Probabilmente saremo in pochi a occuparci di lui: del resto, non era un volto noto. Eppure, se in Italia esiste una sia pur blanda versione del reato di tortura, il merito è soprattutto suo. Arnaldo Cestaro ci ha detto addio stanotte all’età di ottantacinque anni. Ne aveva sessantadue in un’altra notte: quella fra il 21 e il 22 luglio 2001, quando pagò a carissimo prezzo la scelta di essersi recato a dormire alla Diaz, al termine delle manifestazioni contro il G8 di Genova.
Arnaldo non era un intellettuale, non ha scritto libri, non ha teorizzato nulla, se non il rispetto dei diritti umani e della dignità della persona, il che lo ha reso, nel tempo, un piccolo gigante. Lo vedevi arrivare con la sua mitezza, il suo inconfondibile accento veneto, mingherlino e quasi indifeso, e ti domandavi come fosse stato possibile. Sembrava incredibile, infatti, che nessuno dei responsabili di quello scempio si fosse fermato neanche di fronte a un uomo di oltre sessant’anni che a tutto somigliava fuorché a un black block, e invece andò proprio così, perché gli ordini impartiti – va a sapere da chi – erano ben precisi. Non si chiedeva, difatti, di fermare quel movimento ma di annientarlo, pertanto la pietà non era prevista.
Arnaldo ha patito le pene dell’inferno, si è dovuto ricostruire moralmente e fisicamente ma non si è mai arreso. E ribadiamo: se oggi esiste la legge sulla tortura, benché rivedibile, è soprattutto grazie a lui, che non si è fermato di fronte a nessun ostacolo, non ha smesso di lottare neanche per un minuto e, infine, ha ottenuto dalla Corte di Strasburgo ciò che non avrebbe potuto ottenere altrove.
Quando sentite qualche esponente politico intestarsi quella legge, rispondetegli dunque con un nome e un cognome: Arnaldo Cestaro. Non era un tipo da prima pagina o da copertina, non amava le telecamere, parlava solo con chi gli andava a genio e preferiva agire. Non si è mai risparmiato, non ha mai smesso di battersi per sé e per gli altri. Se n’è andato in punta di piedi, come del resto aveva sempre vissuto, e vogliamo ricordarlo con un aneddoto che racconta molto della sua persona: a difenderlo, durante i processi, fu Elio Di Rella, presidente dell’Ordine degli Avvocati di Genova, scelto dal Carlino per Guadagnucci che, guarda caso, si trovava nella camera accanto alla sua all’ospedale Galliera dopo la mattanza. Arnaldo era un militante di Rifondazione comunista, Elio è sempre stato un uomo di destra, ma ciò non impedì loro di trovarsi uniti nella condanna di ogni barbarie. Non sappiamo se accadrebbe ancora, ma forse sì perché Arnaldo era talmente umile e perbene che rendeva possibile anche l’impossibile. E con questo ricordo lo salutiamo, dicendogli la parola che più lo avrebbe commosso: grazie!
P.S. Vent’anni fa se ne andava, a soli cinquantatré anni, Tom Benetollo, indimenticabile presidente dell’ARCI, vittima di un aneurisma all’aorta. Era a Genova anche lui, in quell’estate del 2001, e a differenza di altri, nonostante le pressioni ricevute, non se ne andò. Perché Tom nella pace, nello sviluppo sostenibile e nell’idea che un altro mondo fosse possibile, anzi indispensabile, ci credeva davvero.
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