Angelo Vassallo, 14 anni dopo ancora senza verità e giustizia

0 0

Sull’assassinio di Angelo Vassallo, l’ex sindaco di Pollica ucciso 14 anni fa da mano sconosciuta, siamo ancora lontani dalla verità e dalla giustizia.
I familiari per cercare di scuotere il torpore degli inquirenti diedero l’ok a un servizio realizzato nel 2019 da Le Iene che ad oggi resta la testimonianza giornalistica più completa sull’omicidio. Gli inviati della trasmissione partendo dalla notte in cui Vassallo è stato assassinato hanno provato a dissipare i buchi neri su ciò che è realmente accaduto.
Mentre tornava a casa in auto quella notte del 5 settembre del 2010, qualcuno aveva avvicinato Vassallo e gli ha sparato nove colpi di pistola.
Vassallo è stato colpito in una stradina di campagna che di notte è buia e isolata. La macchina era ferma a bordo della strada e dalla dinamica sembra che il sindaco si fosse fermato volontariamente, come se conoscesse il suo assassino. “Non è una macchina che è stata costretta a fermarsi bruscamente”, dice l’ex pm antimafia e avvocato di parte civile della famiglia Vassallo, Antonio aggiungendo: “Lui ha decelerato e si è fermato per parlare con qualcuno”.

I racconti

“Lui sarà rimasto sorpreso: non se l’aspettava una cosa del genere”, racconta a Golia la vedova di Vassallo. Secondo la polizia scientifica, l’aggressore spara con una pistola piccola e facile da nascondere: l’arma non è mai stata ritrovata. Il primo colpo è già fatale: gli altri vengono sparati quasi con rabbia, per infierire sul corpo senza vita. “Hanno sparato allo Stato”, dice l’ex segretario comunale. Non si è mai arrivati alla verità su quanto accaduto, forse anche perché la scena del delitto sarebbe stata compromessa: “C’era un solo carabiniere e tanti curiosi che stavano a guardare”, racconta il figlio di Angelo. “C’era un via vai di gente che andava e tornava mentre il corpo era ancora in macchina”, dicono gli abitanti di Pollica. “La manomissione era molto semplice”, aggiunge Ingroia. A questo si somma un fatto strano, riportato dal Fatto Quotidiano: i carabinieri si presentano in borghese a casa Vassallo all’insaputa dei pm. “Non risulta che fossero operanti e incaricati delle indagini”, spiega Ingroia. “Non c’è un decreto di perquisizione o un verbale, c’è solo una relazione di servizio, cioè un atto interno. Come minimo è strano, se vogliamo dirla tutta è grave”. Non si sa se quei carabinieri in borghese, ammesso che fossero tali, abbiano portato via qualche documento di Vassallo. Nessuno sa cosa sia successo davvero in quella visita.

A ogni modo, si sa per certo che Vassallo si era creato molti nemici con la sua azione da sindaco. Quando era necessario si rapportava con il procuratore Alfredo Greco di Vallo della Lucania. E proprio il giorno dell’omicidio il sindaco chiama il pm, chiedendogli di incontrarsi urgentemente. Il procuratore gli dà appuntamento per il giorno successivo, ma Vassallo viene assassinato la notte stessa. “È probabile che avesse conosciuto dei fatti non comodi, che hanno scatenato una reazione. Ma cosa aveva scoperto?” si domanda l’attuale sindaco di Pollica Stefano Pisani. Ma chi riguardava quella scoperta? Nessuno lo sa per certo. Tutte le piste possibili vengono esplorate: presto le indagini si indirizzano sulla strada della droga, perché la movida della frazione di Acciaroli sembra ne avesse portata molta nel comune di Pollica. E Angelo Vassallo aveva cercato di contrastare in tutti i modi gli spacciatori. “Aveva chiesto il supporto dei carabinieri,ma se ne sono fottuti” dicono gli abitanti di Pollica a Giulio Golia. Il sindaco sarebbe arrivato quasi allo scontro con la stazione, chiedendo perfino l’intervento del comando generale. Le indagini si concentrano su uno spacciatore di origini brasiliane, arrivato da poco tempo a Pollica all’epoca dell’omicidio e con cui Vassallo aveva avuto uno scontro verbale: fu visto ad Acciaroli la sera dell’omicidio, per poi andare in Sudamerica solo due giorni dopo la morte del sindaco. Ma non fu mai trovato nessun riscontro oggettivo: oggi questo spacciatore è in carcere per reati legati alla droga, ma la sua posizione per l’omicidio di Vassallo è stata archiviata ben due volte.

“C’è stata una regia ben precisa che ha dirottato le indagini su questo brasiliano e ha fatto perdere agli inquirenti almeno tre anni”, ci dice il fratello di Angelo Vassallo. Che cosa avrebbe dirottato le indagini? L’annotazione di servizio di Fabio Cagnazzo, colonnello dei carabinieri all’epoca comandante della stazione di Castello di Cisterna vicino a Napoli. Nel curriculum del colonello c’è una lunga storia di lotta alla camorra: conosceva Acciaroli anche perché d’inverno era una delle località protette dove venivano inviati i pentiti di cui si occupava. E questo via vai di camorristi, sebbene pentiti, complica ancora di più il quadro della situazione. Quell’estate Cagnazzo finì nella bufera mediatica per le accuse di un pentito, secondo cui il colonnello era stato corrotto: le accuse, però, si rivelarono infondate. Nei giorni dell’omicidio di Vassallo Cagnazzo si trovava ad Acciaroli. “Dopo l’omicidio cercava di capire, raccolse anche alcune deposizioni”, racconta il figlio del sindaco, ma sembra che il colonnello non avesse ricevuto alcun mandato dalla magistratura. Cagnazzo, di sua iniziativa, avrebbe acquisito le immagini delle telecamere di sorveglianza di un negozio che davano sull’esterno, che hanno ripreso le ultime immagini del sindaco in paese. “Le immagini le porta a Castello di Cisterna per analizzarle”, sostiene il fratello di Vassallo. “Le dà alla magistratura dopo qualche giorno. È venuto fuori che sempre in quella caserma di Castello di Cisterna c’era Lazzaro Cioffi, arrestato perché era un confidente del clan Fucito”.

Il mistero

Sulla notte dell’omicidio c’è poi un’altra stranezza, che riguarda ancora un altro carabiniere. “Una persona che alloggiava a distanza di venti metri” dal luogo dell’omicidio “non ha sentito i colpi di pistola: quella persona era un carabiniere”, racconta il figlio. Giulio Golia fa la prova per capire se è davvero possibile non aver sentito gli spari, gridando dal punto dove Vassallo è stato ucciso: il proprietario della casa lo sente e si affaccia dalla finestra. La Iena allora lo incontra: “Qui si sente tutto”, racconta, e sembra stupìto del fatto che il carabiniere non abbia udito nulla. Dopo l’omicidio, il primo a chiedere qualcosa al militare sarebbe stato proprio Cagnazzo: sembra inoltre che il colonnello sia andato accompagnato da civili, che non avevano alcun ruolo nelle indagini. Cagnazzo, nonostante un alibi di ferro per la notte dell’omicidio, resta un sospetto. Giulio Golia lo va a trovare a Frosinone, dove all’epoca era comandante provinciale: “Nessuno può mettersi nei miei panni, io ho fatto il mio lavoro come Cristo comanda”, esordisce. “Io sono un coglione, perchéquando è successo quel fatto mi dovevo fare i cazzi miei. Io ho fatto la relazione di servizio, con quello che mi aveva raccontato la gente”. In quella relazione appare anche il nome dello spacciatore brasiliano. Il colonello respinge ogni illazione su un suo eventuale coinvolgimento nella morte di Angelo Vassallo: “Ma io contro di lui cosa avevo? Niente, niente di niente”. La Iena poi gli chiede perché fosse andato a parlare insieme a un civile con il carabiniere nella casa vicina al luogo dell’omicidio: “Mi aveva attivato il procuratore il comando generale, dopo. Nell’immediatezza dell’omicidio mi attivò Alfredo Greco”. Cioè il procuratore che per primo arrivò sul luogo del delitto. Per quanto riguarda le telecamere, Cagnazzo dice che se non le avesse prese lui sarebbero andate perdute. A distanza di 14 anni, le indagini continuano tra mille dubbi e sospetti. Poche settimane fa i carabinieri sono tornati a Pollica a chiedere nuovamente le immagini delle telecamere di quella sera. “Angelo non può essere un mistero italiano, altrimenti consegniamo al Paese un elemento molto grave: le persone normali possono essere dimenticate. E lui ha invece dimostrato che le persone normali possono cambiare il mondo” conclude Pisani.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21