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L’ostilità della “rete nera” per la democrazia

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C’è un Grande Fratello d’Italia super gallonato che ha anticipato l’autonomia differenziata in una delle materie più sensibili e controverse, i rapporti con l’estero: è Maurizio Marrone e lo ha fatto da consigliere regionale del Piemonte fin dal 2016, sostenendo in maniera significativa l’apertura a Torino niente meno che della (sedicente) Rappresentanza diplomatica della Repubblica popolare di Donetsk, con tanti saluti all’integrità dell’Ucraina.
L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia putiniana era di là da venire (anche se la Crimea era già stata occupata dagli “omini verdi”), ma tutto l’Occidente democratico era ormai agitato dai tifosi della svolta illiberale della democrazia, la “rete nera” della quale ha più volte scritto magistralmente Luca Mariani si stava muovendo con grande sagacia.
La “Rete nera” ha le proprie radici ideologiche nelle tragiche esperienze del nazi-fascismo novecentesco e coltiva, ora con prudenza, ora con spudoratezza, la propria dichiarata ostilità nei confronti delle democrazie “aperte” fondate sull’uguaglianza e quindi necessariamente sul pluralismo, cioè sulla concorrenza di più partiti al governo della cosa pubblica. Ai “neri” questa democrazia fa schifo, perché non sopportano che possano convivere modi (almeno relativamente) differenti di stare al Mondo, tutti ugualmente legittimati a partecipare alla vita pubblica. L’odio verso i “diversi” ne è costante bandiera identitaria: l’odio che trasuda dai “pori” della Gioventù meloniana mostrata da Fanpage, come quello studiatamente banale del “normalizzatore” Vannacci, neo leader di partito. Sul piano internazionale i profeti dell’odio verso la convivenza delle differenze sono personaggi inquietanti alla Bannon, alla Trump, alla Orban, personaggi che probabilmente troverebbero molti spunti di riflessione nel “manifesto” politico scritto e diffuso dal neo nazista Breivik poco prima di assassinare a sangue freddo 69 giovani laburisti norvegesi il 22 Luglio del 2011 sull’isola di Utoya nei pressi di Oslo, ritenuti nemici della nazione perché portatori di valori come laicità, pluralismo, uguaglianza. Ai “neri” piace credere che futuro, prosperità e libertà passino dal superamento del “molliccio” egualitarismo relativista, in cui non si capisce più nemmeno chi sia maschio e chi sia femmina, piace pensare che alla “notte in cui tutte le vacche sono nere”, si sostituisca l’alba dorata dove, chiarita la indiscutibile e naturale identità di ciascuno, sia altrettanto evidente chi debba ritenersi depositario della volontà del “popolo” e chi no. Chi debba comandare e chi ubbidire. Intendiamoci: l’insofferenza verso la “palude” dell’egualitarismo relativista non è soltanto dei nostalgici del nazi fascismo, ma è trasversale a quanti ritengono che uno sia il popolo “eletto”, una sia la verità sulla realtà e uno sia di conseguenza il modo per governare popolo e realtà. Questi “destri” probabilmente provano più simpatia per la Cina del Partito unico comunista o per l’Iran degli Ayatollah, che per Piero Gobetti.
Gonfiano il petto questi neri illiberali raccontandoci che la loro “rivoluzione” è contro il “mandante occulto” delle democrazie “aperte” è cioè il grande turbo-capitalismo finanziario che pilota le vite di tutti noi, rendendoci imbelli consumatori. Peccato che il loro massimo mentore in questo momento sia esattamente un turbo capitalista globale come Elon Musk, accolto come un capo di Stato da Meloni e Salvini in Italia.
Tornando al grande fratello Marrone, l’apertura a Torino nel 2016 della rappresentanza diplomatica della Repubblica popolare di Donetsk (oggetto di una interrogazione parlamentare a mia prima firma nel 2017), aldilà di ogni altra considerazione sul travagliato rapporto tra Ucraina, Russia, UE e USA, ha senz’altro avuto il significato di mandare un messaggio, di ribadire una sintonia, di stringere i nodi di questa rete internazionale che lavora per il superamento della democrazia liberale basata sull’incomprimibile dignità di ogni individuo. Maurizio Marrone, già indiscusso protagonista della prima Giunta Cirio in Piemonte lo è ancora di più nel “Cirio bis”, uscito vittorioso dalle elezioni di giugno 2024, confermato assessore (ma non alla Sanità, come ci si sarebbe potuto aspettare) e soprattutto punto di riferimento politico per Fratelli d’Italia in Regione, almeno tanto quanto quell’altro campione di melonismo che è il sotto segretario alla Giustizia, il biellese Andrea Del Mastro, del quale le cronache non riescono proprio a smettere di occuparsi.
E così arrivo al punto.
Le contraddizioni dentro il Governo Meloni sono destinate a deflagrare in maniera definitiva nelle prossime settimane e le armi italiane adoperate da Kiev in territorio russo, saranno probabilmente molto più dirompenti della serrata degli ombrelloni: non sono soltanto uno spartiacque tra partiti della maggioranza (come in tanti hanno messo in evidenza), sono soprattutto uno spartiacque dentro Fratelli d’Italia. Lo hanno capito Forza Italia e la famiglia Berlusconi, che infatti non perdono occasione per distinguersi, picconando da un lato ed ammiccando dall’altro. Lo ha capito Giorgia, alla quale per questo potrebbe proprio fare comodo agitare il fantasma del complotto ordito contro Arianna, tempestivamente denunciato da Sallusti e gagliardamente commentato dal fido Donzelli.
Resterà poi ai democratici liberali la sfida più grande di abolire guerra ed imperialismo. Che è sfida ben superiore a quella di vincere le prossime elezioni.

 


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