Pavel Durov, ma chi è costui? Se fate una veloce ricerca su Google Trends scoprirete che nel mondo non se lo è chiesto praticamente nessuno fino al 25 agosto di quest’anno, giorno in cui è stata diffusa la notizia del suo fermo da parte della polizia francese. All’improvviso su di lui si sono accesi i riflettori dei media e della Rete. E non poteva essere altrimenti: stiamo parlando dell’amministratore delegato di Telegram uno dei programmi di messaggistica ( e non solo) più diffusi nel mondo (anche se ben lontano dai numeri di WhatsApp di Zuckerberg). Insomma una delle applicazioni protagoniste della nostra vita digitale. Inoltre si tratta di un uomo ricchissimo: il suo patrimonio personale è stimato in oltre 15 miliardi di dollari e non capita spesso, nelle nostre opulente società occidentali, che gli apparati repressivi si occupino di individui di questo genere preferendo solitamente dedicarsi piuttosto al controllo degli “ultimi”, i “socialmente pericolosi”. Dopo tre giorni, il 28 agosto, Durov è stato incriminato dalla Procura di Parigi sulla base di ben 12 capi di accusa fra i quali la distribuzione di materiali con abusi sessuali sui minori, vendita di narcotici, frode e riciclaggio di denaro. E’ stato rimesso in libertà dietro il pagamento di una cauzione di 5 milioni con l’obbligo di non lasciare la Francia e di presentarsi due volte alla settimana in un posto di polizia. Andando al sodo (e al netto di altre accuse legate alla sua vita privata) la questione può essere così riassunta: Telegram non avrebbe effettuato una attività di moderazione sui contenuti diffusi sulla piattaforma e non avrebbe collaborato con le forze dell’ordine europee incaricate di perseguire reati di cui i suoi canali possono essere stati strumento di diffusione. Il mondo si è diviso subito in colpevolisti e innocentisti. Per i primi non ci debbono essere zone franche per pedofili, terroristi e delinquenti, per i secondi la libertà di espressione è più importante e costringere Durov a rivelare i codici di Telegram sarebbe un terribile sopruso. Detto questo e lasciato agli appassionati il piacere della disputa c’è una cosa che va precisata. La vicenda Durov è costellata di aspetti misteriosi. Trentanovenne di San Pietroburgo da 10 anni ha lasciato la Russia di Putin in polemica con le autorità moscovite che però ora, dopo l’arresto in Francia, lo difendono. Vive negli Emirati Arabi e ha quattro passaporti. Fra questi pure quello francese. E qui la storia diventa veramente una sorta di intrico internazionale. Perché ci sono nazionalità che possono essere comprate ( niente di più facile per un miliardario poliglotta) e altre che invece vengono elargite. La cittadinanza transalpina Pavel l’ha ottenuta nel 2021 attraverso una procedura definita dello “straniero emerito”, gli hanno addirittura adattato il nome sul passaporto in Paul Du Rove. Secondo i giornalisti di Le Monde si è trattato di una scelta tutta politica presa ai vertici della Repubblica anche perché non ci sono tracce di una qualche sua azione che abbia promosso concretamente nel mondo l’immagine della Francia. Per questa ragione probabilmente Durov è atterrato senza alcun timore con il suo aereo privato a Parigi: godendo di protezioni così in alto proprio non se lo aspettava di essere fermato e incriminato.
Ma perché non è il caso di farne un campione assoluto della nostra libertà nei confronti della protervia degli Stati? In primo luogo perché ci sono troppe cose che non sappiamo. Prendiamo a esempio quanto riportato da un altro quotidiano francese, Liberation. Secondo quanto pubblicato Pavel sarebbe da anni un collaboratore dei servizi segreti, della Direcion Generale de la Securitè Interiere, in pratica del contro spionaggio. Nel corso degli anni avrebbe fornito informazioni sulle attività su Telegram da parte di cellule islamiste consentendo l’arresto di terroristi e evitando attentati. Lo avrebbe ammesso lo stesso miliardario durante gli interrogatori seguiti al suo fermo affermando che Telegram “non è un Paradiso anarchico” e che è disponibile a introdurre modifiche. Che cosa è andato storto allora? C’entrano le guerre in corso? Ci sono state successive richieste degli apparati militari di Macron, magari sui Russi, “sollecitazioni” che Durov non avrebbe accolto?
A seguire queste supposizioni ci si infila in un ginepraio, in un labirinto senza uscita. Meglio allora fare alcune considerazioni generali su di noi, sui rischi che corriamo nella odierna società digitale. C’è un punto di partenza che non dobbiamo mai dimenticare: tutti noi, utilizzando un apparato come lo smartphone, produciamo costantemente una enorme quantità di dati che tracciano i nostri comportamenti, quanto diciamo e facciamo. Questi dati inevitabilmente finiscono in Rete, non sono certo di nostra esclusiva proprietà. Il controllo della comunicazione ce l’hanno altri. In particolare enormi compagnie private che da questo materiale estraggono innumerevoli fonti di profitto facendone un uso commerciale. Il business è quasi esclusivamente nelle mani di giganti statunitensi (le eccezioni più attive in Occidente sono appunto Telegram e la cinese Tik Tok) che hanno negli ultimi mesi intrapreso una lotta durissima sulla frontiera dell’intelligenza artificiale. Lo chiamano il “capitalismo della sorveglianza” o il “tecnofeudalesimo del Cloud” ( delle “nuvole informatiche” dove si stoccano i dati). Mentre questi colossi si combattono per prevalere sul mercato, la sorveglianza è però ambita anche dagli apparati degli Stati. Gli scopi dei governi possono essere di tipo bellico, di sicurezza interna e di controllo sociale. In alcuni casi possono diventare persino “nobili”, considerando appunto la lotta alla pedo pornografia o a quella disinformazione che punta a disgregare la convivenza e a minare i diritti civili o sociali delle minoranze.
E’ di solare evidenza che è in atto uno scontro fra due poteri, sul tappeto c’è il tema di chi controlla il dibattito pubblico sul pianeta. Da una parte i Signori delle Tecnologie, dall’altra istituzioni e governanti. Cercate un esempio concreto? Prendete quanto sta facendo Elon Musk (oltre 200 miliardi di patrimonio). Ha ingaggiato contenziosi durissimi prima col Governo della Gran Bretagna sostenendo che in quel paese “la guerra civile è inevitabile” per l’eccessiva presenza dei migranti e poi con la Corte Suprema Brasiliana. I giudici gli avevano chiesto più volte di rimuovere da X ( il social che ha recentemente comprato, già denominato Twitter) dei post di sostegno alla mobilitazione para golpista seguita alla sconfitta elettorale dell’ex Presidente Bolsonaro. Lui si è rifiutato ( ma analoghe richieste di Turchia e India le aveva accolte) e i giudici hanno bloccato X in tutto il paese. Solo dopo un lungo contenzioso ultimamente entrambi, sia Durove che Musk, hanno a metà settembre “cambiato linea. Elon ha accolte richieste Brasile mentre Pavel ha annunciato un mutamento delle politiche di Telegram, maggiore disponibilità a collaborazione contro reati. Ma c’è in ogni caso un chiaro problema di sovranità e la situazione potrebbe riservarci sviluppi imprevedibili. Cosa stanno diventando le nostre democrazie? Cosa possiamo fare? Il discorso sarebbe lungo, troppo lungo in questa sede. Sicuramente non fidarsi dei grandi monopolisti, favorire ogni iniziativa antitrust, sostenere ogni iniziativa che dal basso promuova i diritti dei cittadini e degli utenti (sono due cose diverse che però si guardano). Prendiamo la messaggistica. Cercate una piattaforma che garantisce la privacy, non conserva i dati di chi la usa, non vende pubblicità, usa un software open source? Bene, questa applicazione esiste. Si chiama Signal, non ha scopo di lucro, è gestita da persone che hanno lavorato in altre compagnie ( e ne conoscono le nefandezze), vive di donazioni e non ha bisogno di quotarsi in borsa e soddisfare gli appetiti degli investitori. La usano già in molti perché qui brutte sorprese, affari misteriosi, al momento non se ne vedono. I nostri diritti si possono difendere anche scegliendo chi non ci vuole sorvegliare, per fare soldi o per controllarci politicamente.
Tratto da Voci di Dentro N 53 Settembre 2024