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Julian Assange, il giornalista che ha fatto solo il suo lavoro

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Julian Assange è libero e oggi l’unica cosa da fare è festeggiare. Festeggiare perché un uomo, un giornalista che ha fatto semplicemente il suo lavoro, ha dovuto affrontare un calvario lungo più di dieci anni. Oggi bisogna festeggiare perché la libertà di Julian conferma che “People have the power” come canta Patti Smith nella celebre canzone. La lotta per la libertà di Julian Assange è stata una lotta collettiva, comunitaria. Giornaliste e giornalisti, attivisti, avvocate, persone comuni hanno avuto la forza e il coraggio di non mollare mai la presa. Hanno lottato ogni giorno e nelle modalità più disparate perché il nome di Julian non cadesse nel dimenticatoio. Hanno fatto in modo che la campagna per la libertà di Assange diventasse una campagna per la libertà di stampa, perché in fondo questo è stato. Perché come ha dichiarato Stella Morris, moglie e avvocata di Julian, questa storia ha creato un movimento globale di attivisti e attiviste pronte a difendere un principio sacro per qualsiasi democrazia: il giornalismo non è un reato! Perché questo rimane ancora il nodo da sciogliere quando avremo finito i festeggiamenti per il rilascio di Julian. Come ha più volte chiarito il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Nils Melzer, “le autorità britanniche hanno inizialmente arrestato il signor Assange sulla base di un mandato d’arresto emesso dalla Svezia in relazione ad accuse di cattiva condotta sessuale che sono state formalmente ritirate per mancanza di prove. Il signor Assange non è un criminale e non rappresenta una minaccia per nessuno, quindi il suo prolungato isolamento in una prigione di massima sicurezza non è né necessario né proporzionato e chiaramente manca di qualsiasi base legale. […] La sofferenza sempre più grave inflitta al signor Assange, a seguito del suo prolungato isolamento,” – ha affermato Melzer – “non equivale solo alla detenzione arbitraria, ma anche alla tortura e ad altri trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti.”  I diritti umani di Julian Assange sono stati gravemente e ripetutamente violati per più di dieci anni nel silenzio generale delle grandi democrazie. Ora finalmente potrà tornare a vivere una normale vita familiare, sociale e professionale, di recuperare la sua salute fisica e mentale dopo anni di persecuzione politica e incredibile arbitrarietà giudiziaria, nonché di torture e maltrattamenti deliberati perpetrati da Stati Uniti, Regno Unito, Svezia ed Ecuador. Assange è stato “perseguitato e maltrattato per aver svelato gli sporchi segreti dei potenti, inclusi crimini di guerra, tortura e corruzione”; ma questa è anche “una storia di deliberata arbitrarietà giudiziaria nelle democrazie occidentali che altrimenti sono desiderose di presentarsi come esemplari nell’area dei diritti umani” commenta ancora Nils MelzerLe 18 accuse contro Assange riguardavano il suo video “Collateral Murder” del 2010 e una tranche di documenti ufficiali ottenuti dall’informatore Chelsea Manning che denunciavano crimini di guerra commessi da membri delle forze americane e britanniche che occupavano l’Iraq e l’Afghanistan, per cui non è rotolata assolutamente una sola testa. La negazione e l’insabbiamento dei crimini di guerra e il mantenimento dell’impunità come status quo è stata la posizione ufficiale.  Noi dovremmo essere qui a chiederci cosa stanno facendo, che vita stanno vivendo le persone che hanno commesso questi crimini di guerra. Ed invece, per anni non abbiamo fatto altro che lottare disperatamente per provare a salvare la vita di chi questi crimini li ha portati alla luce! E’ dannatamente indecente e inaccettabile che dopo circa 20 anni, nessuno – almeno per quanto ne sappiamo – sia stato riconosciuto responsabile per i crimini di guerra commessi in Afghanistan e Iraq, nessuno portato davanti alla giustizia, nessuno condannato per alcun reato mentre chi, invece, quei crimini li ha raccontati, è stato privato della proprio libertà per una tempo infinito. L’incessante persecuzione da parte degli USA di Julian Assange rende evidente che la sua persecuzione è una forma di punizione. Il giornalismo d’inchiesta non è tollerato, neanche dalle cosiddette democrazie. Il caso Assange è un labirinto di intrighi, false notizie, manipolazioni iniziato con due donne svedesi che avevano chiesto che Assange si sottoponesse ad un test dell’HIV e si sono ritrovate a gestire un’accusa di stupro, non andata mai oltre le indagini preliminari. Un processo che negli anni ha portato a raccogliere oltre 10.000 pagine di atti procedurali, dichiarazioni di testimoni e altro, in modo da essere veritiero e non manipolato dai capricci di rivendicazioni ufficiali, contro-rivendicazioni, “molestie lievi” e intimidazioni. Nils Melzer ha dimostrato come il caso Assange sia una “collusione intenzionale da parte dei servizi di intelligence, rapporti manipolativi nei media mainstream allo scopo di isolare, demonizzare e distruggere deliberatamente un particolare individuo”. Siamo stati così offuscati dall’immagine di Julian Assange come “hacker, stupratore, narcisista” che abbiamo fatto fatica a riconoscere quello che è stato: vittima perfetta dell’arbitrarietà giudiziaria e simbolo del fallimento istituzionale dello stato di diritto. Amnesty International nei sui oltre 60 anni di carriera ha affrontato decine e decine di ingiustizie, di casi di mala giustizia e di arbitrarietà dello stato di diritto, ma pochi sono andati avanti per così tanto tempo in paesi che si fregiano dal titolo di “esportatori di democrazie”. La verità è che le accuse contro Assange non avrebbero mai dovuto essere presentate. Ha dovuto barattare la libertà con l’innocenza ed è da qui che partiremo per le lotte di domani. Oggi rendiamo omaggio al lavoro della famiglia di Julian Assange, dei suoi sostenitori, dei suoi avvocati, delle organizzazioni per la libertà di stampa e di molti altri all’interno del mondo dell’informazione e non solo, che lo hanno sostenuto e hanno difeso i principi fondamentali che dovrebbero essere alla base del diritto della società all’informazione e alla giustizia. Noi continueremo a lottare per il loro pieno riconoscimento e rispetto da parte di tutti.


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