Violenza, lettera al Ministro da un docente della “trincea”

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Egregio Ministro,

Le scrivo dalla solitudine e dalla desolazione della “trincea”: quella in cui ogni giorno, insieme a straordinarie studentesse e studenti,  combattiamo l’eterna guerra contro la semplificazione, la superficialità, la violenza verbale, alla ricerca di un’analisi attenta  della realtà e delle questioni che l’attualità ci consegna.
La scuola per noi è un presidio coraggioso contro la profanazione della parole, la banalizzazione dei concetti, la riduzione della politica e dell’esercizio della cittadinanza a rodeo di fazioni. E la difendiamo ogni giorno non con la spocchia di chi crede di avere la verità in tasca, né con la parzialità e lo spirito militante di una parte politica, la difendiamo perché animati dalla passione del sapere, dall’hegeliana «fatica del concetto», dal desiderio di  formare cittadine e cittadini liberi e consapevoli.
Noi non ubbidiamo a nessuno, non abbiamo partiti e capi politici,  perché la libertà di insegnamento è esattamente questo: non l’arbitrio di uno sguardo parziale o l’asservimento volontario al più forte,  ma la fedeltà ai principi costituzionali, alla verità storica e al dovere del dubbio e della ricerca paziente.
Le scrivo da docente e intellettuale libero e responsabile e mi rivolgo a lei non solo come Ministro ma anche come studioso, intellettuale e storico.
Le scrivo dalla solitudine della trincea.  Scrivo a Lei che dovrebbe essere, lì,  nella stanza dei bottoni,  il generale attento ai bisogni degli ufficiali e  dei soldati semplici, in una guerra in cui ci sta lasciando sempre più soli e in cui talvolta ci viene il dubbio che sia, mi consenta una battuta, “passato al nemico” (il nemico, non mi fraintenda, è la parzialità, la semplificazione, la contrapposizione faziosa).

Vorrei esprimerle l’intimo e devastante senso di desolazione e scoramento che le sue parole,  non so se “voce del sen fuggita”, possono produrre in un docente che ogni giorno deve affrontare lo sgomento di tante ragazze di fronte alla violenza che le loro amiche subiscono, così come di giovani cittadine e cittadine che vivono con angoscia la frequente esibizione di una nave da guerra che trasporta corpi di esseri umani privandoli della dignità ed esibendoli come colpevoli di una minaccia, di un sopruso.
Mi permetto di farle notare che ieri, alla presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin, per quanto nascosta dietro la compostezza con cui le ha pronunciate, la violenza delle sue parole è stata brutale. Lei sa benissimo  (perché è uno storico e un uomo di scienza) che l’aumento della violenza di genere, sia per quanto riguarda i femminicidi che per quanto riguarda gli stupri, non ha nulla a che vedere con il fenomeno migratorio o con fenomeni di marginalità e povertà. La violenza di genere chiama in causa uomini che, in gran parte,  non sono immigrati, ma italiani: secondo tutti i dati  ufficiali tra il 2010 e il 2018, gli italiani imputati per violenza sessuale sono  il 75%;   per stalking l’86% , per maltrattamenti in famiglia il 75% . Il 73% delle violenze sessuali commesse da giovani uomini (con meno di 34 anni) nel 2023 è stato commesso da persone di nazionalità italiana.

Gentile Ministro, affermare il contrario davanti a un padre che ha perso la propria figlia per mano di un ragazzo bianco, italiano e benestante non è soltanto di cattivo gusto, è un atto violento: contro quel padre, contro le donne (vittime nella maggior parte dei casi dei propri partners, mariti, fidanzati e parenti) e soprattutto contro gli stessi migranti e stranieri associati al crimine in generale e a un crimine (quello della violenza sessuale e di genere) che migliaia di donne, giovani e uomini subiscono in molti dei paesi da cui fuggono e anche in quelli in cui chiedono rifugio.

Associare il crimine agli stranieri (con una generalizzazione tanto banale quanto falsa) è una forma  di razzismo forse inconsapevole e incolpevole (non oso pensare che lei sia razzista, né mi permetto di affermarlo) ma sicuramente rispondente a un paradigma elementare: quello del “capro espiatorio” in cui il diverso, lo straniero o l’estraneo è visto come il portatore di quella minaccia e di quel male che una comunità non riesce a guardare al suo interno ed esorcizza riversandolo altrove. Roba vecchia per chi come noi si occupa di storia …

«Deve essere chiara a ogni nuovo venuto, a tutti coloro che vogliono vivere con noi, la portata della nostra Costituzione, che non ammette discriminazioni fondate sul sesso».
Mi consenta signor Ministro di farle notare che, mentre la invoca strumentalmente, la Costituzione la ignora e la viola, brandendola per discriminare italiani e stranieri, dicendo che sono “loro” (gli estranei, gli ospiti, i diversi) ad aver bisogno di un’educazione alla parità di genere assolvendo le sane famiglie italiane, i nostri giovani, tutti noi stessi.

Signor Ministro, in conclusione, mi consenta di farle notare che la vera e inaccettabile visione ideologica della violenza di genere è proprio quella che Lei ha espresso ieri, proprio mentre denunciava in altri l’approccio ideologico alla medesima questione.

Con cordialità, Professor Giancarlo Burghi

 

(Nella foto il ministro Valditara)


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