La cultura della violenza

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Dal carcere ancora notizie di violenze. L’assaggio di immagini dei video girati nella sezione blu della Casa di reclusione di Trapani lascia pochi dubbi, così come le parole del procuratore Gabriele Paci: «una violenza gratuita e inconcepibile». E, oltre alla violenza fisica, ci sono l’umiliazione, la derisione, l’offesa, le espressioni razziste. Gesti violenti, ripetuti in maniera seriale contro i più deboli per esercitare potere, per fare capire chi comanda.

I numeri delle persone coinvolte – 55 agenti – non consentono di parlare di “mele marce” e non lo consentono neanche gli altri episodi emersi, ultimi quelli del carcere di Reggio Emilia e del minorile di Milano. Ma i processi in giro per l’Italia, come sappiamo, sono molti di più.

È una cultura che va colpita. Una cultura che non riconosce i diritti delle persone private della libertà, dei migranti, degli stranieri, dei fragili, la stessa che non riconosce alle donne il diritto di decidere della propria vita. Una cultura diffusa anche fuori dal carcere e che si rafforza quando ad alimentarla è qualche rappresentante delle istituzioni. Chiamare le persone zecche e affermare che si prova intima gioia nel sapere che qualcuno non respira sono espressioni altrettanto inaccettabili.

Intanto, nelle carceri si continua a morire. Ieri a Poggioreale un ragazzo di 28 anni è stato trovato impiccato alle sbarre della sua cella. Salgono così a 81 i suicidi dall’inizio dell’anno.


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