Con una serie di retate della polizia, in Turchia è stato sferrato un nuovo attacco a giornalisti e oppositori suscitando un acceso dibattito sulla libertà di stampa e sui diritti umani nel paese. Ma non nel nostro paese.
Nella giornata di ieri, il ministro dell’Interno Ali Yerlikaya ha annunciato l’arresto di 231 persone, tra cui numerosi operatori dell’informazione e scrittori, un chiaro segnale della crescente repressione nei confronti di chi cerca di far sentire la propria voce nel panorama informativo turco.
Un’operazione che ha coinvolto 30 province, tra cui metropoli importanti come Istanbul e Amed (Diyarbakır).
Tra i nomi noti arrestati figurano quelli di Ahmet Sümbül, uno dei giornalisti più conosciuti della Turchia e l’editorialista Erdoğan Alayumat.
Tra i politici e gli esponenti della società civile critica con il governo, il membro del consiglio comunale di Yenişehir, Siyabend Demir, il coordinatore di Pirtûka Kurdî Bawer Yoldaş e Roza Metina, presidentessa dell’Associazione Donne Giornaliste della Mesopotamia.
La lista dei detenuti comprende anche vignettisti, traduttori e professionisti della comunicazione, accolti all’interno di un clima di paura e repressione che sembra aver preso piede nel paese.
L’Associazione dei giornalisti di Dicle Fırat (DFG) ha prontamente rilasciato una dichiarazione, denunciando quella che definiscono “una serie di operazioni di genocidio politico”. Nella loro affermazione, i giornalisti sottolineano come il governo turco stia cercando di imbavagliare la stampa con leggi e normative emergenti, note come ‘legge sulla censura’ e ‘agenzia di influenza’, che mirano a ottenere una normalizzazione della censura e a rendere questa pratica permanente.
La DFG fa notare che la verità è sempre stata una pietra d’inciampo per le autorità, e che le detenzioni non fermeranno chi è determinato a difendere il diritto all’informazione. “La stampa libera è sotto attacco perché si batte per portare alla luce la verità”, hanno affermato in maniera esplicita. “Chiediamo il rilascio immediato di tutti i giornalisti detenuti e la protezione del diritto all’informazione da parte della società civile”.
Questa escalation di repressione va inquadrata in un contesto più ampio di crisi della democrazia in Turchia, dove il governo di Recep Tayyip Erdoğan ha intensificato negli ultimi anni la sua lotta contro i dissidenti, incluse le forze politiche, le organizzazioni non governative e i media indipendenti. Già nel passato, diversi attivisti e giornalisti sono stati incarcerati con accuse vaghe, di terrorismo o di propaganda anti-governativa.
I recenti arresti hanno riacceso i riflettori sulla situazione critica della libertà di informazione in Turchia, repressa con una serie di leggi restrittive. La stampa è una delle fondamenta di qualsiasi democrazia, e le azioni del governo turco mettono in dubbio la volontà del regime di rispettare i diritti fondamentali dei cittadini.
La comunità internazionale e le organizzazioni per i diritti umani hanno espresso preoccupazione per la situazione, chiedendo un impegno concreto per la difesa della libertà di espressione. L’appello è chiaro: è fondamentale per la società civile e per le istituzioni internazionali prendersi in carico il tema e fare pressione affinché la Turchia rispetti i diritti umani universali.
Ciò che emerge con forza è la determinazione della stampa libera turca, che continua a lottare per far sentire la propria voce, nonostante le pesanti restrizioni e le intimidazioni. “Il giornalismo non è un crimine”, hanno riassunto i membri della DFG, un principio che rappresenta il cuore pulsante della lotta per la libertà di espressione in Turchia e nel mondo.