Una bella assemblea tenutasi ieri all’università Roma 3 sul Protocollo Albania e il disegno di legge Sicurezza ha cercato di rilanciare il tema dei migranti. Numerosissime sono state le adesioni di associazioni e di personalità singole. La orribile vicenda del lager al di là dell’Adriatico è uno dei punti estremi (con diversi altri, tra cui Libia e Tunisia) delle disumane politiche sull’immigrazione, le cui origini stanno nella vecchia normativa Bossi-Fini -è in corso una raccolta di firme per abrogarla- ma che con la destra al governo ha assunto livelli parossistici.
L’accordo è stato duramente stigmatizzato dal tribunale di Roma, verso il quale si è ingaggiata una vera e propria campagna di odio con tanto di minaccia di morte alla magistrata Silvia Albano.
L’allarme lanciato è ulteriormente aggravato dal ddl Sicurezza, che ci racconta cos’è davvero la tanto evocata «contronarrazione», il cavallo di battaglia di un governo che sulla cultura presenta un bilancio desolante viziato -per di più- da grottesche cadute di stile.
Non si tratta di qualche reale tentativo egemonico, bensì di un incrocio assai sgradevole di attacchi ai contropoteri (giustizia e informazione) e di animal spirits repressivi.
Torniamo all’Albania. La storia delle ultime settimane ci parla di una verità rimossa: i paesi con una tradizione coloniale pensano di poter impunemente trattare le ex colonie come periferie subalterne dove tutto è lecito: dai migranti da spedire in terra schipetara, ai rifiuti tossici da abbandonare in Somalia.
Un argomento sollevato dall’associazione Articolo21 nel dibattito dell’assemblea hatoccato l’andamento altalenante della copertura mediatica dei fenomeni migratori. La notiziabilità nei telegiornali, ad esempio, dopo aver raggiunto livelli minimi rispetto al 2014, quando si registrò un picco, è tornata a salire di fronte a tragedie come quella di Cutro o a fini puramente propagandistici nei giorni della surreale spedizione albanese, con un viaggio di andata e ritorno che sarà ricordato negli annali del cattivo governo. Su tutto questo lavora con appositi rapporti stilati con l’Osservatorio di Pavia l’associazione Carta di Roma, coordinata da Paola Barretta. L’andamento ondivago dello spazio mediatico è il termometro dell’assenza di visione e strategia, mentre si conferma un approccio strumentale infarcito di immagini di dolore e di morte, schermo spesso di un pervicace atteggiamento cinico e colonialista.
La ciclicità delle news si accompagna alla volgarissima censura, come è accaduto per l’imbarazzante silenzio su una tragedia simile a ciò che poco prima era accaduto a Cutro: l’annegamento oscurato davanti a Roccella Jonica. Il silenzio è stato rotto solo da il manifesto e da Report.
Sull’universo delle relazioni mediali tra Italia e Albania è consigliabile un ricco volume di Vito Saracino (Ciao SHQIPËRIA!, edizioni besa muci, 2024) presentato lo scorso 24 ottobre alla Fondazione Gramsci di Roma dall’autore con Alberto Basciani, Clelia Di Piro ed Ermanno Taviani.
Il libro passa in rassegna un rapporto transitato dall’età del fascismo con l’utilizzo della radio e del cinema a fini di consenso di regime, alla situazione indicibile del lungo periodo dittatoriale di Enver Hoxha, fino alla descrizione degli effetti liberatori esercitati proprio dalle emittenti estere, ivi comprese la Rai vista e stravista come un cult o la stazione privata Telenorba, che ha dato lavoro a non pochi tecnici albanesi.
È utile leggere il testo, perché fa capire come -in un certo senso- la rappresentazione dei legami tra i due paesi abbia contribuito a costruire una sorta di unicum. Del resto, è ben impiantata nell’immaginario la sequenza abnorme dello sbarco (in fretta e furia respinto poco dopo) di 27.000 persone fuggite sulle navi Tirana e Vlora tra il marzo e l’agosto del 1991.Il governo italiano scelse una linea durissima nei confronti degli sbarcati. Crudeli allora e micro-imperialisti oggi: un filo congiunge fatti pur distanti nel tempo.
Sarà bene lottare nelle varie sedi per avere un’informazione seria e rispettosa di esseri umani: né coloni né corpi mercificati.