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Kharkiv, la pace e l’art. 11 della Costituzione

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«Dove fanno il deserto, lo chiamano pace». Quante volte la frase tratta dall’Agricola di Tacito viene evocata a mo’ di denuncia degli orrori della guerra… Trovandomi in questi giorni a Kharkiv, mi chiedo se non sia vero anche il contrario: cioè, se non sia ciò che taluni chiamano «pace» (in questo caso, il non invio di armi all’Ucraina), a produrre il deserto.

In questo scorcio di giugno 2024, sono per la terza volta in poco più di un anno in Ucraina, dove ho svolto alcune lezioni ed incontri presso le Università di Uzhhorod, Chernivtsi, Kyiv, Kharkiv ed Odesa nonché presso alcune istituzioni ucraine (la Corte costituzionale ed il Servizio studi del Parlamento), anche al fine di condurre in loco attività nell’ambito di alcuni progetti di ricerca accademica.

Svolgere lezioni in aule-bunker, con gli studenti ucraini in presenza a cui brillano gli occhi nel vedere un professore italiano che qui parla loro in carne ed ossa, è stata un’esperienza umana profonda. Studenti, peraltro, che ancora si alzano in piedi quando in aula entra un docente…

Altrettanto emozionante è stato dialogare con i colleghi ucraini sulle enormi sfide che questo Paese sta affrontando per condurre in porto le riforme del proprio sistema istituzionale, richieste dall’Unione europea. Le resistenze, interne alla società ucraina a tale processo, sono forti. «Stiamo combattendo due guerre: una “guerreggiata” contro un nemico esterno, una “culturale” contro un nemico interno. Quello interno siamo noi stessi», mi dicono i colleghi. La società ucraina guarda alle esperienze consolidate del costituzionalismo occidentale; vuole capire; si interroga; pone legittime obiezioni. Lo sforzo per il cambiamento è enorme ma di un’analoga dialettica sociale non vedo traccia più a Est.

Proprio nella settimana in cui, martedì 25 giugno, sono partiti i negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea, mi sono trovato a Kyiv a parlare di Stato di diritto con i funzionari del Parlamento, poi ad Odesa a discutere di diritti umani con gli studenti universitari ed infine a Kharkiv a riflettere con i colleghi sulle sfide che per l’Ucraina comporta la protezione delle minoranze nazionali secondo gli standard del costituzionalismo occidentale. Tutto ciò, esattamente nei giorni in cui la Federazione russa veniva condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il trattamento riservato in Crimea, tra gli altri, ai tatari.

 

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Ebbene, è in questo contesto che, trovandomi ora a Kharkiv, mi chiedo se non sarebbe proprio il mancato invio di armi all’Ucraina, a produrre il deserto in queste regioni.

Sono stati i Javelin a fermare le colonne dei carri armati della Federazione russa in marcia su Kyiv, salvare l’Ucraina e cambiare la Storia dell’Europa libera e del mondo nel febbraio/aprile 2022. Sono stati gli Himars a consentire la liberazione della regione di Kharkiv nel settembre 2022 e della città di Kherson nel novembre 2022. Sono stati i missili antinave e i droni marini a consentire all’Ucraina di riprendere il controllo sul Mar Nero e riaprire le rotte del grano dall’agosto 2023. È stata la possibilità di colpire le rampe di lancio dei missili nel territorio della Federazione russa a fermare la nuova avanzata terrestre ed i pesantissimi bombardamenti su Kharkiv del maggio 2024 (Belgorod è solo a trenta chilometri dalle propaggini settentrionali della città di Kharkiv ed il confine con la Federazione russa ad una quindicina). I bombardamenti su Kharkiv, peraltro, non sono del tutto cessati: sabato 22 giugno una bomba planante è esplosa in pieno giorno in un incrocio di fronte alla stazione centrale degli autobus e la prima immagine che ho avuto della città, appena sceso dall’autobus proveniente da Zaporizhzhia la sera di giovedì 27 giugno, sono state le vetrate in frantumi e gli edifici lacerati tutt’intorno.

Eppure, nel nostro Paese, ampi settori della società invocano il non invio di armi all’Ucraina, ancora una volta in nome della «pace».

Al Professore di diritto costituzionale di stanza a Kharkiv, tra un allarme aereo e l’altro, torna anche in mente l’art. 11 della Costituzione italiana, di cui si menziona sempre la prima parte del primo periodo («L’Italia ripudia la guerra…»), dimenticandosene la seconda («…come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali»). L’art. 11 non ripudia dunque la guerra come strumento di legittima difesa (nostra o, nell’ambito di un sistema di organizzazioni internazionali, di nostri alleati).

Il secondo periodo dell’art. 11 dispone anche che l’Italia «consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni». È stato questo il fondamento giuridico dell’appartenenza dell’Italia all’ONU, alla NATO e all’Unione europea. Mi tornano quindi in mente anche le parole di Altiero Spinelli che nel 1941, nel pieno della tragedia della Seconda guerra mondiale, con grande lungimiranza ragionava di sovranità, pace e Costituzione. «È ormai dimostrata», scrive Spinelli, «la dannosità di organismi sul tipo della Società delle Nazioni, che pretendeva di garantire un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei».

Questi sono dunque i valori che hanno costituito il fondamento del sogno europeo. Sogno che è ancora tale in Ucraina, dove ogni bandiera blu con le dodici stelle dell’Unione europea, che ho portato in dono, è stata accolta come un’aspirazione ideale (e non come un semplice pezzo di stoffa).

Questa è dunque la portata delle disposizioni dell’art. 11 Cost. Una Costituzione nata dalla Resistenza che, lo si ricorda, non fu condotta mettendo fiori nei cannoni delle forze nazi-fasciste.

 

*ENRICO ALBANESI è Professore associato di Diritto costituzionale presso l’Università di Genova. Il Prof. Albanesi è attualmente a Kharkiv per una serie di incontri e lezioni sull’impatto del diritto dell’Unione europea e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo sul diritto costituzionale interno. È la terza volta, dall’inizio del conflitto in Ucraina, che si reca in varie città del Paese per affiancare i colleghi ucraini nel percorso di adesione all’Unione europea.

 

 


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