BASTA VIOLENZA SULLE DONNE - 25 NOVEMBRE TUTTI I GIORNI

L’8 novembre, nel giorno della sua nascita, assegniamo la cittadinanza onoraria ad Alain Delon

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« Alain Delon ça ?! »  “Quello è Alain Delon?! Impossibile!”  Così l’attore mito di Francia mimava in un’intervista televisiva di fine agosto lo stupore di chi, presto o tardi, avrebbe stentato a riconoscerlo per strada. A quel deprimente traguardo, assicurava, lui non sarebbe mai arrivato. Aveva compiuto settant’anni e per chiarire definitivamente la lugubre intenzione, rincarava a sorpresa sui giornali di metà settembre: “Non deciderà Dio il giorno della mia morte!”

Così si esprimeva l’attore incalzato dalla vecchiaia, dalla mancanza di motivazioni, dal dissolversi delle dolci compagne, delle fanciulle in fiore che non ti guardano più battendo a ventaglio le ciglia con gli occhi umidi di attesa.

Ma io sono persuaso che un metodo ci sarebbe per soddisfare a posteriori il bell’Alain: nominiamolo cittadino onorario di Rimini! Regaliamogli noi una sostanziosa proroga all’oblio attraverso il personaggio di uno dei titoli più belli della sua filmografia, La prima notte di quiete, ovvero l’abbraccio fatale con la tanto corteggiata comare secca. Non vogliamo che sparisca dalla scena! E neanche che sparisca Valerio Zurlini, il suo creatore, nell’indimenticabile film del ’72: quel Daniele Dominici che tanto ci manca, accidenti se ci manca!, oggi che Rimini è ingigantita a una metropoli turistica quasi irriconoscibile.

Alain Delon, Giancarlo Giannini, Sonia Petrova, Adalberto Maria Merli, Lea Massari, Alida Valli, Renato Salvatori, ci sono rimasti incastonati nel cuore, agendo in quella dolce storia di corruzione così saporosa di mare, di brume serali, di noia, di notturne sfide a carte, di amori logorati, di nevrotici o teneri squali di provincia, di ragazze precocemente perdute, di acide madri mezzane, di licei in cui si parla di poesia.

Ma ci credereste, di poesia!

Ascoltate me, oggi Daniele Dominici è perfetto per il ruolo di crepuscolare portabandiera di una città dalle tante sfaccettature affascinanti e sfuggenti. Forse più attuale oggi che non allora, nel ’72, quand’era un professore dalla bellezza oltraggiosa perso dietro la sua sublime alunna di liceo Vanina Abati, con quei capelli lunghi, neri e lisci, le minigonne malandrine, gli stivali sopra il ginocchio, i freddi letti di amori velenosi.

Caro Alain, sebbene siano trascorsi più di cinquanta anni non ci siamo certo dimenticati del tuo cappotto cammello indossato, con il bavero rialzato, direttamente sullo sformato maglione dolcevita. Né il profumo acre delle tue sigarette di tabacco nero, che i più snob chiamavano alla francese papier mais per via della cartina giallognola. E meno che mai della vecchia Citroën d’anteguerra, vasta e sfiatata come una pronuba carrozza, su cui da bel tenebroso vagavi per le strade della cittadina suscitando l’ilarità – invidiosa – dei nuovi ricchi a digiuno di stile.

Eppure, a loro dispetto, per quella nobile carretta la soave e corrotta Vanina aveva tradito la ruggente Lamborghini Miura dell’amante ‘faccia da schiaffi’ Gerardo Pavani (Adalberto Maria Merli). Il quale, triviale come ogni maschio viziato e insicuro, la aggrediva con gergo becero da scaricatore: “Cosa c’ha lui più di me, eh? Questo?!” E faceva il gesto sguaiato del manico. Ottenendo dalla ragazza afasica un’unica risposta laconica, bruciante e definitiva: “Mi ha parlato.”

Un precipizio sotto i piedi, una nera voragine che si spalanca fra il mondo maschile fallocentrico, identificato quasi esclusivamente con l’erezione, e l’universo imperscrutabile delle donne, ben contente di essere possedute, purché da uomini capaci di rivolgersi anche alla loro anima.

Non so se un professore meno bello di Delon avrebbe sortito lo stesso risultato, ciò che conta è che lui non si è fermato a quel traguardo irrinunciabile che solo sta a cuore agli altri compari della débauche insolente. Daniele pretende anche il resto da Vanina; e lei se ne innamora, imprigionandogli il cuore. Ne seguirà la tragedia che tanti già conoscono, ma dal momento che siamo in zona pellicola, preferisco arrestare la moviola.

Al prof. Dominici basterà sfoderare sui manifesti la sua faccia da mascalzone francese per essere eletto a furor di popolo cittadino riminese. E non soltanto perché è stato un divo di celebrità planetaria, ma assai più per la sua figura di eroe romantico, positivo, capace di sollevare nei viali della città una nuova ventata di sentimenti ancora non estranei a molti suoi abitanti: l’onestà, la dignità, il lirismo, il sacrificio, la nobiltà nascosta, l’amore struggente, il turbamento inconfessabile. Di cui, confessiamolo, nessuno può fare veramente a meno, se non a costo di un gravissimo, patologico malessere.

Il vitello d’oro è stato da un pezzo fuso, rifuso e saccheggiato.  Bisogna trovare la forza di immaginarsi un nuovo futuro, a schiena dritta. Accogliamo tra noi Alain Delon con il nome di Daniele Dominici, e con quel bel visino da impunito con cui Tancredi nel Gattopardo faceva disciogliere – beato lui! – l’abbagliante Angelica, incarnata nel senso più sensuale della parola da Claudia Cardinale. E non vi sto a raccontare che cosa accadeva sul set durante la lavorazione del film, in cui persino Burt Lancaster, promosso a Principe di Salina dai vistosi virilissimi favoriti, si arrovellava di gelosia a causa sua, per tutte le attenzioni che Luchino Visconti, ineluttabilmente, riservava al capriccioso, tormentato transalpino. Ci raccontava tutto, dal vivo, l’ineffabile Pietro Notarianni, già organizzatore generale dei film di Visconti prima che di Fellini, il quale nell’appartato residence di via Po nascondeva, e apriva a richiesta, la sua sconfinata bisaccia di confidenze irriferibili.

Insomma quel bel ceffo da baci, quella prosopopea da gangster dal cuore onesto, la ‘faccia d’angelo’ che Delon poteva sfoggiare rischiando la vita per il trionfo del bene, è qualcosa a cui, ammettiamolo onestamente tra noi, non è lecito rinunciare.

Datemi retta, riportiamo l’amore a lettere maiuscole in questa città favorita dalla sorte, non lasciamola intristire senza un sano ricostituente di romanticismo cinematografico, teniamoci pronti a innalzare cartelli: Alain Delon, for Rimini!  


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