Abbiamo il dovere morale di sostenere la battaglia della presidente della Commissione di Vigilanza RAI, Barbara Floridia, la quale, rilanciando gli Stati generali del Servizio pubblico, scrive: “Ieri ho inviato una lettera ai presidenti delle commissioni parlamentari competenti per sollecitare l’avvio di una riforma strutturale della RAI, raccogliendo l’ok di tutte le forze politiche in Vigilanza. Ebbene, già il prossimo 1° ottobre le proposte di riforma verranno incardinate: un passo decisivo verso una RAI più libera, autonoma e trasparente. Avere a cuore la democrazia significa portare avanti risultati concreti, non solo proteste. Bisogna dimostrare con i fatti quanto sia importante avere un Parlamento che si fa sentire e agisce nell’interesse di tutti”.
Abbiamo altresì il dovere, per amicizia e antica consuetudine, di rivolgere i migliori auguri a Roberto Natale, nuovo membro del CDA RAI, indicato da AVS, e compagno fraterno di tante battaglie in nome della libertà d’espressione.
Le note liete, tuttavia, si fermano qui. Si fermano qui perché il CDA RAI non ha più l’importanza e il prestigio che aveva un tempo: non arriviamo a dire che sia ininfluente, perché sarebbe sbagliato e offensivo, ma certamente lo è meno di quanto non lo fosse nel suo periodo aureo. E si fermano qui, soprattutto, perché il rilancio dell’azienda non passa tanto dalla discussione sulla governance, importantissima ma in grado di appassionare unicamente gli addetti ai lavori, quanto da una seria analisi delle prospettive di un un’universo informativo che negli ultimi anni ha perso autorevolezza, centralità e alcuni fra i migliori professionisti in circolazione, migrati altrove e non certo intenzionati a far ritorno a casa.
Comprendiamo, a dire il vero, anche la posizione del Partito Democratico di tenersi fuori dalla spartizione di posti. Si tratta della stessa compagine che ha la responsabilità, enorme, di aver introdotto la “riforma” del 2015 che, di fatto, pone la RAI sotto l’egida del governo, questo va detto, ma al contempo è doveroso ricordare che la sua attuale segretaria uscì da quel PD anche per opporsi a questa vergogna.
Ci addolora, inoltre, che il campo progressista, ancora una volta, sia andato diviso, dando l’impressione di un’incapacità di fare fronte comune sui temi essenziali e di non essere davvero né coeso né intenzionato a diventarlo in futuro.
Ci speriamo e combatteremo per questo, con l’umiltà, la passione e lo spirito critico di sempre.
Il vero punto, però, è se sia salvabile una barca che sta andando alla deriva, se davvero ci sia la volontà politica di rilanciarla e liberarla dal giogo di un controllo sempre più asfissiante e intollerabile agli occhi dell’opinione pubblica. Aggiungiamo la non secondaria questione del rispetto delle norme europee, che dal prossimo 8 agosto impongono la cancellazione di una legge, quella voluta dal governo Renzi, per l’appunto, in netto contrasto con il pluralismo dell’informazione, cardine dell’europeismo migliore.
Da quest’Europa, scusateci per lo spietato realismo, ci attendiamo poco o nulla. Il fatto, tuttavia, che persino nelle condizioni date abbia avuto un sussulto di coscienza ci induce a non accantonare il sogno di tornare a vivere in una democrazia se non normale, quanto meno di natura occidentale e non orbaniana.
Attendiamo, dunque, gli Stati generali e annunciamo una stretta vigilanza sulle prossime mosse. Sapere quando si comincia ma non quando si finisce, come ha ricordato Beppe Giulietti, non induce all’ottimismo. Senza contare che il tutto avviene in una stagione nella quale nuovi bavagli si annunciano: dalle scuole alle carceri, passando per ogni forma di opposizione e di protesta. Del resto, l’attuale classe dirigente del Paese ha una matrice ben precisa, che non ha nulla a che spartire col fascismo originario, anche se a qualche giovane militante talvolta parte il braccio o qualche canzonaccia che, francamente, si potrebbe risparmiare. È il G8 di Genova, lo spartiacque nella vita pubblica del nostro Paese e, se vogliamo, il preludio dell’editto bulgaro (vedasi alla voce Enzo Biagi, cui in quei giorni fu consigliato dalla RAI di allora di riposarsi, impedendogli di realizzare due speciali: uno su Genova e l’altro sulla morte di Montanelli). Alcuni sono gli stessi di allora, altri, molti altri, sono i loro allievi.
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