“Olivia” di Dorothy Strachey, astoria, 2024, ha una genesi e una storia editoriale complesse. L’autrice, quasi settantenne, scrisse il libro nel 1933 e la prima stesura fu probabilmente in francese. Inviò il suo manoscritto ad Andrè Gide, di cui fu traduttrice in lingua inglese e fedele amica per tutta la vita, ma non ne ricevette alcun incoraggiamento. Il libro fu invece molto apprezzato da Leonard Woolf quando l’autrice si decise a sottoporglielo nel 1948 ; fu pubblicato dalla Hogart Press l’anno seguente con dedica a Virginia Woolf e col titolo di “Olivia di Olivia”. Ebbe subito un grande successo in patria e negli Stati Uniti dove venne pubblicato nello stesso anno, ma suscitò anche un enorme scandalo. Strachey aveva scelto la via dell’anonimato, come del resto molte autrici che l’avevano preceduta; solo in una edizione del 1971, sei anni dopo la morte dell’autrice ultranovantenne, comparirà il suo nome, ma in quarta di copertina. La scelta prudenziale dell’anonimato è probabilmente dettata dal sottotesto lesbico del romanzo e non stupisce, anche se la scrittrice veniva da un ambiente di ampie vedute. Dorothy conosceva benissimo il gruppo di Boombury ed era la sorella maggiore di Lytton Strachey (autore del saggio Eminenti vittoriani ) e di James Strachey (traduttore inglese della Standard Edition of the Complete Psichological Works of Sigmound Freud in ventiquattro volumi), entrambe tra i principali animatori del gruppo, nel quale l’omosassualità non era un tabù e loro stessi non erano estranei a relazioni omosessuali.
Nella sua introduzione al testo Strachey confessa : “L’amore è sempre stato l’occupazione principale della mia vita, l’unica cosa che io abbia sempre ritenuto – anzi, sentito – essere supremamente importante … Ma a quel tempo ero innocente, e la mia era l’innocenza dell’ignoranza. Non sapevo cosa stesse succedendo a me. Non sapevo cosa fosse successo a tutti. Non avevo coscienza di nulla, vale a dire che la mia partecipazione era totale, come in seguito non mi doveva accadere”. Scopo della scrittrice è dunque raccontare l’amore nelle sue prime pure espressioni, quando l’emozione non è ancora inquinata dalle parole di poeti, scrittori, psicologi, fisiologi. Vuole restituire l’essenza del primo amore, spesso liquidato come “ cotta da studentesse”, ma lei – sostiene – sapeva bene che la sua “cotta”non era uno scherzo. E a sostegno dell’ intensità del primo amore pone già in esergo la citazione di un moralista francese del Seicento, Jean de La Bruyère: “ L’on aime bien qu’une seule fois: c’est la première. Les amours qui suivent sont moins involontaires”. Eppure qualcosa, che lei ritiene fosse non la riflessione ma l’istinto, le dava l’inquietante sensazione che nel suo sentimento ci fosse “ qualcosa di vergognoso, qualcosa che bisognava nascondere disperatamente”. Era, aggiunge: “… un istinto profondamente radicato che per tutta la vita mi ha trattenuta da ogni forma di scoperto abbandono, che mi ha vietato molti tra i più puri piaceri fisici e ogni espressione letteraria. Com’è possibile bagnare il corpo senza spogliarlo o scrivere senza mettere a nudo la propria anima?” Questa affermazione mi sembra interessane non tanto per la sua vita sentimentale, la scrittrice si sposò verso i quarant’anni con il pittore Simon Bussy, quanto per la sua vita letteraria, “Olivia” è la sua unica opera. In circa centoventi pagine l’autrice racconta in prima persona l’anno trascorso in Francia, quando a sedici anni la madre, dopo averla ritirata dal rigido istituto di Miss Stock, decide di completare la sua educazione mandandola a Les Avons. Si tratta di una scuola situata nel mezzo di una foresta vicino Parigi, retta da Mademoiselle Julie T. e Mademoiselle Cara M. , che la madre aveva conosciuto anni prima durante un soggiorno in Italia diventandone buona amica.
La scuola, che oltre alle insegnati ospita una trentina di allieve inglesi, americane, belghe ispira subito alla protagonista un senso di agio e di libertà rispetto al collegio in cui era stata educata da bambina. Rapidamente si ambienta, fa amicizia con altre alunne e non tarda a scoprire che nella scuola ci sono due partiti in cui si dividono alunne e insegnanti: quello di Mlle Julie e quello di Mlle Cara. Nonostante le cortesie che le rivolge Mlle Cara, la ragazza prova subito una strana, impalpabile “sensazione di allarme” nei suoi confronti. Una sera Mlle Julie invita in biblioteca, come consuetudine di tanto in tanto, alcune alunne per una lettura ad alta voce. Per la protagonista è la prima volta e durante la lettura è rapidamente rapita non sa bene quanto dai contenuti di Racine, dalla voce di Mlle Julie, dalla sua bellezza o dalla vicinanza fisica. Olivia, che per tutta la vicenda continuerà ad analizzare un sentimento che sfugge alla sua razionalità, si interroga su quale di quegli elementi abbia suscitato in lei un forte sentimento di passione o se, senza uno di essi “ forse la sostanza infiammabile che senza alcun sospetto portavo in me sarebbe rimasta fuori dal raggio della scintilla animatrice e non si sarebbe mai incendiata. Ma forse no; presto o tardi doveva accadere”. Rapidamente Olivia si mette in evidenza e entra nella cerchia delle “intelligenti”, le alunne che si sono distinte negli studi e a cui Mlle Julie dedica lezioni e cure supplementari. L’insegnante la guida ad apprezzare la musica e l’arte portandola di tanto in tanto con sé a Parigi a visitare musei e ad assistere a concerti. Olivia è sempre più presa da un sentimento che cerca di dominare e di nascondere, mentre l’insegnante ora la lusinga con gentilezze e attenzioni ora cerca di contenerla “Su, su Olivia … Sei troppo appassionata”.
Nel piccolo universo della scuola nascono alleanze, rivalità, invidie; Olivia soffre di gelosia verso alcune compagne e verso l’insegnante di Italiano, chiamata la Signorina, che gode della confidenza di Mlle Julie al cui completo servizio si è votata. D’altra parte Olivia si tormenta continuamente sulla natura del suo sentimento e dei sentimenti di Mlle Julie, che manda segnali ambigui. Sa di avere il suo rispetto e la sua considerazione, ma in certi momenti sente che ciò che vorrebbe da lei non è il rispetto, “ma qualcosa di più … umano” lo chiama. Nello stesso tempo non vorrebbe nemmeno una relazione di servizio come quella della Signorina, in lei c’è anche una strana ripugnanza, “il terrore di avvicinarsi troppo”. Logorata da dubbi, incertezze sente però la passione accrescersi fino a quando un giorno in biblioteca si getta ai piedi di M.lle Julie e baciandole le mani le sussurra singhiozzando: “Je vous aime! … Je vous aime!”. Soffre perché sente un desiderio che non sa dove localizzare, se nel corpo, nel cuore o nella mente. Olivia guarda il suo corpo nudo nel piccolo specchio della sua stanza e scopre il desiderio sessuale, anche se da adolescente ignara non sa come potrebbe amarla Mlle Julie e si fabbrica un sogno in cui la persona che ama come lei la ama è un uomo. I suoi sentimenti non sfuggono soprattutto agli occhi di Mlle Cara, che esplode sempre più spesso in scenate di gelosia verso Mlle Julie, compagna di una vita.
Nell’ultima parte il romanzo vira improvvisamente al giallo con la morte inaspettata di Mlle Cara che suscita diversi interrogativi e fa precipitare dolorosamente la situazione. Il testo è preceduto da un’ acuta introduzione di André Aciman, che attribuisce al romanzo l’ispirazione del suo “Chiamami col tuo nome”. “Olivia” è stato definito un classico della letteratura lesbica, ma forse si può considerare tout court, come dice Aciman, un classico moderno: “Forse è proprio qui che sta la genialità di “Olivia”. E’ la storia di come, a nostra insaputa, quando siamo giovani – o forse a qualsiasi età – un incendio divampa all’improvviso dentro di noi, sollevando un turbine di cose cui non riusciamo – e forse non riusciremo mai – a dare un nome; sappiamo però che sono nostre e nostre soltanto e portano con sé qualcosa di simile alla promessa di pienezza che abbiamo sperimentato nell’infanzia e che ci siamo lasciati alle spalle senza neanche sapere di averla perduta. E il pensiero di averla ritrovata ci rende enormemente grati.”