“Ci sono due categorie di uomini a me care” diceva spesso il nonno Enzo “gli operai e i partigiani”. Riassumeva così, orgogliosamente, le sue origini e la scelta che aveva cambiato la sua giovinezza. Ero già grande quando ha cominciato a raccontarmi dei suoi quattordici mesi in montagna, quelli che lui chiamava “i più belli della mia vita”. Ascoltavo affascinata le sue storie. Cercavo di immaginarlo, ventenne che pedalava verso la Segavecchia e che dormiva nei fienili o sotto gli alberi. Pensavo alla paura che avrà avuto e al coraggio che ha trovato. Il mio pensiero andava alla nonna, giovane sposa che lo aspettava Pianaccio. Ricordo la nostalgia nelle sue parole, ma anche una certa fedeltà a se stesso, ai principi che lo hanno poi accompagnato per sempre. Mi sembra di risentirlo quando parlava degli incontri che hanno segnato la sua esistenza. “Si dice che nella storia di ognuno di noi ci sia almeno una persona che non si può dimenticare” diceva “io penso che nell’arco di una vita gli incontri decisivi siano molti di più”. Si riferiva al capitano Pietro Pandiani, uno straordinario comandante, ma anche un esempio di rigore, di pulizia e di modestia. Voleva proteggere i suoi ragazzi, non solo dai pericoli della guerra, ma anche dai compromessi e dagli equivoci della politica, li metteva in guardia dalle furbizie, dalle strategie. E ancora, mi viene in mente Checco Berti, furono grandi amici fino alla fine. C’era spazio anche per la gratitudine nei ricordi del nonno. Soprattutto negli ultimi tempi che abbiamo passato insieme, parlava spesso del sergente Albert, il capo del piccolo distaccamento tedesco che stava a Pianaccio. Fu lui a salvare il nonno Enzo che, accusato di diserzione, era già sulla camionetta. Il giovane Albert lo fece scendere, dicendo che era il suo interprete. Il nonno lo cercò a lungo dopo la guerra per ringraziarlo, ma non riuscì a trovarlo. Portava con sé il dispiacere di quel grazie che non era riuscito a dire.
Quest’anno l’Anpi ha festeggiato l’ottantesimo anniversario. Oggi sono diciassette anni che il nonno Enzo non c’è più. Mi torna in mente una frase che citava spesso di Georges Bernanos “ci sono tanti morti nella mia vita, ma il più morto è il ragazzo che io fui”. Il ragazzo che era stato, che era andato in montagna con una certa idea- spiegava- ma anche il vecchio ragazzo che era, a cui dava molto fastidio vedere l’indifferenza di fronte a certi principi.