Secondo il documento emanato dal Consiglio d’Europa, la polizia italiana compie “profilazione razziale” – soprattutto nei confronti dei Rom e delle persone di origine africana – mentre la politica negli ultimi anni è diventata sempre più “xenofoba”, con un dibattito pubblico dai toni “divisivi” su stranieri e persone LGBTQ+. Per non parlare delle omissioni di soccorso nei confronti di chi fugge da guerre, miseria e persecuzioni, dei porti chiusi, delle detenzioni amministrative e di tutte le discriminazioni che si aggiungono alle lentezze di un sistema e di una burocrazia che sembrano fare di tutto affinché gli stranieri permangano in una condizione di irregolarità.
Gli sbarchi, i salvataggi, le omissioni di soccorso e le morti in mare dei migranti catalizzano da anni l’attenzione mediatica, anche in queste ore di acceso dibattito sul trasferimento forzato nei centri in Albania. Ma anche gli immigrati che vivono in Italia sperimentano forme di “omissione di soccorso” sul piano legislativo e burocratico che ledono gravemente le loro già difficili condizioni di vita, spesso compromettendo la loro permanenza e il loro futuro. Anche questi temi sono affrontati nel Dossier Statistico Immigrazione 2024, edito da IDOS, la cui presentazione nazionale si svolgerà il 29 ottobre, alle ore 10.30, a Roma (presso il Teatro Orione) e, in contemporanea, in tutte le regioni e province autonome italiane.
Tra il 2014 e il 2023, più di 30mila migranti hanno perso la vita o sono scomparsi tentando di attraversare il Mediterraneo, 22mila dei quali nella rotta centrale, conteggiando solo i casi accertati. Solo nel 2023 si contano almeno 3.155 vittime, di cui 2.526 nel Mediterraneo centrale, segnando il numero più alto dal 2017. A queste si aggiungono oltre 1.400 decessi da gennaio a ottobre 2024. Nonostante queste cifre drammatiche, continua a mancare una strategia coordinata di ricerca e soccorso: alla missione Mare Nostrum della marina militare italiana, sospesa nel 2014, sono seguite spesso operazioni di contrasto e mancati interventi che hanno lasciato tantissimi migranti alla deriva. Gli aspetti più critici riguardano i ritardi nei soccorsi (complicati dal fatto che molti interventi vengono classificati come operazioni di polizia), i rimpalli di responsabilità tra Stati e guardie costiere, le deleghe a Paesi terzi per il trattenimento e la ricattura in mare dei migranti, le norme che ostacolano le attività delle Ong (come l’assegnazione di porti lontani, da raggiungere “senza ritardi”, impedendo così il soccorso di altri naufraghi).
Non a caso nel 2023 le navi civili umanitarie hanno portato in salvo in Italia solo 9mila persone (neanche il 6% delle 157.652 sbarcate in totale). Tra febbraio 2023 e aprile 2024 sono stati imposti loro 21 fermi e 446 giornate di inattività complessive, diminuendone letalmente la capacità di monitoraggio e soccorso, mentre nel 2023, a causa dell’assegnazione di porti lontani, hanno dovuto percorrere un totale di 154.538 chilometri (tre volte e mezzo il giro del mondo).
Sono, queste, le omissioni di soccorso in mare, certamente le più visibili e brutali.
Ma anche gli immigrati regolarmente presenti in Italia – oltre 5,3 milioni di residenti, di cui quasi 1 milione di minori, cui si aggiungono i titolari di permesso di soggiorno non ancora residenti e i non comunitari in attesa di riceverlo o rinnovarlo – subiscono omissioni quotidiane e silenziose, fortemente lesive dei loro diritti e che, nei casi più gravi, ne causano la caduta nell’irregolarità. Sono i ritardi della Pubblica amministrazione nella gestione delle pratiche di soggiorno, di asilo e di tutti quei documenti di cui gli immigrati hanno diritto, ma che faticano a ottenere a causa di una macchina amministrativa sempre più ingolfata e in cronico sottodimensionamento. E così, non si abbandona o respinge solo in mare, ma anche negli uffici pubblici, soprattutto nelle grandi città.
Un’indagine dell’Asgi su 55 questure italiane, i cui risultati sono riportati nel Dossier Statistico Immigrazione di IDOS, ha rilevato gravi ritardi e inefficienze nell’accesso alle questure per inoltrare domanda di protezione internazionale. Molte questure accettano al massimo 5-15 istanze al giorno, imponendo a tutti gli altri richiedenti di ripresentarsi nei giorni seguenti, ma senza appuntamento e, dunque, senza certezza dei tempi. Ne derivano umilianti file, che si riformano per giorni sui marciapiedi antistanti le questure, di persone accampate dall’alba o dalla sera prima. Spesso, poi, pur avendo manifestato la volontà di chiedere asilo, i migranti sono impediti nel formalizzarla (modello C3) perché non vengono convocati nei termini previsti dalla legge (entro 3 giorni, massimo 10, dalla manifestata intenzione di presentarla): in 24 delle 55 questure monitorate si aspetta fino a 6 mesi, in 18 oltre 6 mesi e in 3 più di 1 anno. Durante tutta questa attesa accade anche che ai richiedenti sia negato il rilascio del permesso di soggiorno e l’accesso alle misure di accoglienza, pur previste sin dalla manifestazione di volontà di chiedere asilo. Inoltre, anche quando si riesce a concludere l’iter, in 23 province su 55 l’accoglienza viene negata per una presunta indisponibilità di posti, nonostante l’inserimento nel sistema di accoglienza sia un obbligo imposto dalla normativa europea.
In generale, oltre al mancato rispetto delle tempistiche, si assiste anche a frequenti richieste di documenti e attestazioni non previsti dalla legge per l’avvio delle pratiche. Il termine standard di 60 giorni per il rilascio del permesso di soggiorno dalla presentazione della domanda è rispettato solo da 4 questure sulle 55 osservate; in molti casi l’attesa è di oltre 6 mesi (21 questure) o di 1 anno (13). Questi abnormi ritardi si ripercuotono sull’accesso ai servizi e sulla perdita di diritti fondamentali: cancellazione dal Servizio sanitario nazionale o dalle liste anagrafiche, impossibilità di rinnovare il contratto di lavoro, limitazioni alla libera circolazione, sospensione di eventuali misure di welfare.
Se a tutto questo si aggiunge che in Italia un cittadino straniero deve aspettare sino a ulteriori 4 anni per il riconoscimento della cittadinanza italiana (oltre ai 10 di residenza previsti per la naturalizzazione), o che, a 4 anni dal suo varo, la regolarizzazione del 2020 non è ancora conclusa, o che circa il 70% dei lavoratori stranieri autorizzati a entrare in Italia con gli ultimi Decreti flussi non ha ancora ricevuto, a distanza di 1-2 anni, un permesso di soggiorno, si può senz’altro concludere che le migrazioni sono gestite da una governance in gran parte basata su un’infinita serie di gravi omissioni.