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Mancuso è tornato in libertà

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Il pomeriggio del 27 febbraio 2024 Salvatore Mancuso Gomez è rientrato in Colombia dopo aver trascorso sedici anni negli USA dove ha scontato una pena di dodici per traffico internazionale di droga.

Mancuso, che ha origini italiane, è un personaggio chiave nella storia del paramilitarismo e del narcotraffico colombiano.

Sperava di poter tornare subito in libertà, invece per lui si sono aperte le sbarre del carcere La Picota di Bogotà. La vicenda giudiziaria di Mancuso ci porta a riflettere sull’importanza della certezza della pena e sulla necessità di garantire un giusto processo davanti a un Tribunale terzo e imparziale per qualsiasi soggetto anche per chi, come lui, è accusato di migliaia di crimini efferati e di crimini contro l’umanità.

Questa è una delle particolarità del sistema colombiano, che nel corso degli anni ha visto la costituzione di più Tribunali competenti a giudicare i medesimi crimini. La situazione di Mancuso ne è un caso emblematico e sta alimentando un forte dibattito nella società e tra i giuristi colombiani.

Mercoledì 10 luglio 2024 Mancuso ha lasciato il carcere e si trova in libertà condizionata. Il certificato di libertà è stato emanato dall’ Istituto Penitenziario e Carcerario (INPEC), che fa riferimento all’ordine di scarcerazione, n. 003, emesso dal Tribunale Superiore del distretto di giustizia e pace di Bogotà. Deve rispondere dei delitti di: traffico, fabbricazione e detenzione di stupefacenti, sfollamento forzato, sparizione forzata, distruzione e appropriazione di beni protetti, tortura di persona protetta, omicidio di persona protetta, omicidio e tentato omicidio. Dovrà presentarsi periodicamente davanti alle autorità nei modi previsti dallo stesso ordine di rimessione in libertà. Nello specifico, Mancuso ha l’obbligo di risiedere a Medellin e di presentarsi ogni tre mesi davanti all’autorità giudiziaria.

Dal 27 febbraio la difesa di Mancuso aveva più volte avanzato la richiesta di libertà per il proprio assistito ma era stata sempre negata, da ultimo, persino la JEP, con la Risoluzione n.2346 del 3 luglio aveva respinto la richiesta di libertà transitoria, condizionata e anticipata (LTCA).

Non è chiaro a quale pena andrà in contro dato che più di un Tribunale è competente a giudicarlo per gli stessi crimini. E questa incertezza sul giudice naturale comporta delle grandi differenze per Mancuso.

Secondo la giustizia ordinaria, Mancuso deve rispondere di circa 70.000 crimini e rischia una pena di oltre quarant’anni. Attualmente sono state emanate condanne per 36.000 crimini dalla giustizia ordinaria.

Se invece si applicasse quanto previsto dal Tribunale istituito con la Ley de justicia y paz (L.975/2005) -sistema giuridico introdotto per agevolare la deposizione delle armi da parte dei paramilitari in cambio di uno sconto di pena per i reati commessi-, rischierebbe fino ad 8 anni, due dei quali sono stati già scontati nel carcere di Bogotà.

Anche la Giurisdizione speciale per la pace (JEP), istituita a seguito degli Accordi di pace con le Farc del 2016, è competente a giudicarlo e ne ha accettato la collaborazione. In tal caso potrebbe sperare di non dover più mettere piede in carcere.  Il Sistema integrale di verità, giustizia riparazione e non ripetizione (SIVJRNR), di cui la JEP fa parte è stato istituito a seguito degli Accordi di pace del 2016. Tale sistema giudiziario è competente per i crimini commessi in relazione al conflitto fino al 2016. All’interno di tale sistema la Jep può irrogare delle sanzioni che si dividono in tre tipologie: sanzioni proprie, sanzioni alternative e sanzioni ordinarie. Le prime sono quelle che vengono inflitte, come sarebbe per Mancuso, a coloro che dichiarano la verità e ammettono le proprie responsabilità davanti alla Camera di riconoscimento della verità e hanno una natura riparatoria e risarcitoria. Hanno una durata cha va dai cinque agli otto anni (o dai due ai cinque per chi ha avuto una partecipazione indiretta nel reato) e vengono scontate in regime di non reclusione in carcere.

La Corte Costituzionale, con una sentenza emanata in sessione plenaria il 18 ottobre 2023, si è pronunciata sulla protezione di Salvatore Mancuso. L’incolumità e le verità che può raccontare sono una priorità per il governo guidato da Gustavo Petro, che gli ha conferito l’incarico di “gestore di pace”. Le sue ricostruzioni possono dare un contributo fondamentale per ricomporre interi pezzi della storia del Paese e dare, finalmente, verità e giustizia alle centinaia di migliaia di vittime del conflitto armato, soprattutto per conoscere il ruolo giocato dalla politica colombiana e in particolar modo dall’ex Presidente della Repubblica Álvaro Uribe.

Nel marzo del 2024 la Corte Costituzionale è stata investita della decisione su quale sia il Tribunale competente.

Il Tribunale dell’esecuzione di Giustizia e Pace ha negato a Mancuso la possibilità di partecipare come negoziatore di pace all’evento del 18 luglio tra il Governo e il gruppo criminale Autodefensas Conquistadoras de la Sierra Nevada (ACSN), spiegando che finché non sarà risolto il conflitto di competenza dinanzi la Corte Costituzionali, tutte le autorizzazioni sono sospese, compresa la possibilità di viaggiare nelle Regioni nelle quali ha commesso dei reati.

Nel frattempo, dal carcere di massima sicurezza di Itagüí, i portavoce dei gruppi criminali del Valle de Aburrá, che stanno dialogando con il governo nel quadro dell’appello per la “Pace urbana”, hanno accolto con favore la rimessa in libertà di Mancuso e il suo ruolo di negoziatore di pace, sebbene abbiano dichiarato che non lo riconoscono quale loro portavoce nelle trattative con il governo. Non gli riconoscono neppure il ruolo di intermediario o di facilitatore con gruppi criminali dell’Area Metropolitana del Valle de Aburrá che non fanno parte dei dialoghi con il governo. Sempre dal carcere hanno dichiarato di riconoscere quale rappresentante e portavoce onorario Diego Fernando Murillo Bejarano (conosciuto come Don Berna), che attualmente è recluso negli Stati Uniti. Proprio per questo, hanno lanciato un appello al governo chiedendo di mobilitarsi per il rimpatrio affinché possa diventare un negoziatore di pace.

Per quanto riguarda l’Italia, sarebbe interessante che Mancuso, e non solo lui a questo punto, fornissero degli elementi sui rapporti con la criminalità organizzata nel nostro Paese e in particolare con la ‘ndrangheta.

Chissà se lo Stato colombiano sarà in grado di garantire la sicurezza di Mancuso e di assicurare alla giustizia anche tutti quei complici civili e politici che hanno insanguinato la Colombia per dare una base concreta alla pace totale segnando un nuovo inizio.

Certamente è necessario che venga data riparazione alle vittime dei suoi crimini e che venga assicurata la non ripetizione nei loro confronti.

In un articolo pubblicato l’8 luglio 2024 su religión digital a cura di Cristiano Morsolin, il gesuita Francisco de Roux, già Presidente della Commissione della verità sul conflitto armato in Colombia (CEV) il cui rapporto finale è stato pubblicato il 28 giugno 2022, ha nuovamente chiesto che venga istituita una Commissione della verità sul narcotraffico in Colombia. Del resto, narcos, paramilitari e guerriglieri sono stati e continuano ad essere i principali attori armati di un conflitto che non sembra cessare anche grazie al coinvolgimento di parti della politica e degli apparati pubblici.

“La Commissione della verità della verità ha dimostrato che (…) il traffico di droga ha penetrato l’economia, i partiti politici, il calcio, il commercio e le banche, la politica e gli apparati di sicurezza”, ha dichiarato padre De Roux nell’intervista che Cristiano Morsolin ha realizzato in esclusiva per l’Agenzia Sir del Vaticano.

Non sarebbe uno Stato democratico quello che tiene in carcere un soggetto, per quanto colpevole di crimini di guerra e contro l’umanità, senza una sentenza definitiva di condanna emessa da un tribunale terzo e imparziale predeterminato per legge. I diritti dell’imputato e il giusto processo sono il termometro della civiltà e della democrazia. Parimenti, viene da chiedersi quanto sia civile e democratico un Paese nel quale la criminalità organizzata ha maggior controllo del territorio rispetto allo Stato, dove è difficile stabilire il giudice naturale e dove le vittime dei reati, anche di quelli più efferati, non ricevono riconoscimento dello status stesso di vittima né giustizia, al contrario, troppe volte subiscono umiliazioni e ritorsioni.


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