Codici per accedere al presente e a ciò che siamo stati, per individuare nel proprio personalissimo archivio emotivo quei momenti, esplosi come bengala in cieli oscuri, atti a condizionare lo svolgimento della vita: sono queste Le parole d’ordine di Andrea Dei Castaldi, intrigante e riservato autore che pubblica il suo quarto romanzo sempre per Barta edizioni.
Come il precedente Anime brevi, che nasceva durante una lunga parentesi sudamericana, anche quest’ultimo romanzo si colloca dentro un’esperienza personale destinata a lasciare impronte profonde: la malattia e la morte del padre vissute dapprima come guerra e sofferenza e infine come atto di fede nei confronti della vita e dei suoi immancabili orizzonti di luce. Non siamo di fronte a romanzi autobiografici ma a lavori che sgorgano da circostanze forti che scuotono e costringono allo spossante abbandono ad una scrittura risarcitoria.
Oreste, Stefano, Domenico e John si ritrovano dopo trentasette anni. Sono stati convocati e riuniti dalla giovane Olga, nipote del primo. L’occasione è quella della consegna di una medaglia al valore per l’eroico coraggio dimostrato durante la campagna d’Africa allo zio Oreste, ormai molto fiaccato dalle malattie. Medaglia che giunge, per affanni burocratici, dopo tanto di quel tempo e di quegli accadimenti, compresa la militanza di Oreste nelle truppe partigiane, da non avere più senso per chi dovrebbe riceverla. E infatti il destinatario vi rinuncerà ma il ritrovarsi dei quattro uomini sarà, in modi diversi per ciascuno di loro, un’opportunità che potrebbe trasformarsi in atto catartico. Ad accomunarli, infatti, è la tragica esperienza bellica e il casuale intreccio delle loro esistenze in condizioni estreme. A ben guardare, anche questi personaggi sono “anime brevi” nella maniera intesa da Dei Castaldi, cioè esseri umani sopravvissuti dopo la perdita della parte più preziosa di sé, che sia essa un mancato amore giovanile, un pezzo del proprio corpo martoriato, la fede che vacilla di fronte all’insensatezza della guerra o il senso dell’onore militare e del dovere nei confronti della patria poco importa. Vivere comporta anche questo, lasciare lungo il tragitto parti di sé e proseguire il cammino, ma senza fuggire da se stessi, senza mai rinnegare un passato che tanto riemergerebbe comunque, violento e doloroso, anche a distanza di molto tempo.
Tra tutti Oreste è il personaggio più enigmatico, chiuso nel proprio buio dal momento in cui, ancora bambino, per salvare il fratello minore dall’annegamento, si ritrova a tu per tu con la morte. Continuerà a camminarle accanto senza temerla, pur incontrandola e respirandone il fiato più e più volte nel corso della vita. Non si farà donare il cavallo più veloce che c’è come il soldato di Roberto Vecchioni, Oreste sa di non poter sfuggire alla propria Samarcanda, sa che quando la nera signora vorrà prenderlo con sé non potrà fare altro che abbandonarsi ad essa. Come nelle tragedie greche il Fato non è eludibile. Di Oreste sapremo sempre poco e quel buio, vivificato da un’incrollabile attaccamento alla vita, resterà fitto e conturbante, ma lui è il perno intorno al quale l’autore ricostruisce i ricordi di tutti gli altri – un medico inglese, un giovane cappellano, un capitano – che in simmetrica alternanza, con una precisa scelta nell’impianto narrativo, consegnano al lettore le loro vicende legate ad un contesto bellico, e qui sentiamo gli echi di altre canzoni, come La guerra di Piero di De Andrè, o di altra letteratura, come Remarque e Ungaretti, per il quale si fatica a trovare una qualsiasi logica o uno straccio di giustificazione.
Il presente, non più vicinissimo, della storia è il 1978, anno preso in prestito per immettervi le vicende altrettanto enigmatiche e insolute del brevissimo pontificato di Albino Luciani.
L’autore inserisce in tal modo un nucleo narrativo di grande impatto speculativo apparentemente divergente rispetto al filo conduttore, ma in piena sintonia con la crisi spirituale dell’ex cappellano Stefano Casadei e, più in generale, di una parte del mondo cattolico che in quel momento storico non si identificava più con i vertici ecclesiastici. Stefano incontra Fausto, un compagno di seminario poi perso di vista divenuto insegnante di storia e filosofia, dedito alla stesura di un saggio, intitolato Le origini del male, in cui identifica l’Anticristo nella Chiesa di Roma, colpevole di avere agito nel corso della storia contro l’affermazione dell’autentico messaggio cristiano di cui Gesù era stato portatore. Fausto confessa all’amico di essere rimasto in contatto con Albino Luciani, definito “il loro comune amico” e di aver ricevuto persino una telefonata dopo l’elezione al pontificato in cui si dichiarava “agnello in mezzo ai lupi”. In Fausto, insomma, si era accesa la speranza di un cambiamento epocale in seno alla Chiesa, qualcosa di rivoluzionario che avrebbe potuto riportare il baraccone al messaggio originale di Cristo, teoria riconducibile a certe eresie medievali sradicate violentemente dal potere ufficiale. Ma la Storia, come sappiamo, ha seguito un percorso diverso e l’alone di dubbio che ha avvolto l’improvvisa e inaspettata morte del pontefice non si è mai dissipato del tutto. I capitoli del romanzo dedicati a Luciani accendono nuovamente i riflettori su una figura marginale perché incompiuta in questi delicati anni in cui il pontificato di Francesco suscita sconcerto in certe frange tradizionaliste della Chiesa.
Ritrovare il proprio ordine interiore non sarà facile per i quattro personaggi, ma ognuno muoverà i propri incerti passi incontro al nuovo, fortificato dal recupero di eventi rimossi o accantonati. Per alcuni i passi si muoveranno a ritroso per riannodare fili separati dalla sorte, per altri sarà la fine di un sogno di rinnovamento spirituale o il ritorno al gorgo oscuro delle origini.
Al di là della trama e dei suoi tanti accattivanti snodi, è un piacere ritrovare il linguaggio ricercato di Dei Castaldi, le parole centellinate e scelte con cura, avvertire la meditazione su una scrittura che non scivola via veloce e distratta ma che si spende generosamente alla ricerca del periodo giusto ed esatto.
Una lettura intensa che può giovare a quanti annaspano tra un passato irrisolto ma non modificabile e un futuro denso di incognite allettanti, una presa d’atto della lotta incessante tra il Bene e il Male in una partita da sempre in corso e mai conclusa.
Agata Motta
Andrea Dei Castaldi
Le parole d’ordine
Barta edizioni
pp.177
13,00 €