#RoFF19: En Fanfare. L’orchestra stonata

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Un film emozionante, che conduce lo spettatore in un viaggio esistenziale, e lo fa alternando la commedia al dramma, senza mai scadere, tuttavia, nel tragico o nella farsa.

En Fanfare – L’orchestra stonata, di Emmanuel Courcol, presentato alla 19^ Festa del Cinema di Roma nella categoria Best Of 2024 dopo un passaggio al 77° Festival di Cannes, è un affresco di emozioni, con una trama potente, toccante, che esplora il significato profondo della vita. Courcol, al suo terzo lungometraggio, dopo Un Triomphe, del 2020, e Cessez-le-feu, del 2006, torna a confrontarsi con le tematiche esistenziali, senza, tuttavia, perdere di vista le questioni sociali, come: la perdita del lavoro, le diseguaglianze, le difficoltà famigliari.

E lo fa con una narrazione che alterna il dramma alla commedia, senza mai scadere nel tragico o nella farsa. A far da collante alle forti emozioni che si susseguono, la musica, sia classica sia popolare, in un mix sapientemente ricostruito che ne rende superflua la verbalizzazione.

Il tutto accompagnato anche da un’ottima sceneggiatura, dello stesso Courcol e di Irène Muscari:

Quello che mi piace è soprattutto conciliare gli opposti e trovare una forma di compromesso o di equilibrio. Questo vale per la mia vita come per il cinema. Dramma o commedia? Film d’autore o commerciale? Musica classica o canzoni popolari? Perché scegliere? È un percorso impegnativo, che si snoda lungo una cresta sottile, non sempre agevole, ma è ciò che amo fare. È ciò che guida il mio desiderio di scrittura”, ha dichiarato il regista.

Ma veniamo alla trama. E’ la storia di due fratelli, l’uno ignaro dell’esistenza dell’altro, e viceversa, almeno sino a quando Tribaut (Benjamin Lavernhe) – un famoso ed acclamato direttore d’orchestra – scopre di avere una gravissima malattia del sangue e l’unico modo che ha di salvarsi è ricorrere ad un trapianto di midollo osseo. Ma quando scopre che quello di Sabrina, la sorella (Sarah Suco), non è compatibile con il suo, al pari di una perfetta estranea, Tribaut scoprirà di essere stato adottato. Ma non tutto è perduto, perché in realtà scoprirà anche di avere un fratello biologico, Jimmy (Pierre Lottin), che vive nel nord della Francia, un modesto operaio che suona il trombone nella banda musicale della cittadina di Walincourt.

L’unica chance per Tribaut è dunque quella di rintracciare il fratello spiantato e convincerlo ad aiutarlo.

Ma l’incontro tra i due non sarà facile: l’uno, Tribaut, cresciuto tra gli agi in una famiglia borghese – suona il pianoforte sin dall’età di tre anni – l’altro, Jimmy, vive una vita modesta, a casa di Claudine (Cleménce-Massart-Weit), la donna amorevole che lo ha cresciuto.

Due persone completamente diverse che hanno, tuttavia, un elemento in comune: l’amore per la musica. E sarà proprio la musica ad avvicinarli. D’altronde, anche Jimmy ha un talento, di cui, peraltro, è ignaro: “l’orecchio assoluto” (riesce a identificare l’altezza assoluta di un suono senza l’ausilio di uno strumento di riferimento), che potrebbe sfruttare per avere una vita migliore.

Il riavvicinamento tra i due non sarà, comunque, semplice. Ma dopo un periodo iniziale fatto di incomprensioni e di sospetti, Tribaut e Jimmy si ritroveranno accomunati dal desiderio di ritrovarsi, nonostante i diversi percorsi di vita, per colmare il vuoto emotivo delle loro vite. Decisive, al riguardo, la ricomparsa della malattia dalla quale Tribaut non potrà più fuggire.

Il film si chiude con un finale corale, dal fortissimo impatto emotivo, in cui, in un bellissimo teatro, due idee diverse di far musica, quella dell’orchestra diretta da Tribaut e quella della banda musicale di Walincourt diretta da Jimmy, troveranno una perfetta consonanza sulle note del Bolero di Maurice Ravel, in un ritmo travolgente, sostenuto con gran forza dalle persone presenti. Ma sarà anche l’occasione di un commiato dalla vita.

Il regista, in una intervista, ha dichiarato che l’idea del film è nata mentre ascoltava una fanfara: “Cht’is lutins”. “Nessuno sapeva leggere la musica, nemmeno il direttore. Tutto il repertorio della banda era composto da brani che lui adattava ad orecchio. Scomponeva le parti per sezione strumentale e gli altri riproducevano ciò che avevano sentito. Dopo le prove, siamo andati tutti insieme a bere un bicchiere a casa sua e, vedendo queste persone di tutte le età riunite in un’atmosfera tanto calorosa, ho potuto capire l’importanza della musica e della banda come legame sociale e affettivo: è una famiglia, uno stile di vita, un rimedio contro l’isolamento, l’onnipresenza degli schermi e il nostro mondo dematerializzato. Guardando il loro direttore, mi chiedevo quale sarebbe stato il suo destino se fosse nato in un ambiente più favorevole”.

Il film, distribuito da Movies Inspired, sarà nelle sale italiane a partire dal 5 dicembre.


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