Troppo impegnati ad odiare chi “è diverso dal normale” e a progettare ponti impossibili per ricordare, come tutti avremmo dovuto, il ritrovamento del cadavere di Giacomo Matteotti, esattamente cento anni fa, il 16 agosto 1924. Quel corpo, abbandonato in un terreno a Riano Flaminio, periferia di Roma, è stata anche la prova inconfutabile del punto più basso raggiunto dal fascismo. Ora lo sappiamo: il deputato socialista non fu sequestrato e ucciso dalle squadracce fasciste per ordine di Benito Mussolini (come lui stesso ammise pochi mesi più tardi) “solo” in quanto oppositore che gridava ai brogli elettorali, bensì e forse ancor più in quanto stava per rivelare i dettagli e le prove di una tangentopoli degli Anni Venti tutta a carico dei gerarchi del regime, incluso il fratello del duce, Arnaldo Mussolini. Insieme a Matteotti, al suo corpo, scomparvero anche le carte che il Parlamentare aveva raccolto, per riemergere in seguito a testimoniare e a provare quello che fu un delitto di regime volto a coprire lo scandalo delle tangenti. Già, le mazzette, il male italiano più diffuso, mai sconfitto, mai combattuto per davvero. La corruzione in Italia tocca ancora adesso livelli sudamericani e siccome è difficile da combattere anche oggi, un secolo dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, si sta cercando di nasconderla, con le leggi bavaglio, o di attenuarne le conseguenze, con la modifica dei reati spia e la possibilità di procedere con misure cautelari. Riflettere su quanta conoscenza, quanta “cronaca”, quanta informazione ci ha tolto il delitto Matteotti è parte dell’analisi complessiva di quella storia. E’ stato ucciso un politico scomodo ma anche un giornalista rigoroso e gli italiani non hanno saputo della corruzione dei gerarchi fascisti fino ai massimi livelli se non molto tempo dopo. I depistaggi, la spocchia, il vittimismo mostrato dal Governo di quell’epoca sono di una drammatica attualità. Il fatto poi che il centenario della morte di Matteotti non sia mai entrato davvero nel calendario politico-istituzionale è la prova di quanta fatica costi al Governo in carica pronunciare la parola fascismo e corruzione messe insieme.