Le proteste minacciano una calda primavera africana

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“Una nuova ondata di movimenti di protesta si sta diffondendo in tutta l’Africa. Ad accomunarli l’insofferenza per il carovita e la mancanza di opportunità. Alcuni commentatori, travolti dall’entusiasmo, hanno parlato di una ‘primavera africana’, ma c’è un lato inquietante. Sotto pressione, i governi ricorrono a ogni mezzo per restare al potere”.

È la lucida ed amara analisi del settimanale sudafricano “The Continent” sulle manifestazioni di massa che tra giugno, luglio ed agosto scorsi hanno scosso Kenya, Uganda, Nigeria.

Protagonisti sono i giovani. Quelli della generazione Y ovvero i millennials (nati tra il 1981 ed il 1996) e con maggiore determinazione i ragazzi della generazione Z ovvero gli zoomers (nati tra il 1997 e il 2012). Questi ultimi sono l’asse portante della contestazione “totale” che non si limita alla richiesta del ritiro delle impopolari misure restrittive ma pone il problema delle dimissioni degli esecutivi e dell’avvio di processi di cambiamenti reali, concreti e immediati. L’eccezionalità della contagiosa partecipazione alle agitazioni è dovuta all’uso dei social, che ha invertito così una consolidata tendenza della Gen Z di utilizzarli per isolarsi al suo interno spalancando la strada al disinteresse verso i problemi reali dei rispettivi paesi.

“Difficilmente queste persone sono andate a votare, nonostante la loro importanza dal punto di vista demografico. La tecnologia ha svolto un ruolo cruciale nell’amplificare le loro richieste. I giovani hanno sfruttato gli strumenti di comunicazione di oggi per attirare l’attenzione sulla loro causa” scrive il giornalista kenyano Conrad Onyango.

I limiti di questa scelta sono però evidenti: l’assenza di leaders e la mancanza di una strutturata organizzazione del movimento per fronteggiare le emergenze politiche sono diventati elementi distintivi della protesta.

“Noi non abbiamo leaders. Non stiamo cercando degli interlocutori. Vogliamo solo che vadano via e non abbiamo intenzione di cedere”: è la vitalistica dichiarazione (intrisa di indomabile ottimismo giovanile) di uno studente raccolta a Nairobi dal quotidiano “The Star”.

Pur incassando durissimi colpi che ne hanno fatto vacillare credibilità e stabilità (e che non mancheranno di far sentire gli effetti a medio e lungo termine), tutti i governi continuano a occupare saldamente il potere: qualcuno costretto a ridurre drasticamente i livelli di arroganza, qualche altro rimangiandosi completamente (e senza alcuna vergogna) le misure indecenti avanzate per la iniqua tassazione di massa: proprio come sottolineava il settimanale “The Continent” a proposito del potere disposto a tutto pur di rimanere in sella. Dappertutto, comunque, è stato pagato un prezzo altissimo con centinaia di morti tra i manifestanti.

Questa “primavera africana” è fiorita in contemporanea alla straordinaria e vittoriosa protesta che ha infiammato il Bangladesh contro l’autoritaria e repressiva prima ministra Sheikh Hasina. Anche qui gli studenti ed i giovani hanno sfidato la violenza della polizia diventando movimento popolare ed incredibilmente hanno vinto su tutta la linea consentendo così a Muhammad Yunus (premio Nobel per la pace del 2006, economista e banchiere che ha creato la banca dei poveri ed il sistema del microcredito) di diventare il nuovo capo del governo in uno dei paesi più poveri del mondo.

Il vento della contestazione in Africa comunque fischia e c’è chi si prepara a prevenirlo, come l’Angola. A metà luglio (proprio nel pieno delle proteste a Nairobi, Kampala e Lagos) il parlamento ha approvato una legge “contro il vandalismo” che prevede dieci anni di detenzione per chi filma o fotografa il lavoro dei dipendenti pubblici. Una misura – fanno notare gli attivisti per i diritti civili – che mira a scoraggiare i cittadini dal controllare l’operato degli statali (tra cui la polizia) e di partecipare a proteste di piazza.

KENYA

L’epicentro della contestazione è stato il Kenya dove almeno 35 delle 47 province sono state investite dallo tsunami della Gen Z, come si firma sui cartelli. Ad accendere la miccia è stato il 18 giugno il primo corteo nella capitale organizzato attraverso le piattaforme digitali per protestare contro il vertiginoso aumento della pressione fiscale, previsto dalla legge finanziaria, che investiva in primo luogo i beni di prima necessità e finalizzato all’incasso di 2, 5 miliardi di dollari per fronteggiare lo stellare debito estero (vedi Confronti n.9 settembre 2024). Delusi anche dai partiti di opposizione (che troppo spesso si limitano a fare da “spalla in commedia” alla coalizione di governo), giovani e adolescenti si sono affidati agli schermi dei telefoni cellulari per dare gambe, braccia e voci al dissenso in una nazione che da 40 anni vive una transizione democratica incompiuta e sempre rimandata.

Nel mirino c’è il presidente William Ruto che da candidato nel 2022 promise di abbassare il costo della vita e di offrire occasioni di lavoro ai giovani che lo votarono. Ma dalla sua elezione non è cambiato nulla nonostante un tasso di crescita economica del 5,6% raggiunto lo scorso anno. Anzi si diffonde rabbia e delusione tra un numero crescente di giovani sempre più istruiti che hanno beneficiato delle riforme varate (tra il 2002 ed il 2013) dal presidente Mwai Kibaki il quale introdusse l’istruzione gratuita e obbligatoria per 8 anni (elementari e medie): una misura che ha contribuito a far crescere l’alfabetizzazione ma nel contempo anche le aspettative dei diplomati che in mancanza di lavori adeguati hanno animato le proteste mettendo sotto accusa i politici. La Gen Z può contare dunque su un livello di istruzione superiore rispetto ai loro genitori ed una facilità di approccio ai nuovi media che imprimono un impulso alla aggregazione ed al superamento delle barriere tribali, ma anche una liberazione dai lacci imposti dai partiti politici che ne sono l’espressione etnico-istituzionale.

Per la stragrande maggioranza dei diplomati di fronte alla mancanza di lavoro adeguato al titolo di studio conseguito, l’unica strada è la sopravvivenza nell’economia informale che occupa l’80% della manodopera a bassa retribuzione senza offrire nessuna sicurezza. I giovani poi paragonano la loro misera vita a quella dei leaders politici che non si vergognano di ostentare ville, automobili e gioielli (frutti di attività illecite, appalti truccati, tangenti) senza preoccuparsi della stragrande maggioranza della popolazione che fatica a mettere insieme il pranzo con la cena. I giovani hanno capito che la corruzione diffusa (che coinvolge anche la polizia e gli impiegati pubblici) è l’altro grande ostacolo che ostruisce le loro prospettive. Tra loro è cresciuta inoltre la consapevolezza che a condizionare fortemente la politica dell’esecutivo del Kenya siano il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale che con prestiti e imposizioni di rientro condizionano pesantemente l’economia della nazione, limitandone sovranità e indipendenza.

Di fronte alle pressioni antigovernative di piazza, il presidente Ruto ha dapprima fatto la voce grossa dando l’ordine di rapire famosi influencer e poi di aprire il fuoco sui manifestanti provocando più di 50 morti secondo Amnesty International. Nel giro di una settimana si è detto disponibile al dialogo per poi ritirare la legge finanziaria, sciogliere il governo, licenziare il capo della polizia. Decisioni che hanno messo in agitazione la coalizione di governo che lo sostiene ma che non sono state sufficienti a fermare la contestazione. I giovani hanno alzato il tiro: pretendono le sue dimissioni, ritenendolo un fantoccio nelle mani del Fmi che ha imposto austerity, privatizzazioni e pressione fiscale in cambio di un prestito di 3,9 miliardi di dollari.

Forse Ruto resterà saldamente inchiodato sulla sua sfarzosa poltrona ma difficilmente sarà rieletto per un nuovo mandato presidenziale. Qualcosa si muove….

UGANDA

Anche nel confinante Uganda giovani senza affiliazioni politiche si sono organizzati on line per chiedere le dimissioni della presidente del parlamento accusata di corruzione. Il 23 luglio (che segnava la sesta settimana di contestazioni in Kenya) nella capitale Kampala i manifestanti hanno sfidato i divieti imposti dal regime di Yoweri Museveni (al potere dal 1986 e con un figlio in rampa di lancio per subentrargli). Almeno 60 le persone arrestate. Tra le richieste anche la riduzione del numero e degli stipendi dei parlamentari, il diritto di riunirsi pacificamente: i contestatori diretti al parlamento sono stati bloccati da un imponente schieramento di polizia mentre il vecchio presidente accusava i manifestanti di “lavorare per gli stranieri con l’obiettivo di provocare il caos in Uganda”. Opposizione e attivisti per i diritti umani denunciano l’appropriazione indebita, l’uso improprio di fondi governativi, nepotismo e corruzione in parlamento e tra deputati e funzionari governativi vicini a Museveni.

NIGERIA

“C’è molta fame nel paese, le persone si ammalano e muoiono di povertà e non riescono ad acquistare medicine e pagare le cure ospedaliere. Hanno difficoltà a pagare le tasse scolastiche dei loro figli e il costo del cibo e dell’elettricità è in costante aumento”. Alfred Adewale Martins, arcivescovo di Lagos, è l’autore di questa impietosa fotografia della Nigeria dove il 37% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà mentre nel nord est 4 milioni e mezzo di cittadini soffrono di insicurezza alimentare secondo il Programma Alimentare Mondiale.

Qui le proteste giovanili sono iniziate nel 2020 per denunciare la brutalità delle forze dell’ordine, gli arresti arbitrari, le tante esecuzioni sommarie di innocenti perpetrate da corpi speciali della polizia. Lo scorso 3 giugno uno sciopero nazionale ha paralizzato il paese. Tra le richieste sindacali, l’aumento del salario minimo mensile (oggi attestato a 18, 5 euro), calmierare il prezzo dell’elettricità e della benzina triplicato rispetto allo scorso anno quando il presidente Bola Tinubu ha revocato i sussidi facendo schizzare alle stelle il costo della vita mentre la moneta nigeriana (naira) ha perso nei confronti del dollaro. Il confronto tra governo e sindacati non ha dato risultati apprezzabili ed il primo agosto milioni di persone si sono riversate nelle strade. Le manifestazioni antigovernative sono sfociate in disordini, saccheggi, incendi. Almeno 14 le vittime. I giovani nigeriani avevano già usato i social per organizzare i cortei del 2020, aprendo la strada a questo innovativo metodo organizzativo. Anche in questa protesta sono in prima fila: questa in  corso è la peggiore crisi economica che si è abbattuta su millennials e zoomers, su cui pesa un’inflazione annuale del 34,19%, la più alta in quasi 30 anni.

Milioni di persone sono alla fame, regredisce il numero di famiglie della classe media, la disoccupazione giovanile rischia di diventare esplodere drammaticamente. Anche in questo caso i ragazzi non si limitano a chiedere un piano economico adeguato ma si battono per il rilascio di un leader separatista del Biafra detenuto, per concedere il permesso di votare ai nigeriani che vivono all’estero e l’abolizione della costituzione del 1999.

Tante richieste, forse troppe. Ma i giovani sono materia viva che si agita nella pentola a pressione di un’Africa che vuole cambiare e contare di più.

 

Tratto dal mensile CONFRONTI n.10 ottobre 2024

 


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