Nel 2023 sono 200mila i lavoratori irregolari occupati nel settore agricolo, pari al 30% dei dipendenti. Nello specifico sono le donne lavoratrici le potenziali vittime di sfruttamento, 55mila persone per la maggior parte non intercettate dalle istituzioni.
Un fenomeno che caratterizza un settore che vale, secondo l’Istat, 73,5 miliardi di euro, a cui hanno compartecipato 872.100 lavoratori, di cui 472mila dipendenti e 423mila indipendenti. Donne e uomini che in media guadagnano poco più di 6mila euro l’anno, spesso sottoposti a fenomeni di sfruttamento e caporalato, con cospicui segmenti della ‘filiera dello sfruttamento’ controllati dalla criminalità organizzata. Sono alcuni dei dati contenuti nel VII Rapporto Agromafie e caporalato di Flai Cgil, che fa il punto sull’illegalità che ancora oscura la filiera agroalimentare italiana.
In particolare, a livello regionale il rapporto prende in esame la Basilicata dove ci sono oltre 10mila lavoratori sottoposti a forme diverse di sfruttamento, di cui 5mila irregolari residenti e circa 5/7mila avventizi e pendolari sfruttati. Nelle province di Trento e Bolzano, si stimano più di 6mila lavoratori non standard o completamente irregolari nel settore primario e nell’alimentare di lavorazione/macellazione delle carni. Sul territorio crotonese il numero è tra gli 11mila e i 12mila, dove sono inclusi anche circa 4/5 mila lavoratori e lavoratrici stranieri che ogni anno arrivano in occasione di fasi di lavorazione che richiedono picchi di forza lavoro, come ad esempio le raccolte. Secondo le ultime stime, in Piemonte il numero degli irregolari oscilla tra gli 8mila e i 10mila; a livello provinciale spicca Asti dove se ne contano 2mila. Il Rapporto mette in evidenza la strutturalità del lavoro povero, precario e sfruttato in un settore che registra valori economici più che elevati.
“Il VII Rapporto Agromafie e caporalato è uno squarcio profondo nel velo dell’irregolarità e illegalità che ancora oscura la filiera agroalimentare del nostro Paese. Ciò che le analisi multidisciplinari contenute nel testo inducono a riflettere sulla strutturalità
dei fenomeni di sfruttamento, che sovente si intrecciano anche con la criminalità organizzata, e che sono alimentati da derive legislative che, anziché contrastarli, finiscono per promuoverli. Per comprendere tutto ciò è però fondamentale partire dalla
ricostruzione della dimensione del fenomeno”, si legge nel dossier.