di invertire tutte le politiche e le azioni
che hanno portato al rapido deterioramento delle condizioni di vita a Gaza. Ciò deve iniziare consentendo il passaggio senza ostacoli verso e all’interno di Gaza di quantità sufficienti, sicure e accessibili di beni e materiali essenziali necessari per la ricostruzione e la riparazione di proprietà e infrastrutture civili danneggiate e distrutte. Israele deve inoltre aprire immediatamente tutte le vie di soccorso e i punti di accesso disponibili e garantire che le esigenze di base delle persone che vivono a Gaza siano soddisfatte. Deve consentire l’accesso ai servizi essenziali, attraverso la fornitura sufficiente e continua di elettricità e carburante. Amnesty lnternational chiede a Israele di consentire a tutti i palestinesi sfollati forzatamente dal 7 ottobre 2023 di tornare nelle loro aree di residenza o in qualsiasi altra area di loro scelta a Gaza, comprese le aree situate a nord del Wadi Gaza. Allo stesso modo, a tutti i civili residenti nell’area situata a nord del Wadi Gaza deve essere consentito iI Iibero passaggio verso l’area situata a sud se lo desiderano, senza indebite restrizioni ai loro movimenti. Fino a quando le case non saranno ricostruite, Israele deve garantire l’accesso a un alloggio temporaneo dignitoso. Israele deve consentire a tutti i pazienti che necessitano di cure mediche urgenti non disponibili a Gaza di accedere all’assistenza sanitaria in altre parti del Territorio palestinese occupato o all’estero e consentire loro di tornare dopo le cure.
Amnesty lnternational rinnova il suo appello a Israele, Hamas e altri gruppi armati palestinesi affinché accettino un cessate il fuoco immediato e duraturo. Allo stesso modo, solo un drastico cambiamento sistemico porrà fine ai crimini israeliani di diritto internazionale, fornirà alle vittime riparazioni complete ed efficaci e ridurrà il rischio di atti genocidi in futuro. Ciò richiede che Israele ponga fine alla sua occupazione illegale di Gaza e del resto del Tpo in linea con il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024 e smantelli il suo sistema di apartheid, incluso il blocco che dura da 17 anni e che controlla e opprime la popolazione palestinese a Gaza.
È necessaria un’azione internazionale forte e duratura per garantire che Israele attui queste raccomandazioni. In linea con il loro obbligo di prevenire e punire gli atti di genocidio, Amnesty lnternational invita tutti gli stati, in particolare quelli che hanno influenza su Israele, compresi i suoi alleati più forti come Usa, Regno Unito, Germania e alcuni altri stati membri dell’Ue, ad adottare misure urgenti per porre fine a ogni condotta israeliana a Gaza che potrebbe equivalere a genocidio. Come primo passo, devono garantire che Israele attui debitamente tutte le misure cautelari ordinate dalla Corte internazionale di giustizia dal 26 gennaio 2024. In linea con il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024, gli stati non devono fornire aiuto o assistenza nel mantenimento della situazione illegale creata dalla continua occupazione israeliana del Tpo, imposta attraverso l’apartheid.
Gli stati devono inoltre opporsi urgentemente a qualsiasi tentativo di Israele di stabilire una presenza militare permanente a Gaza, di alterare i suoi confini e la sua composizione demografica o di ridurne il suo territorio, anche attraverso eventuali zone cuscinetto espanse o la costruzione di posti di blocco permanenti all’interno di Gaza. Per smettere di alimentare le violazioni del diritto internazionale, devono immediatamente sospendere la fornitura, la vendita o il trasferimento diretto e indiretto a Israele di tutte le armi e di altre attrezzature militari e interrompere la fornitura di addestramento e di altra assistenza militare e di sicurezza. Amnesty lnternational chiede inoltre agli stati di adottare politiche adeguate per garantire che le aziende private registrate nella loro giurisdizione cessino di fornire servizi militari, tecnologia e forniture utilizzate da Israele nelle sue operazioni militari a Gaza.
Gli stati possono e devono anche adottare misure per garantire giustizia e responsabilità per qualsiasi presunto crimine di diritto internazionale, compresi crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, perpetrati a Gaza dal 7 ottobre 2023, esercitando forme giudiziarie nazionali, universali o altre forme di giurisdizione penale extraterritoriale, esercitando pressioni su Israele affinché consenta l’ingresso a Gaza di membri e personale di qualsiasi meccanismo investigativo internazionale o su mandato delle Nazioni unite, sostenendo l’indagine dell’ufficio del procuratore della Cpi sui presunti crimini commessi in Israele e nel Tpo, anche tramite l’esecuzione di qualsiasi mandato di arresto della Cpi.
Amnesty lnternational chiede all’ufficio del procuratore della Cpi di considerare urgentemente la commissione del crimine di genocidio da parte di funzionari israeliani dal 7 ottobre 2023 nell’ambito dell’indagine in corso sulla situazione nello stato di Palestina e di indagare e perseguire prontamente l’apartheid come crimine contro l’umanità. L’ufficio del procuratore dovrebbe inoltre condannare pubblicamente gli attacchi alle 0ng che vengono prese di mira per il loro lavoro sulla giustizia internazionale. In linea con la policy dell’ufficio del procuratore sulla complementarietà e la cooperazione, ove opportuno, Amnesty lnternational chiede a tale ufficio di considerare la cooperazione e la condivisione di informazioni con le autorità nazionali in merito ai crimini di diritto internazionale commessi in Israele e nel Territorio palestinese occupato per garantire che gli stati indaghino e perseguano tali crimini ove abbiano giurisdizione. Alla luce del numero senza precedenti di morti e feriti tra i palestinesi a Gaza e degli attacchi mortali perpetrati da Hamas e altri gruppi armati palestinesi nel sud di Israele, Amnesty lnternational rinnova il suo appello al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite affinché imponga un embargo completo sulle armi a Israele, Hamas e altri gruppi armati palestinesi che operano a Gaza. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite dovrebbe inoltre imporre sanzioni mirate, come il congelamento dei beni, contro i funzionari israeliani e di Hamas maggiormente implicati in crimini di diritto internazionale, compresi quelli commessi nel contesto dell’offensiva in corso di Israele su Gaza. Infine, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite dovrebbe adottare misure per promuovere il ritiro di Israele dal Tpo, in linea con il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 19 luglio 2024 e la risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 18 settembre 2024 che chiede a Israele di porre fine alla sua presenza illegale e alle sue politiche nel Tpo entro 12 mesi. Per rompere il ciclo dei crimini, Amnesty lnternational ha anche formulato una serie di raccomandazioni ad Hamas, tra cui il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi civili e la garanzia che tutti i detenuti siano trattati in modo umano e visitati dal Comitato internazionale del la Croce rossa (Cicr) e da altri osservatori internazionali. Nel frattempo, le autorità dello stato di Palestina dovrebbero accelerare l’apertura di indagini su tutte le accuse di crimini di diritto internazionale e altre gravi violazioni dei diritti umani commesse da membri di gruppi armati palestinesi, al fine di portare a giudizio coloro che sono ragionevolmente sospettati di responsabilità penale individuale in procedimenti che rispettino gli standard internazionali, senza ricorrere alla pena di morte.