Il 26 novembre monsignor Luigi Bettazzi, lo storico vescovo di Ivrea, avrebbe compiuto 101 anni. Nato nel 1923, se ne è andato il 16 luglio dello scorso anno. L’ho incontrato tante volte, e tante volte l’ho portato ospite nei miei programmi tv. Quando gli telefonavo per invitarlo mi diceva: “Loris mi chiami quando hai bisogno di un prete comunista”, seguiva una grande risata, come noi bolognesi sappiamo fare. Era un piacere ascoltarlo. L’ultima volta che l’ho incontrato è stato nell’estate 2017, ho raccolto la sua testimonianza poco prima di finire La profezia del Don, il secondo libro dedicato a don Andrea Gallo, per avere la sua opinione su chi era e cosa ha lasciato il prete da marciapiede fondatore della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova. Si conobbero al Centro per la Pace e la Non-violenza di Ovada, diventarono grandi amici. Quando don Gallo celebrò i cinquant’anni dalla prima messa, alla vigilia disse: “Vorrei che ci fosse presente un vescovo e l’unico che mi andrebbe a genio è monsignor Bettazzi”. Così accadde.
Durante il nostro incontro (link per vedere il video dell’intervista realizzata con la collaborazione di Vincenzo Basili), parlò anche di papa Francesco e della Chiesa di oggi: pregi e difetti.
Bettazzi, profondo studioso, dedicò una parte della vita ecclesiastica all’insegnamento, facendo della Pace, della giustizia sociale lo scopo della sua missione, si fece portavoce di chi pensava che non esistesse un bene solo cattolico ma di tutti e che andava cercato insieme anche a chi non praticava la stessa religione, i mussulmani ad esempio, e a chi non era credente. “Stare con gli ultimi, sempre, credere nella Chiesa povera e misericordiosa, Casa della carità, seguendo alla lettera il Vangelo e papa Francesco”, diceva, poi aggiungeva: “Bisogna essere sempre disposti ad ascoltare”.
Bettazzi è vissuto fino all’ultimo dove è stato pastore per ben trentadue anni, ad Albiano di Ivrea nel Castello Vescovile, quella che era la residenza estiva dei vescovi, immerso tra i suoi innumerevoli libri. Il suo è stato un matrimonio con la terra piemontese mai interrotto, anche se le radici con Bologna sono sempre rimaste, la città della madre in cui è cresciuto anche se, per ragioni di lavoro del padre, quella che gli ha dato i natali era Treviso. Nella città emiliana aveva studiato, era diventato, nel 1946, sacerdote, nel 1963 dopo qualche mese che papa Paolo VI lo aveva nominato vescovo, l’arcivescovo di Bologna cardinale Giacomo Lercaro lo consacrò vescovo ausiliario. Con Lercaro e don Giuseppe Dossetti partecipò a tre periodi del Concilio Vaticano II. Nel 1966, alla fine del Concilio fu nominato vescovo di Ivrea. Fino al 1985 è stato presidente internazionale di Pax Cristi, il movimento cattolico per la Pace. Come vescovo d’Ivrea diventò famoso per le sue battaglie per il disarmo mondiale e per aver preso posizione, a volte in contrasto con quella ufficiale della Chiesa, a favorevole dei Dico, il riconoscimento delle unioni civili, appoggiando l’iniziativa del governo Prodi, riconoscendo l’amore nelle coppie omossessuali. A proposito del nuovo rapporto tra Chiesa e mondo voluto con il Concilio Vaticano II da papa Giovanni XXIII, rimane storica la lettera scritta nel 1976 da Bettazzi a Enrico Berlinguer che molti giudicarono inopportuna, ingenua e contraddittoria con il suo ruolo di vescovo, che ebbe risposta da parte del segretario del Pci solo un anno dopo, nel 1977, ma che servì a creare in Italia un ponte tra cristiani e marxisti, tra credenti e laici, nonostante la dura reazione della Chiesa nei suoi confronti per voce del patriarca di Venezia Giovanni Luciani. Nel 1992 partecipò alla marcia pacifista organizzata dai Beati costruttori di Pace e da Pax Cristi insieme a monsignor Antonio Bello durante la guerra civile in Bosnia-Erzegovina. Nel 2007 è iniziato il processo di Beatificazione di don Tonino. Da vescovo, don Bettazzi, è sempre stato dalla parte degli operai, prima durante gli scioperi all’Olivetti di Ivrea. poi in corteo durante le proteste contro i dirigenti della Lancia di Chivasso. Il suo motto era: “Non c’è sviluppo se non c’è lavoro”.