Si torna a respirare, almeno in Francia. Si torna a sognare, a sorridere e, possiamo dirlo, a vincere. Il Nuovo Fronte Popolare ce l’ha fatta, è primo, anche se ovviamente non ha la maggioranza assoluta e dovrà dialogare con i macronnisti se vuole avere qualche possibilità di incidere nel quadro politico francese. Il Rassemblement National di Marine Le Pen è soltanto terzo, sorpassato persino da Ensemble, il partito del Presidente che molti, me compreso, ritenevano ormai defunto. Ciò non cancella in alcun modo la disfatta della macronnia, il suo pessimo governo, il suo massacro sociale, le sue controriforme, i danni che ha arrecato alla coesione nazionale, la tecnocrazia con la quale ha sostituito la politica, il tentativo di abbattere la distinzione fra destra e sinistra, favorendo naturalmente la destra, e la rovina cui ha condotto la Patria dei lumi e delle conquiste democratiche che hanno scandito l’era moderna.
Non sappiamo, dunque, cosa succederà adesso. L’unica certezza è che il primo a saltare sarà Attal, disastroso come ministro dell’Educazione nazionale e della gioventù e insignificante come primo ministro. Le dimissioni, dopo un simile fallimento, sono il minimo. Difficilmente si dimetterà Macron, anche se le elezioni anticipate, che non appartengono alla cultura francese ma a questo punto non possono essere escluse, sono oggettivamente più difficili. Vediamo se terrà il fronte repubblicano che, ancora una volta, ha resistito all’avanzata dei fascisti. Un fronte che da noi, per mille motivi, non esiste più da tempo. Un fronte che, tuttavia, sarebbe indispensabile, al cospetto di questa destra e di ciò che ci aspetta nei prossimi mesi, fra premierato, conseguenze dell’entrata in vigore dell’autonomia differenziata e tentativi di riformare la giustizia nel senso di indebolirla, come denuncia da mesi l’Associazione Nazionale Magistrati. Ce la faremo? Qualche passo in questa direzione è stato compiuto. Benissimo, ad esempio, la presenza di tutta l’opposizione, salvo ahinoi Calenda, in occasione della presentazione del referendum contro l’autonomia differenziata. Benissimo i cenni d’intesa fra PD, AVS e M5S su salario minimo e altre misure sociali. Benissimo l’ingresso dei 5 Stelle in The Left, la famiglia della sinistra europea: un’iniziativa che pone fine alla stagione del “né né” che tanti guai ha arrecato a una compagine da sempre, costitutivamente, vicina al fronte progressista, di cui ora si sente finalmente parte a tutti gli effetti. Benissimo, insomma, tutto ciò che va nella direzione di dar vita a un’alternativa credibile al melonismo, la cui vittoria, due anni fa, fu meno eclatante del previsto e provocata unicamente dalle divisioni in seno al centro-sinistra.
Avendone viste tante, prendiamo con le molle i risultati che giungono dalla Francia. Sono positivi, ma non possiamo analizzarli in maniera acritica. Dobbiamo fare, infatti, i conti con l’incertezza che portano con sé. Dobbiamo preoccuparci per le difficoltà cui assisteremo nella formazione di un nuovo esecutivo. Dobbiamo scongiurare che non si arrivi alla nascita di un governo tecnocratico che, a forza di tagli e misure impopolari, anti-storiche e dannose, fornirebbe ulteriore carburante ai lepenisti. Dobbiamo vedere cosa farà Glucksmann: un personaggio di cui, per mille ottime ragioni, mi fido poco e le cui posizioni, sulla guerra e non solo, non sono minimamente condivisibili. Dobbiamo, infine, preoccuparci per ciò che sta accadendo sull’altra sponda dell’Atlantico, dove la democrazia non è mai stata così a rischio, anche per via dell’ostinazione di Biden a rimanere in pista, nonostante la sua palese inadeguatezza e i sondaggi che lo condannano a una sconfitta rovinosa contro Trump.
Per una sera, tuttavia, cogliamo anche gli aspetti positivi. La sinistra unita, oltralpe come alle nostre latitudini, può farcela. La destra, compresa la peggiore, non è imbattibile. Con un programma chiaro e convincente si può ancora lottare, senza rassegnarsi ad affondare nella melma del neo-fascismo arrembante in ogni angolo del globo. E, più che mai, quando si dà alla gente un motivo per uscire di casa e recarsi alle urne, e la salvaguardia della democrazia, della Costituzione e dei diritti, costituiscono motivi validissimi, il miracolo si compie. Le persone vanno a votare e l’esito delle elezioni, apparentemente scontato, cambia radicalmente rispetto alle previsioni. Provarci, a questo punto, è un dovere, e tutti sembrano averlo capito.
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