Sara De  Simone,  L’atto sospeso. Azione e inazione dall’Iliade a Virginia Woolf

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“L’atto sospeso” di Sara De Simone è un libro complesso, scritto con sapienza rigorosa, ricco di note, citazioni  e riferimenti colti, ma che coinvolge e appassiona sia nella lettura che nell’approfondimento di quello che è il nodo del testo: un’indagine sulla figura dell’eroe nelle sue costanti e trasformazioni dall’Iliade a Virginia Woolf. La domanda che si pone fin dall’inizio  riguarda la natura dell’eroe, perché se è l’azione  il senso del suo stare al mondo e la sua funzione nel racconto della storia, è proprio vero che è sempre così? E cosa  succede se l’eroe si ferma e invece di agire pensa? L’autrice vuole dimostrare, attraverso alcune figure letterarie, come  più che l’azione, siano i momenti di inazione fondamentali per l’epopea dell’eroe. Sostiene infatti come “Da Arjuna ad Achille, da Oreste a Pelasgo, da Perceval a Lancelot, fino ad arrivare alle scritture novecentesche di Orlando e Percival nell’opera di Virginia Woolf,  questi eroi   “ in sospeso”- indecisi, riluttanti, temporaneamente inefficaci – attraversano la storia della letteratura mettendo in crisi lo stesso paradigma eroico di cui sono il simbolo”.  Si sofferma sul “ Bhagavadgita”, parte del grande poema epico indiano “ Mahabharata” e sul momento di sospensione del suo eroe Arjuna, colto nel momento in cui si arresta mentre sta scoccando la freccia dal suo prodigioso arco Grandiva, perché vede i suoi nemici che sono suoi parenti e che non vorrebbe uccidere.  L’autrice prende poi in considerazione l’Iliade. Simone  Weil nella sua analisi del poema lo definisce la “sola, autentica epopea  che l’occidente possieda”, tuttavia, forse condizionata dai tempi bellicosi che stava vivendo, ritiene che l’Iliade sia il vero  poema della forza, dove è un susseguirsi di brutalità e desolazioni. De Simone indica in Rachel  Bespaloff l’autrice che negli stessi anni legge l’Iliade con una sensibilità diversa, cogliendo l’importanza di quelle “pause planetarie” che costituiscono la vera forza che dà unità al poema perché, in queste sospensione dell’azione dell’eroe che si arresta nella sua sequenza di gesti e gesta, si insinua la poesia: insomma l’Iliade si definisce non più come poema della forza, ma della poesia. Vengono citati alcuni importanti momenti di sospensione: la famosa teichoscopia di Elena sulle mura delle porte Scee , libro terzo dell’Iliade, quando i due eserciti si fronteggiano in attesa della battaglia e Priamo chiede a Elena i nomi dei più famosi guerrieri schierati in campo. L’ incipit stesso del poema parla dell’ira di Achille che ha bloccato la guerra, è da questo astenersi dal combattere di Achille che derivano infiniti dolori agli Achei. L’eroe, che viene presentato già nel primo verso come colui che si astiene dall’azione, è colui che genera lo svolgimento degli accadimenti, ma è dislocato altrove rispetto agli avvenimenti e vi resterà per metà del poema. E che cosa fa l’eroe che non combatte? Quando nel libro IX una delegazione di Achei si reca da lui per convincerlo a tornare in battaglia, lo trovano che dà sollievo al suo animo suonando la cetra e cantando le gesta dei grandi eroi. Achille è l’unico aedo che compare nell’Iliade, l’unico che impugna la cetra come Apollo, il dio che tiene l’arco e che può dare il segnale della battaglia e con la cetra immortala gli eroi.  Elena e Achille sono gli unici due personaggi che assumono su di sé il ruolo del poeta; Elena che tesse e ricama su un manto di seta rossa le gesta dei Greci e dei Troiani “E’ nel canto di Achille, nella filatura di Elena e nella sua teichoscopia che la voce della poesia si fa più chiara, sonora, penetrante … come quella della Musa … E’ questa sonorità che si coagula attorno ai momenti di sospensione, a illuminare il cuore più profondo del poema”.

L’autrice ci mostra figure della tragedia, come Medea, Oreste che nel momento del compimento scenico dell’evento hanno un’esitazione e si chiedono “ che fare?”, si compie così un ritardo dell’azione scenica in cui si insinua il tempo della ponderazione, della riflessione. Se lo spazio del pensiero si fa  motore dell’azione, la gravitas del pensiero sembra comportare anche una postura fisica di ripiegamento su se stessi, il capo sorretto dalla mano, e qui i riferimenti sono  alla “Melancolia I” di Durer e agli studi in proposito di Walter  Benjamin ed altri. Il “motivo della testa reclinata” coniuga dunque elementi tipici della prossemica sapienziale con la melanconia, sentimento che tuttavia comporta il rischio di sfociare nell’acedia  e ciò  può essere pericoloso per i re, per gli uomini di potere, perché in quei momenti si può configurare una crisi dello stato <<Da questi  eccessi del pensiero devono difendersi, quindi, tanto i sovrani – responsabili e mandanti dell’azione – quanto gli esecutori – gli eroi, per l’appunto, gli  “uomini d’azione”>>. Questa circostanza viene illustrata attraverso i personaggi di re Artù e dei più celebri eroi del Medioevo: Lancelot e Perceval.

Nei poemi del ciclo arturiano e specialmente nel ciclo  “Lancelot – Graal” Artù viene più volte rappresentato come roi  pensif. Capita che egli, alla presenza della corte, si immerga in un pensiero eccessivo e rischi di cadere in uno stato di malinconia, generando preoccupazione e disagio tra i cortigiani, che con strategie diverse lo risvegliano dal suo stato. Se ciò infastidisce il re, egli riuscirà tuttavia a riprendersi e poiché l’oggetto del suo pensiero è la mancanza di Lancelot, da questo pensiero eccessivo che lo porta quasi a uno stato di trance scaturirà poi l’azione: Artù ordinerà ai suoi la quete, la ricerca di Lancelot e da qui tutte le avventure dei suoi cavalieri, che cercano di realizzare “la reintegrazione” del miglior cavaliere in assoluto nella migliore corte in assoluto. L’autore, Chrétien de Troyes, sospendendo e riattivando i personaggi crea un meccanismo narrativo, che agisce su due livelli: uno quello  della struttura, l’altro quello del punto di vista della storia in cui i personaggi evolvono  arrestandosi  e poi riprendendo l’azione.   Questo stesso meccanismo interviene anche  nelle storie di Lancelot e Percival. Entrambe gli eroi si caratterizzano particolarmente come chevalier pensif, che pensando si bloccano in uno stato di inazione per una contemplazione malinconica o per uno stato di dormiveglia in sella al cavallo, deviando magari dal percorso che stavano seguendo. L’uscita da questo stato, per interventi esterni che li mettono talvolta in ridicolo,  prelude a un’esplosione di energie che darà luogo alle loro più mirabili imprese. Così anche la materia narrativa sembra nutrirsi di questi momenti di stasi  in cui i personaggi appaiono pericolosamente inattivi, per poi riprendere rinvigorita ed espandersi nelle gesta eroiche dei personaggi. Dopo  aver analizzato vari passi del Lancelot e de Le Conte du Graal l’autrice giunge alla conclusione che se i più grandi eroi della cavalleria si mostrano  inclini al sonno, alla reverie, al gesto ritardato, che poi esplode in gesta che tutti ritengono le più eroiche “dovremo riconoscere che questa ambivalenza possa essere in effetti caratteristica distintiva dell’eroe e che il suo non fare produca racconto tanto, e a volte di più, del suo fare”. Le Conte du Graal, ultima opera di Chrétien de Troyes, si interrompe quando Perceval, proprio a causa di un gesto inibito, commette un grave errore che porterà rovina, dolori, carestia, ma proprio in questo vuoto creato dal gesto trattenuto dell’eroe e dall’interruzione del racconto fruttificheranno il mito del Graal e i molti racconti di autori successivi a Chrétien che  daranno seguito alla storia.

Nell’ultima parte del testo De Simone analizza in modo ampio e circostanziato l’evoluzione e la trasformazione che i due campioni dell’epica medievale subiscono nell’opera di Virginia Woolf.  Non per caso la scrittrice inglese nel breve arco di quattro anni, dal 1927 al 1931, ha composto due romanzi, Orlando e Le onde, in cui nel primo il protagonista e nel secondo il personaggio centrale  hanno il nome e alcune caratteristiche dei due grandi eroi della tradizione cavalleresca, di cui però l’autrice, usando a volte il registro tragicomico,  racconterà con intento parodistico  più che le gesta, i fallimenti. Orlando non è un uomo d’azione e invece di mettere in pratica ciò su cui fantastica, si addormenta. Pasticcione, distratto, contemplativo come i suoi predecessori Lancelot e Perceval, non trarrà dal suo stato  di trasognamento energia per nuove azioni eroiche come loro; invece, persistendo nelle sue fantasticherie e meditazioni, toglierà materia di narrazione alla sua biografa, che se ne lamenta. Ma sarà proprio questo stato letargico che gli consentirà di attraversare indenne i secoli e di risvegliarsi, dopo un lungo sonno, donna. Quando Orlando scopre la sua metamorfosi comincia a interrogarsi su cosa comporti questo suo mutamento, sui vantaggi e gli svantaggi, per concludere che è molto meglio dedicarsi alla contemplazione, all’amore, alla solitudine, cose concesse alle donne, piuttosto che alle discipline, alle azioni e ai giochi di potere riservati agli uomini. Non dimentichiamo che sono gli anni in cui Woolf ha in gestazione opere come A Room of One’s Own e Three Guines che usciranno rispettivamente nel 1929 e  nel 1938. La trasformazione di Orlando offre alla scrittrice l’occasione di  “svolgere narrativamente l’inchiesta – sul maschile il femminile, sui libri degni e indegni, sui codici rappresentativi e interpretativi della realtà, come del romanzo – che Woolf è interessata ad approfondire e portare avanti”. The Waves è un’opera sperimentale in cui l’autrice si propone di accorciare la distanza tra prosa e poesia, con l’intenzione di restituire con “una scrittura a ritmo”  l’idea di “una mente che pensa” e della “vita in sé che scorre”. Il libro è diviso in dieci interludi e nove soliloqui di sei personaggi. Percival non parla mai, è il settimo personaggio di cui tutti raccontano e che esercita una forza attrattiva  e catalizzatrice su di loro. La scrittrice ha memoria di Perseval/Parsifal, memoria che rielabora e sparge della sua opera. Percival, come i suoi predecessori non ha solo doti positive, tuttavia porta con sé una luce sublime, è un leader, è fonte di ispirazione della poesia e lui stesso e la sua azione sembrano incarnare la poesia. Percival come i grandi eroi muore giovane e anche se la sua morte, descritta dall’autrice con intenti parodistici verso l’imperialismo britannico, avviene in India per una banale caduta da cavallo, la sua mancanza crea un vuoto nell’esistenza dei protagonisti e non solo. Come le Conte du Graal era rimasto sospeso sia per l’errore di omissine, la mancanza di un gesto di Perceval sia per l’ interruzione dell’opera da parte di Chrétien, vuoto da cui erano però germogliati altri racconti, così la morte pur banale di Percival lascia un vuoto nel romanzo woolfiano. De Simone conclude:“E’ nel vuoto che rimane al centro, come nell’atto che rimane sospeso, che la poesia trova spazio e respiro. E continua a mostrarsi. Per questo abbiamo bisogno di Percival. “For it is Percival who inspires poetry”.

Sara De Simone, L’atto sospeso. Azione e inazione dell’eroe dall’Iliade a Virginia Woolf, Viella, 2024

 


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