Presentato alla Festa del Cinema di Roma e in sala dal prossimo 21 novembre, ‘Leggere Lolita a Teheran’ per la regia di Eran Riklis – adattamento cinematografico del libro di Azar Nafisi – è un film poetico e profondo che guarda alla rivoluzione iraniana come una ‘rivoluzione tradita’ e al potere sovversivo e salvifico della cultura.
La trasposizione cinematografica dell’omonimo bestseller del 2003 di Azar Nafisi – che ne ha curato l’adattamento – per la regia di Eran Riklis, è un affresco delicato e potente sulla condizione delle donne in Iran e sulla perdita graduale delle libertà che viene loro imposta dal governo islamico di Khomeyni. Un inno al potere salvifico della letteratura contro ogni forma di totalitarismo.
L’opera si apre nel 1979 quando Azar Nafisi (una incredibile Golshifteh Farahani, perfettamente a suo agio nel ruolo), insegnante di letteratura angloamericana, e suo marito Bijan, ingegnere, scelgono di tornare in Iran dopo molti anni trascorsi in occidente, agli albori della rivoluzione Khomeynista, la quale veniva vista con favore da numerosi intellettuali di sinistra come reazione al regime repressivo dello scià Mohammad Reza Pahlavi, facendo quadrato intorno alla mitica figura dell’Ayatollah, confinato a Parigi.
Ma ben presto il suo governo si trasformerà in un regime oscurantista facendo piombare il Paese in un’atmosfera di censura in cui anche dettagli impensabili vengono visti con sospetto o etichettati come sovversivi. Le donne cui verrà imposto l’hijab e una progressiva scomparsa dalla vita pubblica, saranno le più colpite da questo clima di crescente violenza, e intimidazione.
Sarà dunque via via sempre più evidente alla protagonista che insegnare letteratura occidentale in un’Università del Paese non è più possibile a causa delle continue pressioni sui contenuti delle sue lezioni: la lettura dei classici occidentali. E’ così che deciderà di compiere un atto sovversivo e rivoluzionario: organizzare un seminario di lettura e di dibattito in casa propria con 7 delle sue studentesse migliori.
Al seminario, che si tiene il giovedì di ogni settimana, si discute di letteratura leggendo i più importanti romanzi dell’occidente. Letture queste che vengono analizzate alla luce della condizione della donna in un Paese islamico come l’Iran e a quella che le partecipanti al seminario sono costrette a vivere, con continui rimandi al passato.
Per le studentesse e per la professoressa la cultura diventa, quindi, uno strumento potente e rivoluzionario indispensabile per l’affermazione della propria identità e per sfuggire all’oblio di sé.
Anche se il film, scandito in diversi capitoli proprio come il romanzo, ciascuno dei quali contraddistinto dal titolo di un’opera letteraria (The Great Gatsby, Lolita, Orgoglio e pregiudizio e Daisy Miller) non si concentra più di tanto sugli accadimenti storico-politici di quegli anni, prediligendo un insight più intimista nella vita dei personaggi, il risultato è un affresco che risulta incredibilmente potente.
Con una regia discreta ed elegante, l’opera mostra una contrapposizione crescente tra uomini conservatori e bigotti e donne progressiste affamate di libertà.
Un film sulla morte dei sogni, dunque, negati da un regime oscurantista verso il quale alcune fragili donne cercano di resistere con l’unico mezzo a loro disposizione: la letteratura. Uno strumento, quest’ultimo, utilizzato per uscire dallo stato di minorità in cui sono state relegate.
Un messaggio potente e tuttora estremamente attuale.