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La secessione mediatica di Calderoli

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Il percorso del disegno di legge con la firma del ministro Calderoli ha raggiunto il suo (effimero?) traguardo parlamentare. Ora non resta che il referendum abrogativo. Le speranze che il pasticciaccio che spacca l’Italia sia battuto sono ampie, grazie al vasto movimento organizzatosi contro un testo volto a dividere il paese tra aree di maggior benessere e situazioni – a partire dal Mezzogiorno – condannate a disagi e povertà. Inoltre, dopo i risultati del voto per le elezioni europee che hanno indebolito la Lega di Salvini, la forza negoziale di quest’ultima nella stessa maggioranza di governo si è indebolita. E, quindi, chissà. Ovviamente, gli argomenti della devoluzione di più forte eco pubblica sono la scuola e la sanità. In particolare, è proprio attorno a simili vitali questioni che è ben difficile dipanare il gomitolo dei cosiddetti LEP (livelli essenziali di prestazione), cui si riferisce il Titolo V della Costituzione secondo la revisione del 2001. Tra l’altro, il dibattito sui LEP è ormai solo un alibi. Però, è bene non perdere di vista il capitolo dell’ordinamento della comunicazione, oggi assai importante nello scenario dei poteri e nella trama del capitalismo delle piattaforme e dell’intelligenza artificiale. Quando fu concepita quella novella – immaginata per sussumere la Lega (di Bossi, all’epoca) nell’arcipelago del centrosinistra – lo scenario era assai diverso. I confini dell’universo mediatico venivano sostanzialmente disegnati dall’editoria, dalla radio e dalla televisione analogiche, dall’ascesa delle telecomunicazioni nella sequenza precedente al predominio degli oligarchi della rete, i cosiddetti Over The Top. In quel passaggio il problema fu affrontato frettolosamente, tant’è vero che in una prima stesura la potestà sui settori evocati diveniva un’attribuzione esclusiva delle autonomie locali. Vi fu nella discussione un compromesso, che mise il comparto nella sovranità concorrente tra l’autorità centrale e quelle decentrate. Se entrasse in vigore adesso il pasticcio di Calderoli, faremmo un brusco salto all’indietro, con un ridimensionamento di ogni velleità di autonomia e sovranità nazionale. Finiremmo nella parte bassa della classifica nei settori interessati, dove già navighiamo in acque difficili secondo gli standard ufficiali. Il rischio non sarebbe solo l’appalesarsi di reti a pois, come del resto in parte è avvenuto con affidamenti ad imprese territoriali dell’implementazione delle trasmissioni digitali o della banda larga e ultralarga. Il quadro diverrebbe definitivamente assurdo e rischioso per le industrie e i servizi. Le reti non necessariamente dialogherebbero e il sistema attuale delle licenze nonché delle autorizzazioni generali potrebbe saltare. Il digital devide subirebbe un’impennata, essendo schiacciante la differenza nelle densità tecnologica tra Nord e Sud (per non dire delle Isole), e tra le stesse diverse zone settentrionali. I segnali radiotelevisivi andrebbero in aree limitrofe in difficoltà, per le non improbabili sovrapposizioni e per gli inevitabili sconfinamenti delle onde hertziane. Se si inquadra il tutto nello scenario tecnologico attuale, oppure nella parabola del sistema a partire dai riassetti (vedi Tim) in atto, si comprende quale pericolo si nasconda nell’azione di governo e maggioranza. Si tratterebbe, per riassumere, di uno spezzatino dell’Italia, così ancora più indebolita davanti all’invasione degli evocati Over The Top e dei nuovi padroni dell’infosfera. E sottolineiamo, ancora, il pericolo davvero certo, senza sottovalutare quelli potenziali cui si è accennato. La Convenzione decennale tra lo Stato e la Rai – rinnovata con Decreto del Presidente del Consiglio del 28 aprile 2017 – scadrà nel 2027. In simile occasione è altamente probabile che si scatenerà, se l’Autonomia sarà in vigore, la volontà di alcune Regioni benestanti e forti di decidere di mettersi in proprio, con società pubbliche territoriali finanziate da una quota dei proventi del canone di abbonamento e della raccolta pubblicitaria. Ma ciò avverrebbe senza un’entità sovraordinata come l’ITV Network nel Regno Unito o l’ARD in Germania, capace di uniformare gli obblighi fondamentali che giustificano il soggetto pubblico e gli specifici Contratti di servizio che ne chiariscono i compiti e gli obiettivi.
Inoltre, un effetto della pessima normativa in fieri è la divisione tra chi sarà in grado di costruire torri e impianti di collegamento e chi no. E che fine faranno le risorse del Fondo per l’editoria e l’innovazione? Un altro spezzatino? Le emittenti locali, ridimensionate per la cessione di una cospicua quota di frequenze alla telefonia, subiranno un’altra ferita. Insomma, senza il tessuto nervoso delle comunicazioni (vecchie e nuove) lo Stato nella sua accezione politica e culturale- si indebolisce enormemente fino ad estinguersi. L’apparato informativo, nella lettura ampia del termine, è il prolegomeno di tutto il resto. Un diritto dei diritti.


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