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Guerra Medio Oriente: da Milano un sussurro pacifista

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Cosa c’è di più assurdo di manifestare per la pace mentre i carri armati israeliani invadono il Libano e i missili iraniani cadono su Israele?

Purtroppo questa è la grottesca verità. A Milano martedì sera c’è stata una delle prime manifestazioni unitarie – da “campo largo” si potrebbe dire – per chiedere la fine della guerra in Medio Oriente detto in tutti i modi: fine del massacro palestinese, uno striscione con scritto “cessate il fuoco” diretto da un gruppo di ebrei pacifisti a Netanyauh, l’invito a tenere aperti gli occhi sul Libano, cartelli con scritto “pace” in più lingue, fino all’immancabile bandierone della pace lungo decine di metri.

Tutto questo ferma la guerra? No, e ammettiamolo, non è mai successo. Manifestazioni come queste servono a tenere accesa una fiammella, non arrendersi all’omologazione globale che vuole più spese per armamenti.

Se lo dicevano gli stessi manifestanti nei capannelli: “speravamo di essere di più”. Perché tanta generosità nell’impegno pacifista, tanti presidi, tanta mobilitazione diffusa non diventa fenomeno di massa? Non c’è una risposta univoca. Chi parlava di assuefazione alla violenza, chi lamentava certe ambiguità dei leader politici, chi accusava i mass media di preferire una narrazione trucida ma senza contestualizzazione, chi tagliava corto: “tutti hanno già un sacco di problemi ad arrivare a fine mese”. Forse questo grumo di spiegazioni aiuta a capire perché al di fuori del presidio di martedì sera la città sembrava indifferente, come se quei 40mila morti palestinesi e quei 200 missili iraniani caduti su Israele fosse un problema lontano.


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