L’Europa sta sbagliando tutto: non da oggi, ma oggi più che mai. Nata come progetto di pace, in nome del ripudio di tutti i conflitti che fece seguito alla carneficina della Seconda guerra mondiale, si sta trasformando nel suo esatto opposto. Sta diventando, infatti, un incubatore di guerra, come se sentisse l’odore del sangue, come se avvertisse una sorta di infatuazione per i carrarmati, come se le piacesse questo clima di tensione permanente che è alla base di tutti i guai che sta affrontando l’economia del Vecchio Continente, con la Germania ormai in recessione e gli altri paesi che seguono a ruota.
Ha ragione, dunque, il presidente della Fondazione Perugiassisi per la cultura della pace, Flavio Lotti: su un tema così importante servirebbe l’unità nazionale. Purtroppo, non ci sarà. Prevalgono, difatti, interessi meschini, titubanze, accordi sottobanco, paure, pura e semplice e ignoranza, come se la guerra fosse una battaglia con i soldatini, un videogioco, un film. Si parla di circa un milione di morti, in due anni e mezzo di massacro fra russi e ucraini, ma anche questa notizia è passata quasi sotto silenzio. Intere città sventrare, un paese, l’Ucraina, che rischia di non avere un futuro, profughi, sfollati, mutilati: tutto passa in secondo piano di fronte alla furia bellicista.
L’argomento, insensato e puerile, è sempre lo stesso: Putin ha compiuto un’invasione. Grazie, lo sappiamo. Putin è anche il responsabile di molti altri misfatti su cui, in vent’anni, siamo stati fra i pochi ad alzare la voce, mentre gli anti-putiniani dell’ultim’ora plaudivano e lo dipingevano come uno statista. Ribadiamo per l’ennesima volta, pertanto, che da questi personaggi non accettiamo lezioni morali. Ciò premesso, la pace, o quanto meno la tregua, si può siglare solo col nemico. Pensare di giungere alla sconfitta di Mosca significa, al contrario, far precipitare il pianeta in un baratro del quale, evidentemente, non si ha alcuna coscienza.
Non entriamo nel merito delle questioni italiane: l’atteggiamento di determinati partiti si commenta da solo e non è nostra intenzione spargere sale sulle ferite. Ciò che conta, piuttosto, è riflettere sulla deriva in corso, su un piano inclinato che rischia di condurci al punto di non ritorno, su una crisi che potrebbe condurre quel che resta dell’Unione Europea alla rovina. Non lo stiamo capendo, anche perché l’informazione sta dando il peggio di sé, fra la denigrazione dei pochi che si ostinano a scrivere la verità, trattati come Cassandre o, peggio ancora, come amici del despota russo, e l’esaltazione dei guerrafondai da divano, coloro che, come nel Novecento, tifano guerra sapendo che non saranno né loro né i loro familiari a pagare il prezzo della barbarie.
Per tutte queste ragioni, domani, come Articolo 21, saremo nuovamente ad Assisi. In marcia per la pace, per i diritti, per il domani. In direzione ostinata e contraria rispetto alla follia cui stiamo assistendo con sgomento. Con la speranza, ormai remota, che qualche coscienza si risvegli.
Con la certezza gramsciana che, di fronte all’inutilità di questa strage, non si possa far altro che rimettersi a studiare e ripartire daccapo. Con la serenità di chi sa di essere nel giusto. È una magra consolazione, ma è lunica risorsa che abbiamo e la useremo. Cittadine e cittadini, per quanto male informati, non si lasceranno ingannare ancora una volta. La realtà ha la testa dura e tende a prevalere sulle menzogne, anche se lo scontro fra questi due elementi di solito genera disastri, primi fra tutti l’astensionismo e il rifiuto della politica.
Tutte e tutti ad Assisi: non dobbiamo arrenderci.