Il presidente ruandese Paul Kagame vince a mani basse con il 99,15 per cento, per la quarta volta, le elezioni presidenziali, proseguendo così il suo percorso da capo di stato iniziato il 24 marzo del 2000.
D’altronde, i due candidati dell’opposizione che sono stati autorizzati a correre contro di lui, il leader del Partito Verde Democratico del Rwanda, Frank Habineza, e l’ indipendente Philippe Mpayimana, avevano modeste aspettative. Insieme non hanno raggiunto l’1 per cento. La popolarità di Kagame è sostanzialmente inattaccabile.
Tra i leader che hanno guidato il movimento ribelle che pose fine al genocidio del 1994 in Rwanda, il 66 enne dal volto di ragazzino ha servito prima come vicepresidente, dal 1994 al 2000, poi come capo di stato il suo paese.
In questa tornata elettorale ha affrontato solo due sfidanti perché altri sei potenziali candidati non sono stati autorizzati a correre dalla commissione elettorale statale.
Kagame aveva vinto con quasi il 99% dei voti nelle precedenti elezioni del 2017, nel 2024 ha raccolto ulteriore consenso.
Durante l’ultimo mandato di Kagame è stata modificata la costituzione: il parlamento ha infatti rimosso i limiti che gli avrebbero impedito di candidarsi di nuovo.
La sua rielezione segnerà un ulteriore passo verso una stabilità duratura, ma anche il perpetuarsi di un controllo pervasivo delle istituzioni, al limite del regime autocratico.
Da tempo gli osservatori internazionali rilevano un susseguirsi di violazioni dei diritti umani e accusano Kigali di alimentare le continue tensioni con la vicina Repubblica Democratica del Congo.
A Kagame va riconosciuto ’l’impegno durante i suoi mandati da presidente nel rinsaldare il tessuto sociale: ha sostanzialmente ricostruito il paese, che conta oltre 14 milioni di abitanti, dopo il genocidio che ha visto soccombere un milione di persone.
Il Rwanda è il centro finanziario regionale. Indiscutibilmente Kigali è il motore dell’economia della Regione dei Grandi Laghi.
Se dal fonte interno la sua figura è celebrata come quella di leader capace e illuminato, dal mondo occidentale non sono mancate osservazioni critiche e accuse. In particolare gli viene imputato un atteggiamento da accentratore del potere a discapito della libertà di opinione e di informazione. In generale, una mancanza sostanziale del rispetto dei diritti ma anche di essere mandante dell’assassinio di oppositori e di sostenere i gruppi ribelli nel vicino Congo.
Nonostante le ombre sul suo profilo, il presidente ruandese resta riferimento per alcuni paesi del blocco occidentale, basti pensare all’accordo migratorio che il Rwanda ha raggiunto nel 2022 per ricevere migliaia di richiedenti asilo dalla Gran Bretagna.
Ma resta la sua popolarità la carta vincente: gli oltre 9 milioni di elettori registrati per il voto sono pronti a rieleggere Kagame e i parlamentari della maggioranza che siedono su quasi la totalità degli 80 seggi del Parlamento.
Kagame ha riscontrato ovunque un grande successo, con piazze sempre piene e un forte supporto soprattutto dai giovani sostenitori.
Le accuse di violazioni dei diritti e le tensioni regionali con la Repubblica Democratica del Congo, non gli hanno impedito di ricostruzione a raccogliere consensi: resta l’artefice della ricostruzione del Rwanda e il garante di un futuro di crescita, sviluppo e stabilità del paese.
Tuttavia, la mancanza di una vera opposizione nel processo elettorale solleva dubbi e preoccupazioni sulla democrazia interna.