Ancora una volta, con l’aggiunta del taglio lineare del 2% voluto dal governo per rabberciare i conti pubblici non frenati dalla legge di bilancio 2025 (A.C. 2112-bis), i giornali sono nel mirino.
Il sacrificio stimato di almeno 8 milioni di euro significa un’ulteriore diminuzione dello stanziamento per il Fondo dedicato al pluralismo e all’innovazione, già ridotto di 60 ml per la scelta fatta lo scorso anno di coprire il credito di imposta per la carta, gettito che va soprattutto -ovviamente- ai maggiori gruppi del settore.
Ma non finisce qui la pagana via crucis. Nel capitolo dedicato (il n.2196) sono previsti stanziamenti per 160.083.633 euro (contro 206.183.233 del 2024). È bene ricordare che in tale capitolo stanno i contributi del ministero delle imprese e del made in Italy (MIMIT) per le emittenti radiotelevisive locali, 55 ml per Poste italiane e 25,3 dedicati alla Rai.
Se la matematica, almeno a questo livello, non è un’opinione, ciò altro non è che uno scorrimento in basso fino a meno di 80 ml per le testate cooperative, locali e non profit.
Insomma, si apre una voragine di diverse decine di milioni di euro: da 60 a 90.
Il gruppo parlamentare di Verdi-Sinistra della camera dei deputati ha presentato specifici emendamenti (primo firmatario Marco Grimaldi) agli articoli 119 e 123 della proposta di bilancio: si chiedono maggiori risorse tanto per rimpinguare la componente volta a risollevare il martoriato comparto delle stazioni locali depauperate dalla presa del potere nelle frequenze (e, quindi, nella presenza di mercato) da parte della telefonia 5G, quanto per aumentare la disponibilità complessiva: 50 ml per anno dal 2025 al 2027. E in quest’ultima data il Fondo cesserà di essere, secondo la legge n.145 varata nel 2018 (art.1, comma 810), prorogata e non abolita.
Insomma, siamo alle solite. Ogni scadenza finanziaria di autunno-inverno prevede una dieta assurda per un bene comune importantissimo dimenticato.
Gli emendamenti, per l’intanto di AVS e parzialmente del partito democratico (ma altri certamente ve ne sono nell’abnorme articolato in discussione nella prima lettura di Montecitorio), tentano di mettere una toppa al buco. Risalta, però, l’assoluta assenza di una strategia del governo in un ambito che -senza coraggiosi e robusti interventi di sostegno- corre il pericolo tra il 2030 e il 2032 di scomparire proprio nella versione a stampa. Così si sostiene negli accurati studi svolti sulla parabola dei giornali. Mentre le edizioni online, senza una politica che guardi all’universo digitale con efficaci misure di illuminazione democratica della corsa tecnologica, rischiano di essere relegate ai margini del villaggio globale.
Da tempo immemore si attende, come sottolineato dall’ordine dei giornalisti e dal sindacato (FNSI) nonché dal presidente dell’Autorità Lasorella, una riforma che guardi al mondo dell’infosfera con una logica e una visione. I giornali possono e devono sopravvivere, certamente in un utile ciclo di mediamorfosi e di ri-mediazione. I media, infatti, cambiano nel ciclo dell’innovazione e non muoiono. Altrimenti non esisterebbe il teatro, ad esempio.
Senza libri e quotidiani o periodici vince clamorosamente la dittatura degli algoritmi e l’intelligenza artificiale ci inghiottirà senza via di scampo.
Al contrario, sono i contenuti giornalistici senza fake e utilizzi propagandistici a poter irrigare i software dell’AI in velocissima evoluzione. Chi l’ha detto che dopo il previsto funereo finale di partita non possa seguire un’ulteriore età: polimediale e sincretica?
Ci si attende qualche parola dal sottosegretario con delega Barachini, cortese e non fazioso, ma troppo silenzioso. Mentre chi se ne occupa sugli scranni decisionali avrebbe il dovere di gridare: di doman non v’è certezza, però l’AI non avrà il nostro scalpo.
Le scorribande reazionarie ed estetizzanti di Elon Musk, colui che nella matrioska nordamericana viene subito dopo il ritratto di Donald Trump, ci raccontano che le nubi nere si addensano nel cielo del Cloud e del- l’immaginario.
Gli emendamenti sono un frammento, di un discorso amoroso difensore del pensiero critico.
(da Il Manifesto)