In questo nuovo evo cattivista, nel quale il nostro Paese è pienamente immerso, si è ormai affermata l’idea che il carcere, anziché un luogo di rieducazione, debba essere sostanzialmente un luogo di tortura. A una buona parte dell’opinione pubblica, infatti, non basta più che i detenuti siano privati della libertà: si avverte un crescente compiacimento nei confronti delle condizioni inumane e degradanti, ai limiti della tortura per l’appunto, nelle quali sono costretti a vivere. Anni e anni di pessima informazione, politici con la bava alla bocca e ferocia sparsa a piene mani ovunque, a cominciare dai talk televisivi, hanno infatti convinto la cosiddetta “brava gente” della necessità della palla al piede, del condannare degli esseri umani a “marcire”, della bontà di “buttare via la chiave” e di un’altra serie di espressioni di crudeltà gratuita che andrebbero bandite dal lessico civile e non dovrebbero mai trovare posto in una trasmissione o in un articolo di giornale. Di civile, tuttavia, in quest’Italia afflitta dalla barbarie, è rimasto ben poco. I suicidi in carcere non suscitano alcuno sdegno; al massimo, qualcuno si indigna quando a togliersi la vita è un agente penitenziario, dato anch’esso in aumento, ma per chi ha sbagliato non c’è pietà; se va bene, indifferenza. E allora, ancora una volta, mi rivolgo al cosiddetto “campo progressista”. Se deve nascere, e me lo auguro di cuore, difatti, non può essere gravato da discussioni insulse e politicismi da quattro soldi. Deve basarsi, al contrario, su principî solidi e su un progetto condiviso per il futuro del Paese.
Posto che un certo giustizialismo ha caratterizzato il centro-sinistra nel suo insieme, acuito ahinoi dalle peculiari caratteristiche della stagione berlusconiana, ci occupiamo soprattutto del M5S. Giuseppe Conte, quando ne ha assunto la guida, ha parlato espressamente di “cura delle parole”. Non potremmo essere più d’accordo. Aggiungeremmo, però, la cura delle persone. Il partito contiamo, infatti, è stato scelto, e continua a essere votato, soprattutto in quelle zone in cui, per citare De André, “il sole del buon Dio non dà i suoi raggi”. Tra i parlamentari più validi eletti nelle file di quella compagine, risultano uomini e donne che provengono da quartieri difficili e che sono stati scelti proprio perché hanno promesso, e in larga misura dimostrato, di sapersi e di volersi prendere cura del dolore e della sofferenza degli ultimi. Ebbene, in realtà come Scampia o come certe zone della Calabria e della Sicilia il miracolo è non perdersi, specie per i giovani. E lì non si può intervenire con la repressione, che oltretutto serve a poco, spesso unicamente a a trasformare dei soggetti a rischio in manovalanza al servizio delle organizzazioni criminali, ma con la scuola, con il lavoro, con opportunità vere e non solo di facciata. L’abolizione del Reddito di cittadinanza, da questo punto di vista, aggrava la situazione, in quanto getta nella disperazione dei poveri cristi che, grazie a esso, erano riusciti a riacquisire un minimo di dignità, tornando a credere nella presenza dello Stato e nella sua funzione imprescindibile e, magari, persino a votare.
Di fronte a una classe dirigente con questa storia alle spalle e questo elettorato negli occhi, sarà bene dunque che Conte ponga al centro della Costituente d’autunno un aspetto essenziale: il superamento definitivo della stagione manettara, dei “Vaffa”, delle liste di proscrizione, delle accuse a vanvera scagliate a dritta e a manca e degli eccessi che hanno reso a lungo inaffidabile, agli occhi di molti, un soggetto politico di cui, invece, l’Italia ha bisogno.
Pietà, cura, comprensione, vicinanza, rieducazione, istruzione, riscatto sociale, gentilezza, attenzione e tutela: le parole, in politica, sono fatti, e quando ci si occupa di una realtà come quella del carcere diventano addirittura macigni.
Con l’ingresso in The Left e il rapporto sempre più stretto con AVS, partito che vede nelle sue file Ilaria Cucchi e Ilaria Salis, non dovrebbe essere difficile per il partito di Conte trovare la strada giusta.
Da questo esecutivo non ci aspettiamo nulla. Li conosciamo, li abbiamo visti all’opera, ne conosciamo il passato, l’ideologia e la visione del mondo. Sappiamo come siano fatti e cosa vogliano. Per loro, sostanzialmente, non c’è redenzione per il reprobo. E quando, a inizio legislatura, scrissi espressamente che avrebbero prodotto una “mutazione antropologica del Paese”, mi riferivo innanzitutto al clima che si sarebbe venuto a creare, con troppe persone convinte, ad esempio, che dietro le sbarre ci siano dei rifiuti e che la repressione selvaggia sia il miglior modo per garantire la propria sicurezza. È vero esattamente il contrario, ma spetta all’opposizione compiere un’operazione di contro-informazione e costruire una narrazione alternativa, capace di scardinare un modello che mette a repentaglio il nostro stare insieme.
Se è vero che la dignità di una nazione, si vede dal livello delle sue carceri, duole dirlo, ma l’Italia l’ha perduta. Mutuando una riflessione di Carlo Rosselli, tuttavia, noi possiamo vantarci di essere “traditori coscienti” di questa Patria perché ci sentiamo fedeli a un’altra Patria: quella i cui valori sono tuttora scritti nella Costituzione anti-fascista nata dalla Resistenza.
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